Valerio Verbano: perché chiediamo ancora giustizia

Murales per Valerio Verbano

Partiamo da un dato oggettivo: l’assassinio di Valerio Verbano per mano fascista, compiuto in maniera efferata e crudele, è ancora rimasto senza giustizia. Ricordiamoci soprattutto di questo: o meglio, mettiamo questa verità al primo posto di qualsiasi rievocazione o commemorazione.

Gli assassini di Valerio non hanno mai pagato per quello che hanno fatto. Debbo farlo e voglio farlo anche io, che pure credo di avere qualche motivo per poter trattare il ricordo di Valerio anche come una “questione privata”: visto il nostro legame di un tempo che, per giovane amicizia che fosse, era stato comunque assai vivo e coinvolgente. Oso perciò affermare, e vi prego di considerare come “pubblica” questa mia affermazione, che mentre il dolore personale con gli anni diventa una sorta di “consuetudine” con cui in qualche maniera è anche possibile dolcemente convivere, il senso generale della sua tragica, dolorosa e drammatica storia deve continuare a essere parte di quella vicenda collettiva rappresentata dai movimenti degli anni ’70 e dalla soggettività rivoluzionaria di cui alcune e alcuni di noi sono stati, a vario titolo, partecipi.

E aggiungo anche che in questa chiave il lungo passare degli anni non deve costringere la memoria all’acquiescenza o a una maggiore distanza, se non addirittura a una presa di distanza pacificatrice sugli slanci e sulle passioni “di allora”. Non dobbiamo dimenticare, non possiamo cancellare dal nostro passato e dunque dalla nostra vita l’accaduto di quegli anni, soprattutto la rivoluzione – sì, la rivoluzione, non so se avete presente il concetto – che in quel tempo abbiamo cercato di fare, con i temi e i valori che in essa si agitavano e che resero così importante, lo dico apertamente e senza che sembri una sciocca vanteria, la nostra esperienza.

È in questo quadro storico che la richiesta di giustizia per Valerio, ancora e sempre attualissima, continua a essere un elemento politico. Parte di quel sentimento, di quel valore collettivo che prima ancora di essere un programma è comunque un progetto che magari senza alcuna forma effettiva ancora ci lega, o meglio: lega il passato al presente e forse anche al futuro. Credo che da questo punto di vista non ci sia troppo da aggiungere,

Ancora due parole soltanto: è vero che oggi la situazione è sempre più incerta e a suo modo sfuggente. È anche vero però che nella realtà di questi giorni, di questi anni, grandi temi e grandi scenari di lotta si sono aperti e allargati – guerra, pace, ambiente, correnti migratorie, intolleranza civile, razzismo, accanto ai “soliti” temi di giustizia sociale, di lotte contro il patriarcato capitalista, di affrancamento dal lavoro, di diritti, di libertà della persona. E dunque la via del cambiamento, della trasformazione, e diciamolo pure della sovversione sociale per lunga che sia è sempre aperta davanti a noi.

Carla Pintucci

22/3/2023 https://www.dinamopress.it/

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L’antifascismo al tempo del governo della destra-destra

Oggi a Roma, ancora una volta, migliaia di persone sfileranno per i quartieri di Montesacro e Tufello a 43 anni dall’omicidio di Valerio Verbano, ucciso in casa sua davanti agli occhi dei genitori da un commando neofascista. La storia di questo giovanissimo militante di Autonomia di 18 anni, studente del Liceo Archimede, continua a produrre oggi nuove forme di soggettivazione politica e a riprodurre nuove forme di immaginario che diventa impegno e mobilitazione.

Come è successo che al tempo della narrazione degli opposti estremisti e dei postcomunisti tutti impegnati a comprendere le ragioni dei postfascisti, al contrario la storia di Verbano si sottraesse alla melassa indistinta della pacificazione nazionale per diventare un punto di riferimento simbolico e sentimentale per chi non rinunciava a un punto di vista partigiano? “Merito” di un lavoro che dura ormai da vent’anni di due nuove generazioni, quella che ha vissuto la stagione del G8 di Genova e quella immediatamente successiva, che è stata in grado di produrre un discorso ostile a ogni reducismo di innescare una storia che arrivava dritta dalla fine dei lunghi anni Settanta italiani per farla deflagrare nel presente.

Oggi la sfida che ci si presenta davanti è ancora nuova. Silvio Berlusconi ha sdoganato negli anni Novanta i postfascisti facendoli accomodare nelle stanze del potere. Se con Tangentopoli e la “fine della storia” il cordone politico attorno agli eredi dell’Msi è collassato, oggi ci troviamo di fronte all’assalto ai gangli stessi delle strutture di potere da parte dei postfascisti. Basta vedere biografie e dichiarazioni del presidente della Camera Lorenzo Fontana – espressione teocon della destra italiana – e del presidente del Senato Ignazio La Russa – uno che è stato fascista e che si vanta della sua collezioni di cimeli del Ventennio, per cogliere appieno il cambiamento.

Cosa succede quando le idee e i valori che provengono direttamente dai fascismi del Novecento si innestano nel governo della ormai perpetua crisi neoliberale?

La destra- destra italiana che ha vinto le elezioni dello scorso settembre ha già lanciato tre offensive in contemporanea: da una parte quella alle condizioni di vita materiale dei ceti popolari a partire dalla cancellazione del reddito di cittadinanza, dall’altra alle libertà individuali e collettive (tra uno stop sostanziale all’allargamento dei diritti civili e l’utilizzo della decretazione d’urgenza per restringere gli spazi del dissenso) e infine l’investimento nelle forme di energia fossile sabotando la riconversione ecologica. Infine c’è l’assalto alle istituzioni culturali, alla scuola e agli spazi dell’informazione e alla Rai per raggiungere l’obiettivo che la destra-destra insegue da anni: l’egemonia nelle istituzioni culturali e deputate all’educazione e alla formazione del senso comune.

In questo contesto dobbiamo riscrivere ancora una volta la grammatica del nostro antifascismo, che deve essere allo stesso conflittuale e antagonista, innervarsi di pratiche che trovino consenso sui territori dove agiamo e ambiscano a essere maggioritarie, parlare la lingua dei femminismi e dei movimenti per la giustizia climatica. Il nostro antifascismo crediamo quindi non debba essere né una petizione di principio senza pratica antifascista, né una postura identitaria e minoritaria, tantomeno un’astratta difesa della democrazia e dell’esistente.

Il 22 febbraio sarà ancora una volta l’occasione per costruirlo insieme questo linguaggio. Noi già stiamo provando a misurarlo in questi mesi negli spazi dove agiamo tra centri sociali, collettivi delle scuole, comitati di quartiere e anche dentro il governo di prossimità.

Compagn3 dell’Oltraniene

Immagine di Renato Ferrantini

22/3/2023 https://www.dinamopress.it/news/lantifascismo-al-tempo-del-governo-della-destra-destra/

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