Un giorno nella vita di una madre e di una bambina a Gaza

Palestinesi che si preparano con le loro pentole per ricevere cibo in un punto di soccorso fornito da un’organizzazione caritatevole a Rafah, nella Striscia di Gaza meridionale, il 19 dicembre 2023. (foto: Bashar Taleb/Apa Images)

di Azhaar Amayreh,  

Mondoweiss, 23 dicembre 2023.  

Sembra quasi certa che non sopravvivremo ai bombardamenti diretti contro di noi da ogni direzione. Se non sopravvivremo, spero che qualcuno apprezzi e comprenda l’inferno che io e mia figlia abbiamo passato nei nostri ultimi giorni.

Nonostante i continui bombardamenti israeliani, i cannoneggiamenti, il terrore  vicino e lontano nell’aria stessa, essendo in qualche modo una creatura abitudinaria, mi sveglio alla chiamata alla preghiera, ogni mattina presto. E dopo essermi prostrata in direzione della Mecca, in direzione della mia fede nell’Onnipotente, la domanda immediata in cima alla mia mente, ogni volta che si fa la preghiera del Fajr, è: come e da dove io, giovane donna palestinese, giovane madre palestinese, mi assicurerò oggi cibo essenziale e acqua preziosa per me e per mia figlia di sei anni. Sempre se riusciremo a sopravvivere fino al tramonto e oltre, con la grazia dell’Onnipotente, al quale sono profondamente fedele da musulmana osservante.

Poi c’è una corsa folle per riempire d’acqua le nostre taniche di plastica da un litro. La porzione assegnata alla mia famiglia è stata di pochi litri di acqua sporca e sudicia per il giorno successivo. Siamo sei adulti, oltre ai piccoli, i bambini, ammassati in questo angusto appartamento fatiscente. Questo è il nostro attuale luogo di rifugio da tutta la morte, la distruzione e l’inimmaginabile, semplicemente indicibile sofferenza umana che ci circonda. Usiamo questa preziosa acqua assegnataci per un rapido bagno con la spugna e per il bucato, cosa che ci sembra un lusso stravagante. Ma è un lusso stravagante che mi costa una faticosa scalata quotidiana dal piano terra fino al quinto piano dell’edificio, senza elettricità e senza ascensore funzionante. Trascinare tutta quest’acqua pesante ma preziosa come una bestia da soma e tenere costantemente d’occhio la mia bambina che afferra e si aggrappa a qualche parte della mia veste, e ci si aggancia. La costante paura di un possibile attacco missilistico che viene dal cielo e l’idea che tutto potrebbe finire in un attimo. Non solo per me, ma per tutti, dal piano terra al quinto piano.

Una normale visita alla toilette deve essere programmata, pianificata e studiata con precisione per non spendere più acqua: è un equilibrio costante tra il normale impulso umano, il mantenimento della propria sanità mentale e la possibilità di perdere tutto in un attimo (acqua, vita e persone care). 

I sei adulti di questo bilocale fanno i turni per andare in bagno, per fare una specie di lavaggio con la spugna, per prendersi cura dei rispettivi figli, per mantenere una certa dignità umana e un minimo di igiene. C’è una competizione non dichiarata per l’acqua del bagno. C’è una competizione per il pane che ci arriva, una competizione molto sgradevole, un modo di vivere molto disumano: tanti adulti sono costretti a guardarsi negli occhi, a predare le misere fette di pane e le lenticchie dell’altro, se sono disponibili quel giorno. Il prezzo della farina di frumento è altissimo, ammesso che sia disponibile; oggi a Gaza non ti puoi permettere la farina di frumento se sei è un qualunque Jack o Jill medio, ordinario. La farina per fare il pane, per nutrire il tuo stomaco affamato, non è per te.

Proprio ieri, mia figlia era così affamata, così affamata, ma non sono riuscita a ottenere nulla da nessuno degli operatori umanitari, che si presentano in questa zona sempre meno spesso. E, vergognandomi, le ho chiesto di correre nell’appartamento vicino, allo stesso piano, per chiedere un po’ di pane. La bambina di sei anni, ascoltando il suggerimento della madre, è andata dai vicini, ma è tornata indietro altrettanto rapidamente. È tornata piangendo e mi ha detto: “Mamma, i vicini mi hanno severamente proibito di presentarmi alla loro porta per chiedere qualcosa di così prezioso come il pane da mangiare”.

Sembra ancora più probabile, quasi sicuro, che non riusciremo ad uscire vivi da qui, vista la raffica di proiettili e bombardamenti diretti contro di noi da ogni direzione immaginabile. Nel caso in cui non ce la facessimo, spero che quando saremo fisicamente morti, qualcuno là fuori apprezzerà e comprenderà l’inferno che io e mia figlia abbiamo passato nei nostri ultimi giorni, sperando solo in qualche pezzo di pane fresco, in una zuppa calda, in un po’ di buona frutta, e desiderando soprattutto un po’ d’acqua pulita per bere e pulirci, lavarci: questi i nostri desideri umani così basilari e così terreni. 

E ciò che mi ha fatto andare avanti fino all’ultimo sono tre cose: la mia fede in Allah, l’amore per la mia giovane figlia e il sangue palestinese nelle mie vene.

23/12/2023 https://www.assopacepalestina.org/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *