Autonomia regionale differenziata: la soluzione non è quella proposta

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Il Governo sta trattando con alcune Regioni – in applicazione dell’art. 116, terzo comma della Costituzione – il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in determinate materie, molte delle quali hanno una ricaduta nella vita quotidiana delle persone e sui loro diritti fondamentali. Si sta parlando del diritto all’istruzione, alla salute, all’assistenza, alla mobilità, a vivere in un territorio che rispetti vincoli ambientali e paesaggistici ecc.

Queste richieste di maggiore autonomia avvengono in un quadro istituzionale caratterizzato dalle criticità originarie del Titolo V riformato nel 2001 e dalle criticità provocate dalla sua mancata piena attuazione e pongono un primo interrogativo di fondo più generale su quale assetto della Repubblica, quale equilibrio tra i vari livelli istituzionali, è auspicabile realizzare e, soprattutto, con quali finalità.

Se a partire dagli anni novanta si è avviato un percorso di decentramento di competenze, con l’intento di valorizzare la prossimità territoriale delle istituzioni, in nome dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, affidando allo Stato il ruolo di attore istituzionale chiamato a garantire l’unità del sistema paese e considerando l’autonomia un mezzo per raggiungere in contesti differenti standard di prestazione uniformi, oggi il riconoscimento di autonomia differenziata ad alcuni territori, per come si sta prefigurando e in assenza dei necessari provvedimenti atti a delineare una cornice unitaria di norme e principi indisponibili (a cominciare dai Livelli essenziali delle prestazioni), rischia di mettere in discussione – definitivamente – l’unità della Repubblica.

Le diseguaglianze inaccettabili che ancora oggi caratterizzano il nostro paese e che le richieste di autonomia differenziata non potranno che incrementare, pongono come obiettivi non più rinviabili la definizione di politiche nazionali che riducano i divari esistenti e la messa in atto di tutti gli interventi normativi necessari a definire una cornice unitaria, a partire dalla definizione delle leggi di principio e dei Lep: fissare le leggi di principio per determinare un quadro di norme generali unitario inderogabile e declinare i Livelli essenziali delle prestazioni per determinare quali prestazioni, quali servizi pubblici, devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in quanto «essenziali» (non minimi) a far sì che un determinato diritto sia effettivamente esigibile ovunque e che siano soddisfatti obiettivi di benessere ed equità sociale.

Lep e leggi quadro sono indispensabili e prioritari, anche per i cittadini di quelle stesse Regioni che chiedono autonomia, per garantire unitarietà dei diritti – a partire dall’istruzione che non può essere «regionalizzata» –, per la centralità dei servizi pubblici – e scongiurare il loro depotenziamento a favore dei settore privato –, e per realizzare un vero sistema fiscale perequativo, fondato sulle esigenze di ciascun territorio e finalizzato al raggiungimento dei più alti gradi di efficienza in tutto il paese.

Un sistema perequativo incompatibile con la retorica del «residuo fiscale», sbandierata dai governatori di Veneto e Lombardia secondo cui «i soldi dei Lombardi/Veneti devono rimanere in Lombardia e Veneto», che, oltre a essere sconfessata dai numeri di contabilità nazionale, contraddice il principio costituzionale della progressività fiscale e lo stesso patto sociale fondativo di una comunità per cui ad ogni cittadino devono essere garantiti gli stessi diritti fondamentali a prescindere dal territorio di residenza.

Le richieste di autononomia differenziata, invece, vogliono trasformare diritti in privilegi, alimentando l’idea che l’efficienza e il benessere siano un bene limitato da circoscrivere nei confini regionali e non da condividere ed estendere per raggiungere insieme i più alti gradi di sviluppo, arrivando perfino a ipotizzare l’inaccettabile introduzione di contratti regionali in sanità e in istruzione che metterebbe in discussione l’uguaglianza di trattamento di cittadini e studenti, e del personale.

Il separatismo insito nella rivendicazione di una presunta «specialità» contrapposto alla necessità di far uscire tutto il Paese, unito, da una condizione di scarsa competitività e di scarso sviluppo, consentendo a pochi di andare avanti e lasciando indietro gli altri, rompendo così ogni vincolo di solidarietà, deve essere contrastato.

Non è accettabile, per la Cgil, ogni impostazione che si pone agli antipodi della solidarietà, dell’uguaglianza, della progressività contributiva e dell’idea di comunità che c’è dietro la perequazione, ogni impostazione che nega l’indisponibilità dei diritti fondamentali che non possono essere esigibili a geometria variabile, e il principio per cui ciascuno deve contribuire secondo le proprie possibilità e capacità al benessere collettivo. Non è contrarietà a responsabilizzare i territori o negazione del valore della prossimità delle istituzioni, è contrarietà a sancire la rottura del vincolo di solidarietà di una comunità e la frammentazione dei diritti civili e sociali fondamentali. Per la Cgil l’orizzonte è sempre stato la realizzazione di un’articolazione istituzionale fondata su un assetto statale decentrato, cooperativo e solidale capace di attribuire funzioni e relative risorse al soggetto istituzionale più idoneo a svolgerne l’esercizio, ma in un quadro unitario di principi e diritti esigibili e inderogabili su tutto il territorio nazionale. Oggi, quel quadro unitario di principi e diritti universalmente esigibili e inderogabili non è ancora definito ed è sempre più necessario.

Giordana Pallone

Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 2 2019 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link: RPS 2/2019 LA RIVISTA DELLE POLITICHE SOCIALI

Giordana Pallone dal 2012 è responsabile dell’Ufficio riforme istituzionali della Cgil nazionale e dal 2017 segue le politiche di contrasto alla povertà. Consigliere Cnel nella consiliatura in corso.

Fonte: RPS 2/2019 FREE TEXT LA RIVISTA DELLE POLITICHE SOCIALI

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