Crisi climatica, diseguaglianze sociali e nuova radicalità

Le statistiche sul reddito rendono solo parzialmente la realtà delle condizioni di vita delle popolazioni, soprattutto quelle in condizioni più misere e precarie, tuttavia rendono conto delle diseguaglianze crescenti degli ultimi decenni. Il rapporto Oxfam sulle diseguaglianze sulla scia della pandemia Covid-191 CI informa che la ricchezza delle 10 persone più ricche del mondo è raddoppiata dall’inizio della pandemia, hanno accumulato 810 miliardi di dollari tra il maro 2020 e il novembre 2021, mentre -parlando di clima- l’uno per cento più ricco è responsabile di livello di emissioni equivalente a quello della parte più povera della popolazione mondiale  composta da  3,1 miliardi di persone. La Banca mondiale stima che una percentuale del 8,5% della popolazione mondiale (685 milioni di persone) sia estremamente povera a fine 2002con un reddito inferiore a 1,90 dollari al giorno.

Questi dati ci sono ricordati da un paper della Brookings Institution ‘The forgotten 3 billion’2da cui estraiamo informazioni nel seguito– dove viene ricordato come la parte ricca, abbiente della popolazione mondiale -definita secondo lo World Data Lab dalla possibilità di spendere più di 120 dollari (secondo il potere di acquisto del 2017) per componente della famiglia- è composta da 250 milioni di persone. Vengono definiti come appartenenti alla classe media quei 3,6 miliardi di persone con un reddito giornaliero tra 12 e 120 dollari.

I 3 gruppi citati comprendono 4,6 miliardi di persone sugli 8 miliardi della popolazione mondiale, nasce allora la domanda su chi siano, in quali condizioni vivano, i rimanenti 3,4 miliardi. La loro condizione è definita come vulnerabile, vale a dire che corrono il rischio di cadere in condizioni di ‘estrema povertà’ per problematiche, eventi nel campo dell’economia, della salute, della guerra o del clima.

Ovviamente i più vicini alla soglia dei 2 dollari rischiano maggiormente di piombare nelle condizioni di povertà più estrema mentre -ci dicono queste fonti statistiche- ogni anno 100 milioni id persone superavano la soglia dei 12 dollari al giorno (indice di classe media), ridotti a 90 con la pandemia.

È evidente la schematicità di questi dati che non rendono conto -al di là del margine di approssimazione- del complesso delle condizioni di vita dei fattori di rischio che ne minacciano l’esistenza.

La congiuntura attuale è caratterizzata dall’intreccio di più processi che possiamo definire di crisi, la pandemia Covid-19 da Sars-Cov2  -con le sue conseguenze sul ciclo economico mondiale caratterizzato da un succedersi di ‘stop and go’- la crisi climatica, le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa sui mercati delle materie prima energetiche ed alimentari, sul piano finanziario l’intreccio micidiale tra processo inflazionistico ed intervento deflattivo delle banche centrali. Le varie regioni del mondo, della formazione sociale globale, sono attraversate in maniera differenziata da questi processi in funzione della loro collocazione nella divisione internazionale del lavoro, nel mercato delle materie prime e nei marcati monetari e finanziari.

In buona sostanza una condizione di marcata instabilità degli assetti globali, variamente definiti come geopolitici, geostrategici e quant’altro, non è alle viste un orizzonte di stabilità; la condizione quindi delle varie fasce della popolazione mondiale è precaria in maniera inversamente proporzionale alle risorse di cui dispone. Possiamo considerare quei 3,4 miliardi di persone a cui si riferisce l’articolo della Brookings Institution, che sono a ridosso della condizione di massima povertà, come quelli la cui condizione è suscettibile di peggiorare per le conseguenze dei processi di crisi attuali, variamente intrecciati nelle loro conseguenze.

È necessaria una lettura delle situazioni reali per dare concretezza a quelle cifre; negli ultimi decenni parallelamente alla crescita demografica della popolazione mondiale si è accentuato il processo di urbanizzazione, di abbandono delle campagne con la conseguente creazione di enormi megalopoli. Questa crescita demografica si produce in maniera fortemente diseguale tra paese e paese e tra continenti diversi;  il caso più clamoroso è quello dell’Africa dove secondo le ultime proiezioni la popolazione è destinata a passare da 1,25 miliardi nel 2019 a 2,5 nel 20503 di cui 2,1 nell’Africa subsahariana. Non è intenzione di chi scrive fare una analisi dei fattori che hanno influenzato ed influenzano gli andamenti demografici nelle diverse regioni del globo e quanto le diverse politiche nazionali influiscano in maniera più o meno esplicita; il caso della Cina che dopo decenni di politica del figlio unico è costretta ad abbandonare quella strategia di fronte al progressivo invecchiamento della popolazione è un caso esemplare, significativo della difficoltà di controllare il tasso di riproduzione della popolazione il quale è ovviamente strettamente correlato con tutte le caratteristiche delle formazioni sociali. Il dato citato all’inizio che l’uno per cento più ricco è responsabile di livello di emissioni quanto la parte più povera della popolazione mondiale composta da 3,1 miliardi di persone sintetizza la situazione in cui viviamo; la parte più ricca della popolazione mondiale consuma molte più risorse e produce molte più emissioni climalteranti, in un circolo vizioso che produce effetti sempre più catastrofici. La crisi climatica, prodotta dal riscaldamento globale costituisce il contenitore di tutte le altre crisi ne è aggravata e le aggrava a sua volta e colpisce in maniera diseguale.

Si dice che la strategia nei confronti della crisi climatica sia duplice: adattamento e mitigazione, il cui significato in termini generali è ovvia; la mitigazione sembra non procedere, anzi non procede come dovrebbe – ne dà evidenza il fallimento della COP26 di Glasgow- mentre l’adattamento richiede l’uso di risorse sempre più ingenti di fronte al ripetersi sempre più frequente di eventi metereologici di carattere catastrofico sempre più gravi. A queste conseguenze non è possibile porre rimedio, non basta costruire dighe per opporsi all’innalzamento del livello dei mari; in generale è messo in discussione il processo di strutturazione e urbanizzazione dei territori, si impone una modifica in loco -struttura per struttura- e a livello regionale della disposizione delle comunità.

Il cambiamento climatico ha la forza di destrutturare anche le società più complesse ed avanzate, facendo superare soglie oltre le quali vanno ridefiniti interi assetti societari e regionali. Basta pensare allo scioglimento dei ghiacciai alpini, se – come è probabile- si supererà la soglia del riscaldamento globale medio di 1,5 gradi centigradi, nel giro di alcuni decenni lo scioglimento non riguarderà il già previsto 30%, ma si arriverà al 90% mettendo in crisi l’approvvigionamento idrico dell’intera Val Padana. Le diseguaglianze di fronte al cambiamento climatico sono destinate a crescere -i famosi 100 miliardi di dollari da parte dei paesi più ricchi per i paesi più poveri per contrarne gli effetti sono di là da venire- e il dato più assurdo è che si investiranno sempre più risorse per mitigare gli effetti del cambiamento climatico senza investirne abbastanza per evitarlo.

Processi di riconversione dei rapporti di produzione e riproduzione a fronte del cambiamento climatico sono in atto e non sono trascurabili, investono più o meno fortemente intere filiere produttive, tuttavia sono radicalmente inadeguati e non costituiscono il cuore, il motore dei processi trasformativi, evolutivi della formazione sociale globale dei suoi diversi assetti regionali. Gli ultimi mesi abbiamo visto gli effetti di eventi estremi sulla ricca Florida e sul povero Pakistan. Se in Florida i morti provocati dall’uragano Ian4 sono stati decine con miliardi di dollari danni , le conseguenze delle inondazioni in Pakistan hanno riguardato milioni di persone5; le cronache passano rapidamente ad altri eventi, ad altri disastri, ma le conseguenze saranno durature, ciò a cui abbiamo assistito fa pensare che interi territori siano destinati a diventare inabitabili nei prossimi decenni per il succedersi di eventi estremi.

Nello specifico del nostro paese, la complessa configurazione orografica ha fatto sperimentare negli ultimi decenni un crescendo di situazioni critiche, più o meno catastrofiche, comunque in grado di produrre un senso di precarietà della propria condizione materiale, nel senso della fisicità del proprio stare, muoversi vivere in un determinato territorio.

Emerge una crisi profonda senso di precarietà, provocato dallo spossessamento del proprio fondamento ‘terrestre’, quel sentire, quella condizione che Bruno Latour analizza nel suo testo del 2017 ‘Où Atterrir’. Un testo complesso non riassumibile in poche righe. Il cambiamento climatico costituisce un motore di importanza crescente nella produzione di movimenti migratori che rispondono alla crescita delle disuguaglianze a livello mondiale.

La globalizzazione neoliberista ha tacciato ogni forma di resistenza al suo procedere come reazionaria, come difesa di interessi locali contro l’affermarsi progressivo – nel suo duplice senso- di un interesse generale, significa rifiutare la modernizzazione6. In realtà ci dice Latour questi punti di vista nascondo l’evento capitale che mette in pericolo il grande progetto della modernizzazione: in ogni modo esso è diventato impossibile, poiché non c’è una Terra che abbia la dimensione adatta a contenere il suo ideale di progresso, di emancipazione e di sviluppo. Di conseguenza è in corso la metamorfosi di tutte le appartenenze – al globo, al mondo, alle province, ai territori, al mercato mondiale, ai suoli o alle tradizioni.

La riflessione di Latour si sviluppa sotto l’effetto dell’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, l’elezione di un negazionista del cambiamento climatico che infatti abbandona l’accordo di Parigi7 Tuttavia gli sviluppi successivi alla presidenza Trump mostrano ciò che inevitabilmente si affermerà, anche se non esplicitamente rivendicato, ed è la decisione di abbandonare una parte sempre più rilevante del mondo al suo destino, a fronte della incapacità di dare alla trasformazione sociale una dimensione compatibile con la dimensione della Terra, dell’umanità che è un tutt’uno con il globo che abita; ciò avviene come sempre in maniera contraddittoria, con andamenti diseguali, tuttavia come abbiamo già più volte sottolineato lo stesso iper-sviluppo tecnologico trainato dal e reso possibile dalle tecnologie digitali, in buona sostanza non è al servizio della salvezza dell’umanità, ma è sempre più finalizzato al preservare le condizioni di vita di una minoranza, peraltro a costi crescenti. Anche le ideologie più progressive espresse a copertura dell’attuale modo di produzione non riescono a nascondere questa realtà.

Alcuni passaggi del testo di Latour chiariscono la condizione in cui noi ci troviamo8 Le ultime parole del testo in nota sono chiare “Finché la terra sembrava stabile, si poteva parlare di spazio per situarci all’interno di questo spazio su una porzione di territorio che noi pretendevamo di occupare. Ma come fare se il territorio stesso si mette a partecipare alla storia, a rispondere colpo su colpo, in breve ad occuparsi di noi? L’espressione: ‘Io appartengo ad un territorio’ cambia di senso: essa designa ormai l’istanza che possiede il proprietario”

Ovvero “Se il Terrestre non è più il quadro dell’azione umana, è perché vi prende parte. Lo spazio non è più quello della cartografia, con la sua quadrettatura di longitudini e latitudini. Lo spazio è diventato una storia agitata di cui noi siamo attori assieme ad altri, reagendo alle reazioni altrui. Sembra che si stia atterrando in piena geostoria.”

L’analisi politica dei diversi movimenti, variamente definiti come populisti, che nascono, si esprimono come reazione al processo di globalizzazione, alla frantumazione della composizione sociale, alle identità sociali, territoriali e nazionali, nelle loro dimensioni variamente localiste, si arricchisce di un senso più profondo di spossessamento della propria collocazione nel mondo, sulla terra, in una specifica regione del globo, in uno specifico spazio di vita. Tutte le dimensioni della condizione umana sono messe in discussione, sotto l’identità, la prassi che si svolge, si identifica e ci conferma nel mondo delle merci, ha continuato ad esistere la certezza della nostra naturalità, della permanenza nel mondo, terra, natura, mondo della vita, cui ritornare a fronte delle torsioni della psiche dei ritmi di vita, per l’appunto ‘innaturali’.  Ora emerge prepotentemente un senso di precarietà totale nel quale la catastrofe climatica riassume la tragedia di un mondo della vita devastato nei suoi processi di riproduzione più intimi dai processi di riproduzione del mondo delle merci.

Nasce la domanda di come la capacità di critica di questo stato di cose da parte dell’ecologia politica non sia stata in grado di affermarsi a fronte del riconoscimento universale delle sue ragioni9; così come è legittimo chiedersi come il capitalismo abbia trionfato nelle sue diverse versioni contro ogni movimento critico ed antagonista10, con la fallimentare esperienza di mediare con la globalizzazione neoliberista nell’ultimo decennio del secolo scorso, che ha portato alla polarizzazione tra locale e globale, dove il locale rivendica la sua specificità contro l’omologazione della globalizzazione. In termini di complessità il globo della globalizzazione corrisponde ad una riduzione di complessità della Terra.

Lo sguardo filosofico, antropologico di Latour non approfondisce la dimensione ecologica, ma si riferisce all’elaborazione dell’ipotesi di Gaia11 da parte di Lovelock e Margulis12 come la scoperta, l’affermazione della capacità del vivente di modificare l’ambiente in cui si riproduce, di essere un tutt’uno con esso; come peraltro la ricostruzione dell’evoluzione dei sistemi viventi sul nostro pianeta ha assodato, a partire dalla produzione della componente ossigeno nell’atmosfera. Attorno a gaia si è dispiegato un dibattito sempre più articolato, con interpretazioni che vanno dal considerare Gaia un ‘unico essere’ alla sua riduzione all’insieme delle ‘Scienze della terra’ ad un sistema di sottosistemi, sino ad una semplice, suggestiva metafora13; nel frattempo dagli anni ‘ 70 del secolo scorso è straordinariamente cresciuta la capacità di comprendere i meccanismi complessi che regolano gli esseri viventi, i sistemi ecologici, il cambiamento climatico ed i fenomeni metereologici. Se i tempi di nascita ed evoluzione della vita sul nostro pianeta si misurano in miliardi di anni, attraversando diverse ere geologiche, la crescente azione antropica sta portando a tali modifiche negli assetti climatici ed ecologici, nella presenza pervasiva di infrastrutture e manufatti sulla superficie del globo da definire una sorta di nuova era geologica l’Antropocene, che avrebbe tutte le caratteristiche di un’era per i cambiamenti profondi indotti negli assetti climatici e nelle modificazioni radicali della superfice del globo. I processi di cambiamento indotti dal riscaldamento globale e dall’azione entropica a livello locale, regionale e globale o non avrebbero avuto luogo o avrebbero avuto durate non nell’ordine dei decenni ma dei secoli o dei millenni. Gli assetti della società umana nel loro complesso sono radicalmente a rischio, Gaia muterà e se ci sarà qualcuno per farlo, se ne potrà aggiornare la descrizione secondo i linguaggi della umanità sopravvissuta.

Abbiamo iniziato queste note con alcune statistiche sulle diseguaglianze economiche a livello globale ed abbiamo introdotto le questioni del clima, alcune riflessioni di Bruno Latour riflettendo su come le crisi in corso possano investire e devastare la condizione precaria in cui si trovano miliardi di persone, in particolare la crisi climatica i cui effetti sono aggravati da condizioni specifiche sociali e territoriali, aggravandole a sua volta. In buona sostanza una analisi di classe che non prenda in esame il rapporto con il mondo della vita, in tutte le sue dimensioni, perde il suo carattere materialista. Se le terze vie sono fallite, una nuova radicalità richiede di assumere come cuore ineludibile di nuove pratiche la rottura catastrofica del rapporto di capitale col mondo della vita, che peraltro si cerca di riperderne il controllo con lo sviluppo delle tecnologie di manipolazione della vita, con una logica fortemente selettiva nei confronti delle fette di umanità da salvare.

A fronte di una tale complessità la riconquista delle conoscenze acquisite, dei processi di produzione delle scienze e delle conoscenze è parte ineludibile di un processo di liberazione. Il confronto con la pandemia ci ha mostrato quanto sia arduo questo compito laddove il moltiplicarsi delle patologie e delle sofferenze nelle nostre società è motore dei profitti crescente di Big Farma e conferma la battaglia per il diritto alla cura come contenuto centrale di ogni movimento antagonista e di liberazione.

P.s. Dopo il fallimento della COP26 di Glasgow, quella egiziana a Sharm el Sheikh non si presenta sotto migliori auspici, tuttavia è giusto non partecipare per non dare lustro e legittimazione al regime che dittatoriale che ha ucciso Giulio Regeni. Al contrario dobbiamo usare questa scadenza per creare e rafforzare una rete internazionale per una trasformazione radicale del modo di produzione, della formazione sociale globale, per la transizione ecologica ed energetica. Ci aspettano comunque conseguenze catastrofiche, ma dobbiamo lottare per evitare una catastrofe ben più profonda.

  1. Inequality Kills The unparalleled action needed to combat unprecedented inequality in the wake of COVID-19 – OXFAM BRIEFING PAPER—JANUARY 2022 https://www.oxfam.org/en/research/inequality-kills []
  2. https://www.brookings.edu/blog/future-development/2022/10/21/the-forgotten-3-billion/ []
  3.   https://www.lavoce.info/archives/92430/meno-nascite-e-piu-scuola-la-doppia-sfida-dell-africa/ https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-crescita-demografica-dellafrica-29041 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/orizzonte-2050-le-prospettive-di-sviluppo-dellafrica-25861 []
  4. https://edition.cnn.com/2022/10/03/us/hurricane-ian-florida-recovery-monday/index.html []
  5. https://reliefweb.int/disaster/fl-2022-000254-pak  https://www.unicef.org/emergencies/devastating-floods-pakistan-2022 []
  6. Au bilan, la seule chose qui compte, ce n’est pas de savoir si vous êtes pour ou contre la mondialisation, pour ou contre le local, c’est de comprendre si vous parvenez à enregistrer, à maintenir, à chérir le plus grand nombre d’alternatives à l’appartenance au monde. On dira que c’est couper les cheveux en quatre et introduire des divisions artificielles pour mieux dissimuler quelque vieille idéologie du sang et du sol (Blut und Boden). Se faire une telle objection, c’est oublier l’événement massif qui est venu mettre en péril ce grand projet de modernisation : de toutes les façons, celui-ci est devenu impossible, puisqu’il n’y a pas de Terre qui soit de taille à contenir son idéal de progrès, d’émancipation et de développement. Par conséquent, ce sont toutes les appartenances qui sont en voie de métamorphose — au globe, au monde, aux provinces, aux terroirs, au marché mondial, aux sols ou aux traditions. Latour, Bruno. Où atterrir? (Cahiers libres) (French Edition) (p.23). La Découverte[]
  7. L’originalité de Trump, c’est de conjoindre dans un même geste, premièrement, la fuite en avant vers le profit maximal en abandonnant le reste du monde à son sort (pour représenter les « petites gens » on fait appel à des milliardaires !) ; deuxièmement, la fuite en arrière de tout un peuple vers le retour aux catégories nationales et ethniques (« Make America Great Again » derrière un mur !) []
  8.   Naguère, on pouvait encore dire que les humains étaient « sur terre » ou « dans la nature », qu’ils se trouvaient « à l’époque moderne » et qu’ils étaient des « humains » plus ou moins « responsables de leurs actions ». On pouvait distinguer une géographie « physique » et une géographie « humaine » comme s’il s’agissait de deux couches superposées. Mais comment dire où nous nous trouvons si ce « sur » ou « dans » quoi nous sommes placés se met à réagir à nos actions, revient sur nous, nous enferme, nous domine, exige quelque chose et nous emporte dans sa course ? Comment distinguer dorénavant la géographie physique et la géographie humaine ? Tant que la terre semblait stable, on pouvait parler d’espace et se situer à l’intérieur de cet espace et sur une portion de territoire que nous prétendions occuper. Mais comment faire si le territoire lui-même se met à participer à l’histoire, à rendre coup sur coup, bref, à s’occuper de nous ? L’expression : « J’appartiens à un territoire » a changé de sens : elle désigne maintenant l’instance qui possède le propriétaire[]
  9. Moderniser ou écologiser, c’est devenu le choix vital. Tout le monde en convient. Et pourtant, elle a échoué. Tout le monde en convient également.[]
  10. Si les analyses en termes de classe n’ont, en fin de compte, jamais permis aux Gauches de résister durablement à leurs ennemis — ce qui explique l’échec des prévisions de Polanyi sur l’extinction du libéralisme —, c’est qu’elles avaient du monde matériel une définition si abstraite, si idéale, pour ne pas dire idéaliste, qu’elles ont mal accroché cette réalité nouvelle.  (…) Comment prendre pour « réaliste » un projet de modernisation qui aurait « oublié » depuis deux siècles de prévoir les réactions du globe terraqué aux actions humaines ? Comment accepter que soient « objectives » des théories économiques incapables d’intégrer dans leurs calculs la rareté de ressources dont elles avaient pourtant pour but de prévoir l’épuisement61 ? Comment parler d’« efficacité » à propos de systèmes techniques qui n’ont pas su intégrer dans leurs plans de quoi durer plus de quelques décennies ? Comment appeler « rationaliste » un idéal de civilisation coupable d’une erreur de prévision si magistrale qu’elle interdit à des parents de céder un monde habité à leurs enfants.[]
  11.   vedi ad esempio http://www.progettogaia.it/ipotesi-gaia/pagine/margulis.htm  https://en.wikipedia.org/wiki/Gaia_hypothesis  []
  12. vedi Extending the Domain of Freedom, or Why Gaia Is So Hard to Understand – Bruno Latour and Timothy M. Lenton []
  13. In proposito vedi https://web.archive.org/web/20120223165936/http://www.wildethics.org/essays/the_mechanical_and_the_organic.html#_ftnref1  The Mechanical and the Organic: On the Impact of Metaphor in Science[]

Roberto Rosso

26/10/2022 https://transform-italia.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *