Vorrei restare a casa

Quella cui abbiamo assistito a tutt’oggi potrebbe essere definita una narrazione ‘antinomica’: da una parte la frenesia, lo stress, l’angoscia e il dolore dei reparti di terapia intensiva…, dall’altra la (presunta) quiete sospesa delle abitazioni degli italiani, alle prese con autodichiarazioni, collegamenti wifi e nuove ricette da sperimentare.

In questo scenario surreale, la reazione istituzionale alla pandemia da Covid-19 ha finora risentito degli stereotipi di una ‘società dei normali’, nel senso che le misure intraprese, per quanto diffuse e radicali, sono state pensate esclusivamente per una popolazione in grado di ‘rifugiarsi’ in casa, ‘al sicuro’.

Giustamente si sono levate diverse voci per segnalare come, ad esempio, la restrizione a domicilio di una donna che già subisce maltrattamenti/violenze domestiche non si possa certo considerare sicura… Solo da parte di pochi, e solo negli ultimi giorni, è stato fatto notare come sia difficile, per non dire impossibile, applicare adeguatamente le eventuali misure preventive (quarantena o isolamento domiciliare fiduciario) nel caso di persone che un domicilio non ce l’hanno. Persone che non possono aderire all’hashtag lanciato da Fiorello ‘#iorestoacasa’ ma che, come è stato segnalato da un recente articolo su Redattore sociale, potrebbero a buon diritto lanciarne uno intitolato ‘#vorreirestareacasa’ [1].

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Salvatore Geraci, Giulia Civitelli, Marica Liddo e Maurizio Marceca

2/4/2020

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