Uscire dalla guerra

Il sistema capitalistico è da sempre basato sulla guerra, non può farne a meno, e oggi anche sull’aumento esponenziale del numero di poveri e sulle devastazioni ambientali. Ma l’economia di guerra non privilegia soltanto la continua produzione e vendita di armi – le cui Corporation controllano sempre di più le altre società quotate nelle borse -, ama anche costruire muri contro chi migra, cioè contro persone considerate inutili dal finanz-capitalismo. Qualsiasi percorso di rifiuto della guerra, qualsiasi prospettiva nonviolenta, deve fare i conti con tutto questo. Non basta opporsi alla vendita delle armi verso paesi in guerra. L’introduzione del libro Uscire dalla guerra, per un’economia di pace (Cittadella ed.), a cura di Antonio De Lellis, Rosetta Placido e Stefano Risso

“Questa guerra in Ucraina si sa chi l’ha iniziata, ma si sa anche chi non la vuole far finire”. Con questa espressione eloquente l’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, si rivolgeva al pubblico per esprimere la doverosa condanna dell’invasione russa in Ucraina, ma senza restare impantanati su una difesa armata che non guarda al dialogo e alla pace1.

Come curatori condividiamo questa impostazione, ma l’intento di questo libro, scritto a più mani, è anche quello di offrire ulteriori contributi di riflessione per far comprendere meglio “la terza guerra mondiale a pezzetti”2, per uscire da un sistema di guerra e costruire una economia di pace. Quindi affrontiamo anche altri conflitti, di tipo economico, finanziario e in diversi luoghi della terra, in particolare il conflitto israelo-palestinese. Conflitto quotidiano intensificato oggi dall’odio e dalla paura. Guerra chiama guerra, ma il conflitto israelo-palestinese esiste dal 1948 e abbiamo fatto finta di non vedere le ripetute violazioni delle risoluzioni dell’ONU da parte di Israele e di non tener conto delle voci critiche israeliane, palestinesi ed altri, come Amira Hass, Mikado Warchvsky, Ilan Pappé, Gideon Levy, Norman Finkelstein, Noam Chomsky, che richiamano alla conoscenza dei fatti richiedendo negoziati che portino ad un percorso di pace nella giustizia. Ciò significa avviare un percorso per la verità e la riconciliazione che: riconosca la pulizia etnica del 1948 degli israeliani ai danni dei palestinesi; abbatta i muri; distribuisca equamente le risorse idriche tra tutti gli abitanti; garantisca il diritto al ritorno per i palestinesi in diaspora; porti alla fine dell’occupazione dei territori palestinesi e dell’apartheid.

Visitando direttamente i territori della Cisgiordania e leggendo il capitolo di Clara Capelli, che parla della profonda compenetrazione economica tra Israele e Palestina, sebbene in un quadro asimmetrico e diseguale, ci sembra che la soluzione politica istituzionale, fermo restando il percorso sopra riportato, possa essere quello di un unico stato democratico con eguali diritti per tutti gli abitanti.

Infatti nel 1996 lo scrittore palestinese Edward Said, scriveva, in uno dei suoi interventi sul futuro, che

“La scommessa stava nel trovare un modo pacifico di coesistere non come ebrei, musulmani e cristiani ma come cittadini a pari diritto in una stessa terra…”.

In particolare da questo lavoro emerge che i luoghi del conflitto, vengono sistematicamente invasi, prima e/o dopo, da un neoliberismo estremo e violento. In particolare, l’Ucraina ora si trova invasa, in diversi modi, sia dalla Russia che dal FMI e dalla NATO. Contribuire a far cessare gli effetti tragici della ingiustificabile invasione Russa, ma anche quelli del neoliberismo e della militarizzazione della Nato è la nostra speranza e il nostro auspicio.

Cercheremo di farlo con Parresia e Profezia, chiamando le cose con il proprio nome e raccontando fatti e dati forse meno noti.

Monsignor Luigi Bettazzi, recentemente scomparso, spesso ripeteva, nei suoi incontri conviviali: “Chi dice NATO dice guerra”. Se ne volete una riprova leggete la dichiarazione di Stoltenberg della Nato apparsa su il Sole 24 ore il 7 settembre 2023: «Putin ci inviò una bozza di trattato, non firmammo»3. Il segretario Nato adduce il rifiuto ad una prova di forza, mentre per chi cerca la pace vera è la conferma che non si è fatto nulla per evitare questo ultimo e destabilizzante conflitto o comunque per interrompere un processo di guerra.

In questo senso, la guerra in Ucraina, almeno per noi europei, deve essere considerata al centro delle attività di tutti i soggetti, singoli e collettivi, perché essa rappresenta un esperimento di come questo sistema conflittuale, che fa guerra al “vivente”, scelga le proprie vittime sacrificali sull’altare dell’odio, della violenza e della sopraffazione, nell’interesse di oligopolisti, oligarchi, autarchi e centri militari, i quali giocano un ruolo di assoluta distanza dalle persone, dentro una “Economia che uccide”4.

Siamo insomma dalla parte dei popoli e non degli eserciti, siamo dalla parte di coloro che soffrono da ambo i lati, siamo dalla parte delle madri ucraine, che dopo aver fatto le badanti in tutta Europa, ma soprattutto in Italia, per tirar su i loro figli, ora li piangono perché morti sul campo di battaglia. Ma dall’altro lato ci sono anche le madri russe che piangono i loro figli morti nello stesso campo di battaglia, non scelto, ma imposto dalle condizioni economiche di origine e da un apparato militare ottuso e violento che risponde agli ordini dell’imperialista e/o autarca di turno.

L’impegno che, come curatori, abbiamo assunto, è però quella della indicazione della strada maestra della nonviolenza attiva in economia, per la quale abbiamo individuato il nome “economia di pace”, che non scopriamo oggi, ma che si basa sul valore della fratellanza e sorellanza universale, della solidarietà, della cooperazione e del legame con l’ambiente, a fondamento della Costituzione italiana che da una parte Ripudia la guerra, dall’altra limita l’uso della stessa alla difesa della patria e limita l’attività economica ad una funzione sociale ed ambientale. E questa difesa, come ci indica don Lorenzo Milani nella lettera ai giudici, è anche nonviolenta.

In tal guisa nessuna commercializzazione delle armi è possibile se non per la difesa della Patria5 in quanto al di fuori di questo recinto essa è attività economica “improduttiva”, nel senso della Costituzione, e distruttiva.

L’Institute for Economics & Peace (IEP) misura la pace in un mondo complesso. Nell’ultimo report (GPI) 2023 si evince che l’impatto economico della violenza a livello globale nel 2022 è stata di $ 17.500 miliardi di acquisti in termini di parità di potere d’acquisto. Questa cifra è equivalente a 12,9 per cento del PIL Introduzione 11 mondiale o $ 2.200 a persona, in aumento del 6,6 per cento rispetto all’anno precedente.

Questo è stato determinato principalmente da un aumento dell’impatto totale economico della spesa militare globale, che è aumentata del 16,8 per cento, in termini assoluti, anche se più paesi hanno ridotto il loro livello di spese militari in percentuale al PIL. Gran parte dell’aumento è derivato dalla invasione russa dell’Ucraina e dalle relative spese militari dai paesi direttamente e indirettamente coinvolti nel conflitto. Per i dieci Paesi più colpiti dalla violenza, la media economica dell’impatto è stato pari al 34% del PIL. Il rapporto GPI 2023 esamina anche l’impatto economico di un ipotetico blocco cinese di Taiwan. IEP stima che un blocco avrebbe un impatto due volte più grande della crisi finanziaria globale, con il PIL globale in calo del 2,8% in un anno. L’economia cinese si ridurrà di una stima del sette per cento, mentre l’economia di Taiwan si contrarrebbe di quasi il 40 per cento. Ci sarebbe una fuoriuscita significativa in qualsiasi settore che si basa su complessi di elettronica, poiché Taiwan produce oltre il 90 per cento dei semiconduttori logici avanzati del mondo.

La necessità di una risposta sistemica per costruire la pace è urgente. Il conflitto si sta intensificando in diverse regioni, con l’aumento delle morti. Il divario tra i paesi più e meno pacifici continua a far crescere l’instabilità. Anche se molte misure di militarizzazione sono migliorate negli ultimi quindici anni, la proliferazione di tecnologie militari avanzate più economiche, la crescente concorrenza geopolitica, e una sottostante corrente di instabilità politica in molti paesi attestano che un continuo deterioramento della pace globale sembra probabile.

Se questo sistema di deterioramento della pace globale esiste, certo lo si deve al sistema economico attuale, quello del finanz-capitalismo (Luciano Gallino). Secondo il recente contributo di Stefano Lucarelli alle giornate di Tocco da Casauria (28/30 aprile 2023), le Corporation controllano sempre di più le altre società quotate. In cima a questa gerarchia si collocano poche imprese che controllano circa l’80% delle spa. A partire dal 2007/2008 gli indici di controllo indicano una concentrazione. Il pesce grande mangia il pesce piccolo. Ciò accade in Usa, Cina e UE. Il meccanismo di concentrazione determina conflittualità. Il processo che passa tra il tentativo di integrazione commerciale, da una parte, e il protezionismo dall’altra, determina conflittualità con accumulo di spese militari. Resta al centro la tenuta delle democrazie europee. Ci sono le premesse per fare alcune analogie con la fase antecedente alla 1° guerra mondiale. Rispetto ad allora l’imperialismo Usa è la novità rispetto al 1913 perché oggi c’è una forma di condizionamento degli Usa sulle politiche dei Paesi europei.

La polarizzazione è tra coloro che hanno un surplus commerciale con posizioni nette positive con l’estero e tra coloro che hanno posizione di deficit di bilancia commerciale. Fino a quando questa eccedenza di liquidità serviva per acquistare i titoli di stato del debito estero dei paesi debitori, problemi non ci sono stati. Ma quando questo eccesso di liquidità è stato utilizzato per acquisti di pacchetti azionari ed in primis in settori biotecnologici che dettano le traiettorie future, la situazione è cambiata radicalmente. Le tendenze di cui si parla precedono le guerre ultime anche quella in Siria. I dazi, le tariffe e le sanzioni sono state applicate nei confronti dei paesi creditori che acquisivano pacchetti azionari di società dei paesi debitori. Le sanzioni erano di tipo finanziario durante l’amministrazione Obama, con Trump i dazi sono saliti fino al 25%, per esempio sull’acciaio, e successivamente, Biden le ha tolte per l’UE. Su questa situazione, in generale hanno inciso gli accordi con la Cina tra cui quello della “Via della seta”. Questi accordi prevedevano, tra l’altro, trasferimenti commerciali improntati alla Green economy.

Successivamente sono state applicate sanzioni sugli spostamenti delle persone. I programmi di valorizzazione del capitale umano dei Paesi Brics prevedono studi nelle università occidentali per formare i giovani. Ciò ha aiutato il capitale umano specialmente cinese. Queste modalità di risposta sanzionatoria mettono in moto dei meccanismi di distanziamento dal processo di integrazione molto forti.

Ci troviamo dinanzi ad una contrapposizione tra globalizzazione e protezionismo unilaterale che produce conflitti.

La guerra in Ucraina è una risposta imperialistica dinanzi a questa guerra finanziaria con sanzioni commerciali. Anche la Cina naturalmente persegue strategie imperialistiche di tipo commerciale, ad esempio, in Africa con concessioni e acquisizioni di porti importanti. Questa situazione provoca crescita di tensione con il rischio di reazioni imperialistiche.

Un altro aspetto da valutare è l’aumento delle spese militari. Tra il 2000 e il 2020 le spese militari sono aumentate. Nel 2021 le spese militari ammontano a 767 mld di dollari per gli Usa e al secondo posto c’è la Cina, con 1/3 degli Usa, ma con una tasso di crescita del 440% dal 2000 e il 2021, e poi India 131% tasso di incremento e Arabia Saudita. La Francia al 17% e la Germania al 23%.

Questi valori sono la testimonianza che man mano che si polarizza la situazione tra paesi creditori e paesi debitori si vanno ad accumulare sempre più armi. Questo accade tra tutti i paesi debitori e creditori. La Germania è nell’elenco dei paesi creditori e solo dopo l’esplosione del Nord Stream 2 si è convinta ad applicare le sanzioni contro la Russia.

Le dichiarazioni politiche, anche del Primo Ministro Meloni (12 Luglio 2023), vanno nella direzione di considerare come altamente vantaggioso investire in armamenti.

Secondo il dossier pubblicato da Sbilanciamoci nel marzo del 2023 a firma di Gianni Aliotti, l’idea che l’industria militare sia una trave portante del sistema economico e occupazionale è solo un mito, sfatato dai dati ufficiali del settore. Negli ultimi dieci anni ciò che è aumentato è solo il fatturato – e i profitti, lievitati del 773% – mentre gli occupati sono calati del 16%. Possiamo, quindi, affermare senza timore di essere smentiti, che nonostante si sia verificato nell’ultimo quarto di secolo una crescita imponente delle spese militari nel mondo, il numero degli occupati nell’industria aerospaziale e della difesa non è aumentato, anzi ha subito un’accentuata contrazione (ed è destinato a contrarsi ulteriormente).

Ciò dipende da tre diversi fattori: il primo è un fattore comune ad altri settori dell’industria manifatturiera: dalla siderurgia all’elettronica. È la crescita costante del fatturato per addetto (competitiveness) che, ad esempio, nell’industria aeronautica è aumentato dal 1980 al 2019 del 250 per cento passando da 90 mila a 315 mila euro per occupato); il secondo fattore, anche questo comune al resto dell’industria, è la riduzione del numero di occupati per effetto dei processi di fusione, ristrutturazione e innovazione tecnologica su scala europea e mondiale, spinti sia dai processi d’integrazione regionale, sia dalla globalizzazione delle catene di fornitura; il terzo, invece, è un fattore specifico riguardante solo l’industria militare, definito tecnicamente “disarmo strutturale”.

È un fattore indotto dall’innovazione tecnologica incorporata nei nuovi sistemi d’arma (dai nuovi materiali alla microelettronica) e nei processi di produzione (automazione integrata e flessibile), ma soprattutto dal consistente aumento dei costi di ricerca, sviluppo e fabbricazione. L’aumento dei costi unitari per ciascun nuovo sistema d’arma, significa una diminuzione, a parità di spesa militare, della quantità di pezzi che può essere acquistata dalle Forze Armate. Questa tendenza spinge in una sola direzione: sovracapacità produttiva ossia si potrebbe produrre di più, ma la produzione diminuisce per via dell’aumento del prezzo unitario. Tutto ciò produce la contrazione della forza lavoro.

Il discorso pubblico nonviolento dovrebbe discendere sempre più dal mettere in evidenza che esiste una legge di tendenza generale, a partire dalla quale è possibile creare, in alternativa, le condizioni per la pace. Le disuguaglianze creano conflitti anche tra le oligarchie mondiali che sono alla base della guerra in Ucraina. La nostra capacità di metterlo in evidenza ci condurrà fuori dalle secche di discussioni sterili che ci portano quasi sempre in un vicolo cieco.

Ecco perché le fondamentali discussioni sull’invio di armi, pur tuttavia altro non sono che una deviazione dal tema principale: questo sistema capitalistico neoliberista è basato sulla guerra, contro i poveri che crea, contro l’ambiente che viene depredato, ma anche a livello delle stesse oligarchie debitrici e creditrici che attribuiscono a questo conflitto un significato da resa dei conti per la costruzione di un nuovo “loro” ordine mondiale, militare, economico e tecnocratico.

L’economia di guerra si caratterizza per privilegiare la produzione e vendita di armi, per la costruzione dei muri e dei rimpatri di coloro che fuggono da fame, povertà, violenze, persecuzioni, desertificazione o disastri ambientali ed infine, per l’uso della guerra come possibile strumento di politica e di controllo delle risorse naturali. L’economia di pace invece mette in circolazione maggiore ricchezza. Economia di pace ed economia di guerra sono mutuamente escludenti, una produce diritti e libertà, l’altra distrugge.

A noi questa lettura interessa per non dividerci, per prendere il largo e condurre i popoli laddove esistono germi nuovi di un mondo nonviolento, indipendente, non subordinato che basa i propri rapporti economici sulla parità, che elimini il ruolo della finanza speculativa e che rifondi la politica su questi presupposti. Questa economia di pace dovrà essere sempre più il centro delle nostre analisi.

Un doveroso ringraziamento va agli autori, che con slancio e impegno hanno aderito a questo progetto editoriale, agli amici e colleghi per le utili indicazioni e alla Campagna per il Clima fuori dal fossile, ad Attac Italia, a Cadtm, a Pax Christi, al movimento dei Focolarini e alla Cittadella di Assisi che ci hanno stimolato con le loro iniziative, con gli incontri e con le loro riflessioni.


Note

1 Il 27 agosto 2023 ad Assisi durante un incontro organizzato dalla Pro Civitate Christiana Cittadella di Assisi in occasione dei 100 anni della nascita di don Lorenzo Milani.

2 Il mondo è sull’orlo della crisi nucleare. «Siamo già entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti», afferma papa Francesco da molto tempo. «Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. È una frase pronunciata da Papa Francesco il 18 agosto del 2014 in un incontro con i giornalisti a bordo dell’aereo che riportava Bergoglio da Seoul a Roma; ripetuta più volte: il 13 del mese successivo al Sacrario di Redipuglia; il 16 giugno del 2015 nel discorso allo stadio di Sarajevo; il 14 novembre dello stesso anno nella strage di Parigi, il 15 dicembre per la Giornata della Pace e in altre occasioni.

3 “Nell’autunno del 2021 il presidente russo Vladimir Putin ci inviò una bozza di trattato: voleva che la Nato firmasse l’impegno a non allargarsi più. Questo è quello che ci ha mandato: naturalmente non lo abbiamo firmato”. Lo ricorda il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, in audizione alla commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo, a Bruxelles. “Era la precondizione per non invadere l’Ucraina – continua – voleva che rimuovessimo le infrastrutture militari in tutti i Paesi entrati dal 1997, il che voleva dire che avremmo dovuto rimuovere la Nato dall’Europa Centrale ed Orientale, introducendo una membership di seconda classe. Lo abbiamo rifiutato e lui è andato alla guerra, per evitare di avere confini più vicini alla Nato. Ha ottenuto esattamente l’opposto: una maggiore presenza della Nato nella parte orientale dell’Alleanza. La Finlandia ha aderito e presto anche la Svezia diverrà membro” della Nato”.

4 Papa Francesco: Nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ha proseguito, “ho voluto mettere in guardia dal pericolo di vivere l’economia in modo malsano. Questa economia uccide”, diceva nel 2013, denunciando un modello economico che produce scarti e che favorisce quella che si può definire globalizzazione dell’indifferenza.

5 Art.11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Art. 52. La difesa della Patria e’ sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. Art. 41. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.

20/1/2024 https://comune-info.net/

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