Che ne sarà di colf, assistenti domiciliari e baby sitter

Sono anni che ci costringiamo a guardare il ‘bicchiere mezzo pieno’. Anni che aspettiamo che il welfare torni protagonista nell’agenda politica ed economica di questo paese. E ancora, sono anni che lottiamo per mostrare alle istituzioni e alla politica il valore economico e sociale di un settore, quello domestico, che ha a che fare con la vita di 10 milioni di persone.

L’emergenza coronavirus avrebbe potuto rappresentare la giusta occasione per invertire la tendenza ma, purtroppo, ancora una volta non è andata così. Almeno fino ad oggi.

Decreto dopo decreto abbiamo potuto confermare quanto la politica sia distante dalle esigenze delle persone, in particolare da quelle che ogni giorno (e non solo in questa emergenza) sono obbligate a confrontarsi con i limiti di un sistema che ha dimenticato chi deve assistere anziani, malati, disabili, persone non autosufficienti e bambini. L’azienda famiglia, la cellula base del welfare italiano, quello autorganizzato, ‘fai da te’, quello che assume personale non per produrre ricchezza ma per soddisfare un’esigenza fondamentale di assistenza, che dà lavoro alle donne straniere e che oggi rischiano di restare senza reddito proprio a causa di quel provvedimento nato con lo scopo di ‘curare’ il nostro paese.

Il decreto legge n.18 del 17 marzo 2020 ha, infatti, escluso il comparto domestico dalla cassa integrazione in deroga. Una misura pensata per le imprese (ne siamo consapevoli) e che, quindi, avrebbe avuto bisogno di alcuni correttivi per essere applicata a colf, badanti e baby sitter ma di cui c’era veramente bisogno. Sono i dati a dircelo: ad oggi la maggior parte delle famiglie che si avvalgono dell’aiuto in casa di personale domestico ha interrotto le prestazioni per motivi di diversa natura, tra cui la paura del contagio ma anche e soprattutto per problemi economici. Fino a questo momento siamo riusciti a gestire la situazione con soluzioni tampone: godimento delle ferie, sospensione extraferiale o permessi non retribuiti. Ma cosa succederà quando lavoratori e lavoratrici avranno terminato i giorni di ferie o quando le famiglie non saranno più in grado di sostenere il peso economico del domestico che non lavora?

A quel punto, nostro malgrado, l’unica strada percorribile sarà quella del licenziamento.

Consapevoli di questa possibilità, con Assindatcolf (Associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico) abbiamo fin da subito chiesto al governo di prevedere degli aiuti economici per il comparto. Un appello che vogliamo rinnovare: se non sarà la cassa integrazione in deroga allora, per questo mese di marzo, dovrà essere il reddito di ultima istanza. Attenzione però a come si scrivono le regole e a prevedere un’indennità che sia economicamente davvero equiparabile alla cassa integrazione. In ogni caso, già dall’annunciato decreto di aprile, chiediamo che il settore venga compreso nella cassa in deroga. Ormai non siamo neanche più i soli a chiederlo, solo in questo modo possiamo da una parte, aiutare le famiglie non mettendole davanti al bivio del licenziamento e, dall’altra, sostenere almeno gli 800 mila lavoratori regolari, per gli altri 1,2 milioni di lavoratori in nero del comparto, che rischiano di restare senza reddito. Una misura tampone potrà essere l’annunciato “reddito d’emergenza” ma senza misure strutturali non servirà a nulla.

Infine, ma questo è un ragionamento generale, crediamo che sia il momento di inserire tra le misure per il rilancio dell’economia sia la sanatoria per gli immigrati senza permesso di soggiorno, che la deducibilità del costo del lavoro dal reddito della famiglia datrice. Tutto il costo: retribuzione, contributi e TFR. Questa è l’unica misura strutturale che permetterà una concreta lotta al lavoro nero e, in questo momento storico, oltre alla funzione di redistribuzione di reddito alle famiglie, sarebbe un moltiplicatore economico per i consumi che potrebbero arrivare a oltre 4 miliardi, vero ossigeno per l’economia dopo il coronavirus.

Andrea Zini

31/3/2020 http://www.ingenere.it

Leggi anche

Dieci proposte per salvare il lavoro di cura

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *