USA e alleati sospendono i fondi all’organizzazione ONU per gli aiuti umanitari a Gaza

Con una tempistica che suona come un avvertimento di stampo intimidatorio, gli Stati Uniti hanno comunicato l’intenzione di sospendere i fondi destinati all’Agenzia delle Nazione Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), a poche ore di distanza dalla storica sentenza della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, che ieri 26 gennaio ha giudicato ammissibile la causa intentata contro Israele per genocidio. Il pretesto sono le accuse israeliane secondo le quali 12 dipendenti dell’UNRWA avrebbero collaborato con Hamas nell’attacco del 7 ottobre. Accusa che non è stata ancora in alcun modo supportata da prove di nessun tipo. Alla decisione degli USA si sono subito accodati alcuni degli alleati più zelanti come Canada, Australia ed Italia, con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che si è precipitato a emulare la decisione americana nonostante questa non sia stata per ora supportata a livello europeo. La notizia è stata presa nonostante il fatto che il commissario generale dell’UNRWA, Philippe Lazzarini, abbia prontamente licenziato in via cautelativa i dipendenti accusati in attesa di indagini e, soprattutto, nonostante il fatto che le accuse israeliane coinvolgano una percentuale risibile del totale degli operatori dell’Agenzia ONU in Palestina, ovvero 12 su circa 13.000.

Il caso del presunto coinvolgimento dell’UNRWA ha rapidamente alzato un polverone mediatico che rende difficile comprendere una già parecchio confusa situazione. La verità è che si sa davvero poco su quanto successo. Tutto inizia attorno alla seconda settimana di gennaio quando Israele ha lanciato delle forti accuse mediatiche contro l’UNRWA, suggerendo il suo coinvolgimento nelle azioni «terroristiche» di Hamas. Il 24 gennaio, l’account X delle IDF (Forze di Difesa Israeliane), ha pubblicato un post in cui sosteneva di essere in possesso di alcune lettere (condivise in risposta allo stesso post) che provavano come alcuni degli insegnanti palestinesi dei centri fossero in diretto contatto – e quindi secondo loro in combutta – con l’organizzazione ribelle. Ieri è arrivata la dichiarazione di Lazzarini sul licenziamento dei dipendenti accusati, il quale tuttavia non ha specificato né il numero di persone coinvolte né niente che ne aiutasse a disegnare un profilo. Contrariamente a quanto verrebbe spontaneo immaginare, a farci apprendere il numero degli accusati è stata infatti la dichiarazione con la quale il Portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Matthew Miller, ha annunciato la sospensione degli aiuti finanziari americani.

Subito dopo la dichiarazione degli USA sono fioccate le risposte internazionali. La prima è stata quella del Ministro dello Sviluppo Internazionale del Canada, il quale si è accodato alla sospensione dei finanziamenti promossa dagli Stati Uniti, e subito dopo è arrivata anche quella della Ministra degli Esteri australiana, che ha fatto lo stesso. A chiudere la fila, oggi in tarda mattinata, è arrivato un comunicato del Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che ha emulato i suoi omologhi mondiali. L’Unione Europea, per ora, si è espressa con maggior riserva, sottolineando la gravità della situazione e premendo l’UNRWA affinché fornisca presto delle risposte, ma senza menzionare eventuali tagli ai finanziamenti. L’UE, tuttavia, ha detto la sua prima che la risposta internazionale si facesse tanto pressante, e non si può dunque essere certi che continuerà a mantenere questa posizione. Nonostante ciò, lo stesso giorno dell’accusa, l’Alto Funzionario per gli Affari Esteri dell’Unione Europea Josep Borrell, che ultimamente sta parecchio facendo parlare di sé proprio per le sue prese di posizione spesso più orientate verso le ragioni della Palestina, ha pubblicato sul proprio blog un resoconto dell’incontro con i Ministri degli Esteri europei e Israel Katz – l’omologo israeliano che ha proposto di spostare gli israeliani su un’isola artificiale – in cui ha scritto che “l’assistenza umanitaria non può essere soggetta a negoziazioni politiche”.

Visto il contesto, nonostante la gravità delle accuse, sembra che si tratti più di questioni politiche che umanitarie. L’UNRWA è un’organizzazione istituita nel 1949, che opera su suolo palestinese sin da dopo la nakba, il grande esodo di civili arabi dopo l’occupazione del territorio da parte di Israele. A oggi si contano 8 diversi centri sparsi lungo la striscia di Gaza, che danno supporto a quasi 1 milione e mezzo di persone, registrate come rifugiati. L’UNRWA conta oltre 285.00 studenti a cui fornisce istruzione in 183 diverse scuole, e 22 centri di natura ospedaliera e sanitaria. A partire dal 7 ottobre si è fatto carica della responsabilità di dare rifugio ai civili palestinesi, accogliendone un gran numero e subendo esso stesso delle perdite, tanto umane, che a oggi dovrebbero ammontare a circa 150, quanto nelle strutture, che sono state oggetto di attacchi diretti da parte di Tel Aviv.

Nel corso degli ultimi anni, il Governo di Netanyahu ha spesso spinto per la chiusura del centro, con l’accusa che esso desse ausilio e supporto ai «terroristi», e nell’ultimo periodo questo genere di accuse e di pressioni si sono fatte sempre più insistenti. Nulla vieta di pensare che parte del personale che opera nei centri e nelle strutture dell’UNRWA sia affiliato ad Hamas, e, anzi, con ogni probabilità è vero. Dopo tutto tra le varie strutture si contano circa 13.000 operatori, di cui molti sono proprio palestinesi. Visti simili numeri e considerato il coinvolgimento della popolazione locale nel fornire assistenza alla popolazione, è naturale che qualcuno possa avere sfruttato la propria posizione per fornire sostegno ad Hamas. Questo tuttavia non significa che l’intero centro sia in combutta con l’organizzazione ribelle. Gli stessi numeri delle persone coinvolte parlano chiaro: 12 accusati su un totale di circa 13.000 sono meno di una persona su mille. A fronte di tutto ciò, e alla luce dell’ancora parecchio oscuro contesto, più che un tentativo di insabbiare il coinvolgimento dell’UNRWA con Hamas, pare si stia verificando il contrario: che il polverone mediatico serva insomma a distogliere l’attenzione sulle ben più gravi accuse di genocidio lanciate dal Sudafrica che Israele non è riuscito a lavare via dopo la prima sentenza del Tribunale dell’Aia.

Dario Lucisano

27/1/2024 https://www.lindipendente.online/

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