Vite per il profitto: Sarebbero serviti 40 milioni per sistemare il ponte Morandi a Genova

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Ovviamente non si dimetterà nessuno. Il titolo di Atlantia perderà in borsa qualche punto percentuale. Il procedimento per la revoca entrerà nel labirinto di ricorsi e controricorsi.
Vanno dette un paio di cose sul carrozzone Benetton, soprattutto per quel che riguarda il settore autostradale della holding. Ad Autostrade paghiamo i pedaggi più alti d’Europa e loro pagano tasse bassissime perché sono posseduti da una finanziaria, la Benetton appunto, che ha residenza in Lussemburgo. Un paio di anni fa, dopo che alcuni degli “stralli”, ora sotto accusa, erano stati “rivestiti” era stata discussa l’eventualità di una completa sostituzione. Un intervento che aveva un costo alto: 35 milioni di euro. A maggio di qust’anno il bando per 20 milioni. Peccato che gli stralli su cui intervenire fossero quelli sbagliati!

Antonio Occhiuzzi Direttore dell’Istituto di tecnologia delle costruzioni del Consiglio nazionale delle ricerche ha un’idea molto precisa: “Gli stralli in calcestruzzo armato precompresso, realizzati anche per altri viadotti analoghi (sul lago di Maracaibo in Venezuela, ma anche in Basilicata, per esempio), hanno mostrato una durabilità relativamente ridotta. E la statica di un ponte di questo tipo dipende fondamentalmente dal comportamento e dallo “stato di salute” degli stralli.Nel caso in questione, in particolare, una parte degli stralli è stata oggetto di un importante e chiaramente visibile intervento di rinforzo, ma il tratto crollato è un altro. È necessario capire perché, in presenza di elementi che hanno indotto a rinforzare alcuni stralli, non siano state operate le medesime cure sugli altri, gemelli e coevi”.

Il giochino del pofitto lor signori lo conoscono bene. Qualche morto in più o in meno non peserà certo sulla loro coscienza. Vogliamo andare a vedere a cosa il nome di Benetton è legato in Argentina, ai morti provocati dalle proteste contro le deforestazioni e le espropriazioni dei terreni alle comunità locali?

Meglio stare sul merito. Diceva un vecchio professore di cemento armato: “Esiste un santo per le strutture, e il santo oggi ha fatto crollare una torre, la più lontana dalle abitazioni, per fortuna”. Inutile dire, che se bisogna “affidarsi” ai santi e non alla affidabilità delle costruzioni, un problema serio in questo Paese esiste.
Vari esperti sono stati interpellati riguardo il crollo del Ponte Morandi, professori ordinari di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia, ingegneri architetti di fama. In molti ritengono di poter escludere cause idrauliche: “Non è colpa del fiume, nel senso che la pila non è stata scalzata. Il crollo del Ponte Morandi non è dovuto all’erosione o a una ragione idraulica. Costruire in quel modo il ponte era l’unico modo per passare in quota, a un’altezza di 50 metri, su un fiume che è largo 100 metri per evitare di mettere i piloni in mezzo al fiume. Un fiume che nel 1970 esondò e fece un sacco di morti. Dice l’accademico Renzo Rosso ai microfoni del Fatto quotidiano.

Fino a pochi giorni fa il primo tratto, quello rimasto in piedi, era chiuso per “manutenzione e consolidamento”. Evidentemente dei palliativi rispetto a quanto poi si è realmente verificato. Sono stati diversi gli interventi su una infrastruttura datata (terminata a fine anni 60) e trafficatissima, visto che si tratta della via d’accesso principale da Nord (chi scende in Riviera da Milano, per esempio, passa da lì) e cruciale anche per il porto e in direzione Francia.
Si ripropone il problema della manutenzione degli investimenti da destinare alle grandi opere. L’Italia per la manutenzione delle strade e la messa in sicurezza spende 5 volte in meno di quanto dovrebbe, 2 miliardi e mezzo l’anno servirebbero e la spesa è della metà, nonostante l’invecchiamento progressivo delle nostre grandi infrastrutture che risalgano agi anni del boom, gli investimenti sono più sbilanciati sulla sicurezza a discapito delle infrastrutture. Inoltre lentezze, ritardi, lungaggini burocratiche complicano le procedure per i finanziamenti di opere pubbliche. Conflitti tra enti locali e corruzione rallentano i processi di manutenzione. 61mila sono i ponti e i viadotti in Italia da gestire. Il contratto di programma 2016-2020 per la manutenzione straordinaria prevede finanziamenti di 10 miliardi ma finora sono solo sulla carta.

Nel frattempo sollecitazioni di vario tipo, sismiche, atmosferiche, meccaniche (Il calcestruzzo viene sottoposto a erosione per la presenza di cloruri e solfati presenti nell’atmosfera che raggiungono il ferro al suo interno che si ossida) affaticano le strutture, opere datate 50-60 anni fa che andrebbero rinforzate o demolite e sostituite. Occorre un programma d’intervento a lunga scadenza.
Nonostante, probabilmente, anni di manutenzioni per cui l’Italia arriva a spendere quasi l’80% del costo di costruzione iniziale.

Questo del viadotto Morandi è l’ultimo di un elenco di crolli dovuti a cedimenti strutturali.

9/03/2017 sulla A14 Adriatica crolla un ponte e sotto un ponte provvisorio, 2 morti
28/10 /2016 sulla Provinciale in Brianza cavalcavia crolla al passaggio di un tir e schiaccia un auto, un morto
18/04/2017 crollo di viadotto provinciale di Cuneo, salvi per miracolo
10/04/15 cade un pilone sull’autostrada A19 Palermo Catania
Sulla Palermo Agrigento crolla viadotto inaugurato 10 giorni prima, nessuna vittima
Liguria 2018 nubifragio fa crollare un ponte a Carasco, due morti.

Bruxelles intanto ricorda che per il nostro Paese sono stati stanziati “2,5 miliardi di euro nel periodo 2014-2020 in fondi strutturali e di investimento europei per infrastrutture di rete, come strade o ferrovie”. E che lo scorso aprile la Commissione ha approvato un piano di investimenti per le autostrade italiane, che “consentirà di portare avanti circa 8,5 miliardi di euro di investimenti, anche in Liguria”.
Si chiedono interventi urgenti attraverso comunicati stampa, da una parte il cordoglio, dall’altra la richiesta di interventi urgenti. Non è solo il momento del cordoglio però, ma è anche l’ occasione per ripetere che la politica di austerità in questi anni ha prodotto tagli alla protezione civile, ai vigili del fuoco, alle assunzioni di personale tecnico specializzato, tagli alle analisi tecniche di controllo e di monitoraggio. Non possiamo dimenticare che per anni si è raschiato il fondo del barile proprio nel tempo dei grandi disastri, e questo dimostra che non c’è stato un oculato utilizzo dei soldi e che ciò abbia determinato un aumento di infortuni e di morti. Tale sottovalutazione dei problemi produce effetti che esplodono inevitabilmente con così tanta veemeza.
Toppe su toppe si sono messe su opere come il gigante dell’ ingegneria moderna, il viadotto morandi minato dal tempo da problemi strutturali e da cedimenti. Perchè non si fa una radiografia del rischio una diagnosi scientifica puntuale dello stato di salute di queste infrastrutture?

15/8/2018

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Nota stampa del direttore dell’Istituto di  tecnologia delle costruzioni del Consiglio nazionale delle ricerche Cnr-Itc, Antonio Occhiuzzi, relativa al ponte Morandi di Genova crollato questa mattina, 14 agosto, alle ore 11,50.

Il viadotto Morandi, che scavalca il fiume Polcevera alla periferia di Genova, deve il suo nome al geniale progettista/esecutore dell’opera, uno dei nomi che, insieme a Freyssinet (Francia), Leonhardt (Germania) e Maillart (Svizzera), nel XX secolo ha modificato la concezione dei ponti in Europa e nel mondo. Realizzato tra il 1963 al 1967, è un esempio di razionalismo ‘assoluto’: l’intera, essenziale geometria ripercorre le linee di forza che sono capaci di garantire l’equilibrio dell’opera sotto l’azione del peso proprio e del traffico stradale.

Il viadotto si compone di due tratti di accesso e di uscita e di una parte centrale, quella più caratteristica, formata da 6 tratti, sostenuti a due a due da un pilone centrale dal quale si dipartono gli elementi inclinati denominati “stralli”. Due le particolarità strutturali di questo ponte: gli stralli, che a differenza di quanto avviene per i ponti in acciaio non formano un ventaglio o un’arpa, sono solo una coppia per lato e sono realizzati in calcestruzzo armato precompresso; le modalità di realizzazione dell’impalcato (la parte che sostiene direttamente il piano viabile) in calcestruzzo armato precompresso, secondo un brevetto ideato dallo stesso Morandi.

Il crollo di stamattina, per quanto si può capire assolutamente improvviso, può dipendere da moltissime causa diverse. Preliminarmente, però, è possibile fare qualche considerazione di carattere generale.

Gli stralli in calcestruzzo armato precompresso, realizzati anche per altri viadotti analoghi (sul lago di Maracaibo in Venezuela, ma anche in Basilicata, per esempio), hanno mostrato una durabilità relativamente ridotta. E la statica di un ponte di questo tipo dipende fondamentalmente dal comportamento e dallo “stato di salute” degli stralli.

Nel caso in questione, in particolare, una parte degli stralli è stata oggetto di un importante e chiaramente visibile intervento di rinforzo, ma il tratto crollato è un altro. È necessario capire perché, in presenza di elementi che hanno indotto a rinforzare alcuni stralli, non siano state operate le medesime cure sugli altri, gemelli e coevi.

Risulta inoltre che il viadotto Morandi fosse sotto continua e costante osservazione, e non c’è alcun motivo di dubitare che la società concessionaria abbia utilizzato tutte le tecnologie oggi disponibili al riguardo. Il crollo improvviso, quindi, fa dedurre che i sistemi di monitoraggio e sorveglianza adottati non sono ancora sufficientemente evoluti per scongiurare tragedie come quella di stamattina.

A carattere ancor più generale, va ricordato che la sequenza di crolli di infrastrutture stradali italiane sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante ‘regolarità’: nel luglio 2014 è crollata una campata del viadotto Petrulla, sulla strada statale 626 tra Ravanusa e Licata (Agrigento), spezzandosi a metà per effetto della crisi del sistema di precompressione; nell’ottobre 2016 è crollato un cavalcavia ad Annone (Lecco) per effetto di un carico eccezionale incompatibile con la resistenza della struttura, che però è risultata molto invecchiata rispetto all’originaria capacità; nel marzo 2017 è crollato un sovrappasso dell’autostrada adriatica, ma per effetto di un evento accidentale durante i lavori di manutenzione; nell’aprile 2017 è crollata una campata della tangenziale di Fossano (Cuneo), spezzandosi a metà in assenza di veicoli in transito e con modalità molto simili a quelle del viadotto Petrulla. Oggi è crollata una parte del viadotto Morandi, che probabilmente comporterà la demolizione completa e la sostituzione dell’opera.

L’elemento in comune alla fenomenologia descritta è l’età (media) delle opere: gran parte delle infrastrutture viarie italiane (i ponti stradali) ha superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra (anni ’50 e ’60).

In pratica, decine di migliaia di ponti in Italia hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti, secondo un equilibrio tra costi ed esigenze della ricostruzione nazionale dopo la seconda guerra mondiale e la durabilità delle opere. In moltissimi casi, i costi prevedibili per la manutenzione straordinaria che sarebbe necessaria a questi ponti superano quelli associabili alla demolizione e ricostruzione; quelli ricostruiti, inoltre, sarebbero dimensionati per i carichi dei veicoli attuali, molto maggiori di quelli presenti sulla rete stradale italiana nella metà del secolo scorso.

Il problema ha dimensioni grandissime: il costo di un ponte è pari a circa 2.000 euro/mq; pertanto, ipotizzando una dimensione ‘media’ di 800 mq e un numero di ponti pari a 10.000, le cifre necessarie per l’ammodernamento dei ponti stradali in Italia sarebbero espresse in decine di miliardi di euro.

Per evitare tragedie come quella accaduta stamattina sarebbe indispensabile una sorta di “piano Marshall” per le infrastrutture stradali italiane, basato su una sostituzione di gran parte dei ponti italiani con nuove opere caratterizzate da una vita utile di 100 anni. Così come avvenuto negli anni ’50 e ’60, d’altra parte, le ripercussioni positive sull’economia nazionale, ma anche quelle sull’indebitamento, sarebbero significative.

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