Cambio climatico: l’impatto negativo della TAV

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L’agenda 2030 dell’ONU si chiama così in quanto, nel 2015, 193 Paesi membri dell’ONU definirono 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030. Questa data è importante soprattutto per “l’obiettivo 13”, relativo alla lotta al cambiamento climatico, perché tutti gli studi dei climatologi indicano che per riuscire a contenere l’aumento delle temperature entro 1,5° o 2° è necessario diminuire le emissioni del 55% entro il 2030, e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. E forse, anche così, non basterà ancora.

Le ipocrisie della TAV

Nonostante l’impegno preso allora, e ribadito (anche se senza vincoli stringenti) nella COP26 che si è tenuta recentemente, in Italia tutti i governi che si sono susseguiti dal 2015 a oggi hanno continuato a sostenere la necessità di costruire il tunnel di base del TAV, o per meglio dire della NLTL (Nuova Linea Torino Lione), benché sia evidente, in quanto dichiarato dalla stessa TELT (la società che la realizzare tale grande opera), e scritto ufficialmente nei Quaderni dell’Osservatorio, che “la costruzione del tunnel di base di due canne da 57,2 km tra Italia e Francia genererà emissioni di CO2 pari a 10 milioni di tonnellate”.

Questo può accadere perché, nonostante i dati sulle emissioni dei Gas a Effetto Serra, la NLTL è presentata mediaticamente dai suoi promotori sia come un’opera “green” (in quanto il trasporto su ferro è meno climalterante di quello su gomma) sia come il motore della crescita sostenibile del PIL a livello locale, nazionale ed europeo.

E può accadere anche perché, nonostante l’urgenza di un cambio di rotta, che dovrebbe essere facilmente percepito vista la posta in gioco implicata dal surriscaldamento globale, a Glasgow l’Italia, con il ministro Cingolani, ha continuato a tenere un atteggiamento molto ambiguo, senza avere per esempio il coraggio di eliminare gli incentivi alle energie fossili ed evitando di firmare l’accordo sulla sospensione delle ricerche petrolifere (BOGA).

D’altra parte, l’ipocrisia sottostante la propaganda sul TAV – compresa la dichiarazione secondo cuila NLTL dovrebbe far diminuire il traffico su gomma – è diventata palese nel momento in cui in Val di Susa, oltre al tunnel geognostico di Chiomonte, l’unica altra opera connesse alla NLTL che è stata iniziata, è la costruzione del nuovo autoporto di San Didero, ossia un’opera al servizio dello spostamento merci su gomma. Si potrebbe ovviamente obiettare che un autoporto serve perché il trasferimento modale da gomma a ferro non potrà avvenire immediatamente (mentre l’autoporto di Susa va eliminato subito), ma questo ragionamento non tiene conto del fatto che a Orbassano (altro punto nodale della tratta nazionale della NLTL) un autoporto non così lontano esiste già e, soprattutto, l’attuale linea storica sarebbe già più che sufficiente per tutti i flussi di merci esistenti fra Torino e Lione, se solo si volesse davvero rispettare la condizione di saturazione della linea storica che era stata posta alla base del trattato per la costruzione della NLTL.

Se ci fosse davvero l’intenzione di ridurre prima possibile le emissioni dei Gas a Effetto Serra, infatti, visto il completo sottoutilizzo della linea storica, l’unica cosa seria da fare per evitare di continuare a spostare merci sui Tir, sarebbe attivare seriamente e da subito la cosiddetta “autostrada viaggiante” tramite i vagoni Modalhor che possono caricare interi autocarri proprio allo scalo di Orbassano. Poiché è evidente che nessuno al governo vuole adottare misure che implicherebbero l’ammissione dell’inutilità della NLTL e il reale utilizzo della linea esistente, i proponenti l’opera continuano a sostenere che l’unico modo per il trasferimento modale, che avverrebbe comunque fra 30 anni, è costruire una nuova linea.

Nessuno però sembra ricordarsi che le emissioni di CO2 non sono da considerare solo quando un’opera entra in funzione ma anche, e soprattutto, quando questa viene realizzata e, in questo caso, sono gli stessi promotori della NLTL che dichiarano i 10 milioni di tonnellate di CO2 solo per lo scavo del tunnel di base nella tratta internazionale. Anche prendendo per buone le ipotesi di TELT secondo cui, quando il tunnel fosse a regime nel 2050, ci sarebbero dei guadagni in termini di emissioni di CO2 grazie allo spostamento del traffico merci da gomma su ferro, le emissioni generate in fase di cantiere verrebbero recuperate soltanto nel 2055, ossia ben 5 anni più tardi rispetto a quando dovremmo azzerare le emissioni stando agli Accordi di Parigi. Se invece le previsioni di traffico non si rivelassero corrette (cosa altamente probabile vista la sopravvalutazione del traffico merci e dello spostamento modale fatta da TELT) e si assistesse a un raggiungimento di solo il 50% dei traffici previsti, la compensazione della CO2emessa non avverrebbe prima del 2080, non permettendo dunque di rispettare in alcun modo i target climatici.

Tutto ciò, per altro, riguarda solo la parte internazionale della NLTL, ma ora, dopo quasi un decennio in cui il progetto preliminare della tratta nazionale è rimasto chiuso nei cassetti di chi lo aveva ideato, il governo Draghi ha nominato un commissario straordinario per realizzare anche la parte di opera nazionale tramite fondi che derivano ancora da TELT, ossia da una società di diritto francese, a cui viene evidentemente data giurisdizione per operare anche sul territorio italiano.

La realizzazione della tratta nazionale, esattamente come la realizzazione del tunnel di base fra Italia e Francia, non sarà meno impattante sia rispetto alla devastazione del territorio che rispetto alle emissioni climalteranti generate, visto che nella tratta fra Avigliana e Orbassano prevede lo sventramento della collina morenica per la costruzione di un’enorme trincea, che poi verrà ricoperta con la terra estratta dal tunnel. Essendo appurato che i lavori di scavo e il trasporto della roccia estratta su camion, comportano un sensibile aumento degli inquinanti a livello locale (come particolato ed ossidi di azoto), oltre alle conseguenze dell’inquinamento dell’aria a lungo termine, ci si dovrà aspettare (in un territorio molto più urbanizzato di quello montano di Chiomonte) anche gravi conseguenze sulla salute degli abitanti. E in effetti, anche in questo caso, i dati dei proponenti l’o- pera prevedono un aumento delle patologie cardiocircolatorie e respiratorie nella popolazione dal 10% al 20%, ma queste considerazioni di salute pubblica, sommate a quelle di alterazione del clima e di tutte le conseguenze disastrose ad esse correlate, non sembrano scalfire la fiducia nella NLTL di una gran parte dei sindaci e della popolazione di Torino e cintura.

Quale transizione ecologica

La stessa sopravvalutazione del traffico merci che induce TELT a sostenere (falsamente) l’utilità dell’opera dal punto di vista economico, è peraltro ciò che dovrebbe portare a riflettere proprio sul modello di sviluppo sotteso da questo tipo di opere climalteranti, perché implica sia l‘idea che le merci debbano essere fatte girare per tutta Europa, indipendentemente dall’utilità di tali spostamenti/scambi, sia l’idea che la produzione di merci locale sia meno importante dell’organizzazione della logistica e quindi, anziché creare posti di lavoro per la produzione in Italia, sia meglio progettare opere che favoriscano soltanto lo spostamento e rivendita di merci prodotte altrove grazie alla delocalizzazione.

La domanda che si dovrebbero fare tutti coloro che non hanno interessi diretti nella realizzazione della NLTL, ma nonostante ciò tifano, magari anche in buona fede, a favore dell’opera come se rappresentasse la panacea alla deindustrializzazione del Nord Ovest, è se davvero si possa parlare di una transizione ecologica se si continuano a mantenere ritmi di consumo e spostamento merci che hanno caratterizzato gli ultimi decenni (e che sono stati appena scalfiti dalla pandemia, dato che questa ha dato ancor più la stura agli acquisti on line di oggetti inutili provenienti da ogni parte del mondo).

Il Movimento NoTav è da quasi 30 anni che si batte contro quest’opera, cercando non solo di impedirne la realizzazione operativamente, ma facendo anche una lunga e lenta opera di informazione della popolazione per comprendere la portata fisica, ecologica, sanitaria ed economica di questo tipo di opere, che non sono altro che la realizzazione di una visione predatoria e climalterante del territorio, benché vengano spacciate come sviluppo dello stesso.

In questo senso il Movimento NoTav ha rappresentato, e continua a rappresentare, un importante presidio di lotta locale a quel fenomeno internazionale del modello capitalista inquinante e predatorio che ritiene che in un mondo finito si possa continuare a consumare risorse all’infinito, per questo Rifondazione non può che continuare ad affiancarlo supportandolo in tutte le lotte che ancora lo attendono.


Fiorenza Arisio, assessora all’ambiente e sanità nel Comune di Avigliana dal 2017, attivista NoTav e iscritta al PRC, si è trasferita in Val di Susa da Torino nel 1996 e da allora si è sempre occupata di questioni ambientali.

www.sulatesta.net

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