Vecchi e giovani nell’Italia decadente

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Stando ai dati statistici l’Italia sarebbe un paese con tanti giovani costretti ad emigrare per mancanza di lavoro con la spesa sociale assorbita in buona parte dalla spesa previdenziale, dalla “eccessiva genorosità” nel passato verso lavoratori e lavoratrici andati in pensione troppo presto. Manipolare i dati e oggettivare lo stereotipo è fin troppo facile se ormai è arduo discernere la fake news dalla notizia fondata. La spesa previdenziale nel 2017 ha raggiunto 286 miliardi di euro pari al 16,4 per cento del nostro Pil come si evince dal rapporto Inps. Dati significativi ma da rapportare all’invecchiamento della popolazione nei paesi a capitalismo avanzato, dal calo vertiginoso delle nascite tra gli autoctoni legato soprattutto a una crisi economica che si ripercuote anche sulle scelte di vita.Molte delle pensioni erogate dall’Inps sono sotto la soglia della miseria, i pensionati sono circa 16 milioni ma le prestazioni previdenziali quasi 23 milioni. Da questi dati si capisce quale potrebbe essere il prossimo obiettivo: cancellare le pensioni di reversibilità o evitare l’accumulo di piu’ prestazioni in un paese dove oltre il 20% degli italiani percepisce almeno una pensione.
Se poi guardiamo il mondo previdenziale, non solo scopriamo che numerosissime sono le pensioni di poche centinaia di euro (aumentarne l’importo è una necessità ormai insopprimibile) ma esistono grandi sperequazioni di genere con tante donne che hanno smesso di lavorare appena raggiunti i requisiti minimi per accudire figli e anziani, oppure affacciatesi al mercato del lavoro con anni di ritardo rispetto agli uomini avendo dedicato la prima parte della loro esistenza alla cura della famiglia. Le differenze marcate sono anche a livello geografico, tra le pensioni del Nord e del Sud ci sono differenze in media di 3000 euro annue, sarà pur vero he il costo della vita nel Meridione è piu’ basso ma non a tal punto da giustificare certe differenze
L’importo medio della pensione se per gli uomini è di quasi 21 mila euro, per le donne si ferma molto prima, a 15 mila euro, con una differenza di quasi il 30% che condanna le donne ad una vecchiaia problematica. Gli assegni previdenziali rispecchiano le dinamiche ricorrenti nel mercato del lavoro con le donne, specie nel Meridione, con basse percentuali di occupazione e un accesso alquanto limitato a innumerevoli professioni. Dati alla mano possiamo asserire di non essere un paese per giovani e donne.

Sempre le donne, a livello previdenziale, vedono prevalere le pensioni di riversibilità per la morte dei mariti o quelle assistenziali destinate a quante non hanno contributi. L’Italia sconta oggi i limiti del suo stesso sistema produttivo ma anche le carenze di un sistema di welfare che ha scelto di investire poco e male nelle politiche attive del lavoro o trasformando i servizi a domanda individuale come gli asili nido in strutture portanti del comparto pubblica istruzione.
Quando le normative previdenziali sono state uniformate tra uomini e donne non si è scelto di incentivare il lavoro femminile ma si è abbattuto solo un costo per il sistema previdenziale, anzi molti ricorderanno la campagna padronale contro i presunti privilegi e le disparità di trattamento

Come 25 anni fa sono soprattutto le donne nel mirino, eventuali revisioni del sistema previdenziale, magari eliminando o riducendo gli assegni sociali o di reversibilità, colpiranno soprattutto loro (le donne infatti campano mediamente piu’ degli uomini e il genere femminile ha 800 mila assegni previdenziali piu’ degli uomini
In un paese che chiude le porte ai migranti e poi si lamenta del calo delle nascite, un paese che costringe ogni anno decine di migliaia di under 30 a emigrare per motivi di lavoro e in 40 anni non ha ancora recuperato le disuguaglianze di genere, sono proprio le donne a rischiare di piu’da una eventuale revisione del sistema previdneziale.
Il rapporto Inps dice anche altro ossia che le odierne pensioni per oltre il 60% sono rappresentate da assegni di mille euro mensili, una cifra assai vicina alla soglia di povertà. Il 30% della spesa previdenziale è rappresentato da pensioni di 1000 euro al mese, cifra con la quale la vecchiaia diventa alquanto problematica se il welfare non assicura cure e assistenza semigratuita.Assegni previdenziali bassi non contrastano la miseria, del resto ci sono 5,7 milioni di prestazioni sotto i 500 euro mensili. Fatti due calcoli, oltre 2 milioni di persone, in gran parte donne, hanno un assegno previdenziale di 500 euro, troppo misero per vivere in condizioni appena dignitose, sarà per questo che aumentano gli over 70 costretti a trovarsi un lavoro, al nero, per incrementare un assegno pensionistico fin troppo basso
La discussione sulle pensioni allora deve partire proprio dagli assegni piu’ bassi, le disuguaglianze pensionistiche sono poi lo specchio di quanto accade nel mondo del lavoro e della società, basta ricordare che meno dell’1,7% degli assegni coprono l’8% della spesa totale pensionistica . Aumentato l’importo minimo delle pensioni lo scenario successivo potrebbe essere quello di una revisione complessiva del sistema previdenziale con sforbiciate alle pensioni di invalidità, alle indennità per l’accompagnamento perchè a fronte di assegni troppo bassi avere un invalido in famiglia diiventa una fortuna per arrivare a fine mese. E se cosi’ sarà, da una parte avremo accresciuto l’importo dell’assegno previdenziale ma dall’altro andremo ad attaccare gli stessi redditi piu’ bassi con la scusa di volere abbattere privilegi che poi tali possono essere giudicati solo dai mastini dell’austerità . Che non siano allora le classi sociali meno abbienti a pagare il conto salato dei conti previdenziali. Del resto, loro, hanno già pagato fin troppo in un paese alimentato dalle disuguaglianze geografiche, di genere e di classe.

Federico Giusti
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