ESPORTARE DEMOCRAZIA …. IMPOVERISCE


Così come è vero che nessuno, sincero democratico, potrà mai dichiararsi lieto della eclatante vittoria degli studenti fondamentalisti islamici in Afghanistan e gioire della seconda, precipitosa (1) fuga dell’esercito Usa – dopo quella da Saigon, nell’aprile 1975 – è altrettanto, drammaticamente, vero che è giunta l’ora di guardare in faccia la realtà.
È ormai tempo di prendere quindi atto del completo fallimento del principio secondo il quale l’unica via per tentare di risolvere i conflitti nel mondo sia rappresentata dal ricorso alle armi. Soprattutto quando si pretende di farlo in nome e per conto della “democrazia”!

È questa, infatti, la motivazione cui – con notevole e sistematica frequenza, indipendentemente dal fatto che fossero i Repubblicani, piuttosto che i Democratici, a deciderne il percorso – hanno fatto ricorso le diverse Amministrazioni Usa per tentare di giustificare le loro reiterate ingerenze negli affari interni di altri Stati sovrani.
In questo senso, la c.d. “esportazione della democrazia”, ha sempre e solo rappresentato un misero ed effimero alibi per interventi tesi, di norma, a tutelare propri interessi economici e strategici (se non, addirittura, a sostegno e/o ripristino di regimi politici di natura dittatoriale).

Fino al punto che appare sin troppo scontata un’amara considerazione: “Nel reiterato e pluriennale sforzo di esportare democrazia, c’è oggi da prendere atto che la società civile nordamericana ne sconta un grave deficit interno”!
Ciò detto, pur consapevole che questo possa rappresentare un’eresia agli occhi di coloro i quali ancora guardano oltre Atlantico come al “Paese delle opportunità”, del “Self made man” e, ancora, laddove anche a un “nero” è consentito diventare Presidente, è, però, agevole opporre un’infinita serie di esempi che dimostrano – a mio parere, in modo inoppugnabile – che la tenuta della democrazia Usa è, allo stato, (per lo meno) “claudicante”.
In questo senso, scusandomi per l’auto-citazione, mi sono già soffermato, in precedenti occasioni (2), rispetto ad alcune problematiche della società nordamericana che, credo, concorrano a (profondamente) ridimensionarne il mito e a renderne improponibile la pretesa di esportare altro se non armi e petrolio.


In effetti, in un Paese che ha, in primis, un sistema elettorale tutt’altro che democratico (“escludente”, più che “inclusivo”) e, ciò nonostante, con continui tentativi – da parte degli Stati repubblicani, in particolare – di limitare il diritto di voto delle minoranze; con un sistema giudiziario nel quale l’autonomia della Magistratura non è minimamente paragonabile a quella vigente nel nostro Paese e la separazione dal potere politico appare spesso fin troppo labile; con un apparato penitenziario e penale (3) nel quale, sostanzialmente, vige il principio secondo il quale chi delinque, a qualsiasi livello, va lasciato fuori dal consesso civile, escludendone a priori la “reintegrazione” attraverso l’espiazione della pena detentiva; con una struttura scolastica e universitaria classista, nella quale, in nome della “meritocrazia” s’infrangono le più elementari norme circa l’uguaglianza dei diritti dei cittadini e nel quale, sorvolando sull’enorme costo e sull’inefficienza di un sistema sanitario anch’esso “di classe”, è stata ampiamente diffusa (o, peggio, inculcata) un’aberrante concezione della povertà, secondo la quale il “povero” è tale (4) solo in virtù di chissà quali misfatti; credo che, piuttosto che “esportata”, la democrazia andrebbe, addirittura, ripristinata ed esercitata!
In tale contesto non sorprende che neanche la più recente alternanza tra Repubblicani e Democratici stia, concretamente, producendo chissà quali epocali cambiamenti.

Tornando alla questione afghana e sorvolando sul susseguirsi delle vicende politico-militari, che, nell’arco di quarant’anni, hanno visto la disinvolta alternanza delle coalizioni in campo tra Usa, ex Urss, mujahidin e talebani – con alleati che diventavano successivamente nemici e viceversa – non può non preoccupare la definitiva affermazione di un fanatismo religioso il cui unico punto di riferimento è rappresentato dal rispetto della Shari’a. Un complesso di regole di vita e di comportamento che si estendono fino a comprendere ogni atto: da quelli di natura individuale ed interiore (legati all’unica religione consentita), a quelli esteriori legati alla sfera sociale; personale e collettiva. Fino a prevedere una condizione femminile che, di là dalle continue smentite, è prevedibilmente riconducibile all’oscurantismo medioevale. Donne, quindi, relegate – dal fondamentalismo islamico – ai margini della società!

Opportuna, quindi, la posizione di Biden che, in più occasioni – appena insediatisi i talebani a Kabul – li ha invitati al rispetto dei diritti umani di tutti gli afgani; quelli delle donne, con particolare rilevanza ed insistenza. Di certo, però, i reiterati inviti del Presidente Usa sarebbero stati molto più credibili se – in altra occasione – avesse ritenuto opportuno usare pari enfasi e retorica anche per esprimere parole di condanna e sdegno nei confronti di quei politici Usa che – con particolare determinazione negli Stati governati dai Repubblicani – sono (da tempo) impegnati in vere e proprie “crociate” tese a limitare il diritto all’autodeterminazione delle donne in materia di aborto.

Da una breve cronistoria (5), si rileva che una vittoria storica per il movimento femminista Usa fu realizzata nel 1963 quando, grazie a una sentenza della Corte Suprema, fu legalizzata la pillola anticoncezionale per le donne coniugate. Trascorsero ben nove anni prima che la stessa possibilità fosse estesa alle nubili. Intanto, in quegli anni, alcuni Stati avevano già introdotto delle norme che consentivano l’aborto entro sei mesi dal concepimento. In altri ciò era consentito solo in alcuni casi particolari: stupro, incesto, pericolo di vita per il feto o per quella della madre. Con una sentenza altrettanto storica, la Corte Suprema stabilì, nel 1973, che nessuno Stato Usa avrebbe potuto impedire a una donna di abortire entro il primo trimestre dal concepimento. In tempi molto più recenti, nel 1992, un’altra sentenza della Suprema Corte stabilì che le donne potessero ricorrere all’aborto fino al compimento della 24° settimana e che nessuno Stato potesse vietarlo e/o ostacolarlo entro il limite dei tre mesi già previsti nel 1973.

Sembrerebbe, questa, una situazione abbastanza rassicurante per le donne che, per un motivo o per un altro, dovessero giungere alla – sempre penosa – decisione di interrompere una gravidanza in atto. Anche per l’aborto, però, la realtà Usa è una cosa ben diversa da quella che appare.
Infatti, come anticipato, è’ già da alcuni anni che, negli Stati governati dai repubblicani, la regolamentazione dell’aborto è oggetto di un vero e proprio “fuoco di sbarramento”; tanto per usare un termine spesso ricorrente di là dall’Atlantico!
Tra l’altro, la cosa che lascia sconcertati è che, pur di raggiungere l’obiettivo, i legislatori repubblicani, nel tentativo di “aggirare” le leggi federali e le sentenze della Corte Suprema, ricorrono a incredibili espedienti che spesso sfociano nel ridicolo e, in circostanze diverse, produrrebbero solo ilarità, oltre che sdegno, naturalmente. La tecnica è sempre la stessa; ampiamente diffusa e praticata. Così, ad esempio, in uno Stato del profondo Sud (a stragrande maggioranza repubblicana), pur di “dissuadere” i cittadini – in particolare, “neri” e “latinos” – dall’esercitare il diritto di voto, si riduce drasticamente il numero dei seggi elettorali nei quartieri in cui essi risiedono e si impedisce la vendita di bibite e hot dog nei pressi delle lunghe file di coloro che, ciò nonostante, attendono anche diverse ore prima di, caparbiamente, accedere ai pochi seggi ancora aperti. Nel caso dell’aborto, invece, diverse, ma altrettanto fantasiose, le disposizioni tese ad eludere le sentenze del 1973 e del 1992. Dal Texas, alla Louisiana, all’Alabama e il Mississippi, normative locali più o meno simili – dall’obbligo per i medici abortisti di fare ammettere le proprie pazienti in ospedali necessariamente vicini alla clinica in cui operavano, ai lunghi tempi di attesa, alla difficoltà di accesso ai farmaci e fino all’esclusione delle spese per l’interruzione della gravidanza da quelle coperte dal Medicaid (6) – avevano l’unico scopo, ipocritamente non dichiarato, di limitare il diritto delle donne a una scelta, comunque dolorosa, qual è l’aborto. Risale al 15 maggio 2019 una legge, approvata in Alabama, che vieta l’aborto in qualsiasi caso, senza alcuna eccezione, e prevede l’incredibile pena – per i medici che lo praticassero – di ben 99 anni di carcere!

In questo contesto, c’è poco da rallegrarsi e molto da preoccuparsi perché, nel contempo, dopo le ultime nomine operate da Trump, la Suprema Corte conta una maggioranza di 6 giudici conservatori su 9.
Non a caso, come riportato in un esauriente ed interessantissimo articolo (7) di Elisabetta Grande, appena qualche settimana fa, di fronte alla richiesta di bloccare una recente legge approvata nel Texas – che limita la possibilità di abortire solo fino alla sesta settimana di gravidanza (cioè quando la maggioranza delle donne non sa ancora di essere incinta) – la Corte ha risposto negativamente e si è riservata l’eventuale decisione di pronunciarsi sulla costituzionalità della stessa. Come se ciò non bastasse, i legislatori texani hanno anche fatto ricorso a quello che Elisabetta Grande (alla cui lettura rinvio il lettore) definisce un “geniale trucchetto” per rendere più difficile del solito impugnare la “drastica limitazione dell’autodeterminazione delle donne contenuta nella legge”.
Per giungere a questo, la suddetta legge prevede che “Qualunque cittadino, neppure necessariamente texano, potrà intentare un’azione civile nei confronti di chi – medico abortista, amica o parente che l’abbia sostenuta moralmente e economicamente e fino al tassista che l’abbia accompagnata presso la clinica” – abbia, comunque, concorso ad aiutare una donna a praticare un aborto.

Una pratica, dunque, abominevole che, per di più, prevede una ricompensa di 10 mila dollari (a carico del violatore) più il rimborso (8) delle spese legali a favore del “delatore di Stato (9)”!
L’amara conclusione è che anche il problema dell’aborto riflette il livello di vivibilità imposto, dalle condizioni socio-economiche, alle donne nordamericane. Infatti, se è vero che – “già da alcuni anni – il numero degli aborti in Usa è in netto calo, è altrettanto vero che esso scende tra le donne bianche e benestanti; non succede lo stesso tra le minoranze nere e latine (10). Infatti, è a tutti ampiamente noto che è più facile incorrere in una gravidanza indesiderata per le fasce più povere della popolazione (non ultimo, per il costo dei contraccettivi) e come, per le stesse, più difficile il mantenimento della prole.

Per concludere rilevo che, agli occhi di un (distratto) “osservatore esterno”, la determinazione, la fantasia, le furbizie e i trucchi, fino alla squallida pratica degli “informatori anonimi”, cui fanno ricorso i Repubblicani, al solo fine di limitare le pratiche abortive – maggiormente diffuse tra “nere”, “latine” e fasce più povere della popolazione statunitense – sembrerebbero in antitesi con il timore di ritrovare, quanto prima, tutti i “bianchi” in una condizione di “minoranza numerica”.
Contemporaneamente, Gianluca Petrosillo c’informa che dalla “Classifica annuale degli Stati americani” – che riporta informazioni quali livello di infrastrutture, accesso all’istruzione e qualità dell’assistenza sanitaria – si apprende: “Gli Stati che stanno promuovendo le limitazioni sull’aborto più stringenti sono gli stessi in cui ci sono meno opportunità di mobilità sociale e in cui la questione di genere è maggiormente radicata”.
Assistiamo, quindi, a un paradosso e a una politica miope ed autolesionista o, piuttosto, come personalmente temo, siamo di fronte alla cinica e arrogante certezza di una supremazia che, a prescindere dal valore e dal “peso” delle maggioranze e delle minoranze – che, della democrazia, rappresentano un principio fondamente – si ritiene destinata ad essere esercitata sempre e comunque?

p.s. Intanto, in Messico, un Paese che la stragrande maggioranza dei nordamericani considera al livello del “Terzo mondo”, succede che:
Con una decisione presa all’unanimità la Corte suprema del Messico ha stabilito che punire l’aborto è incostituzionale. Al termine di una sessione durata due giorni i giudici dell’alta corte hanno ritenuto contraria alla Costituzione la legislazione dello Stato di Coahuila, nel nord del Messico, che punisce le donne che praticano l’aborto e le persone che le fanno abortire dietro consenso con pene da uno a tre anni di reclusione. Arturo Zaldivar, presidente della Corte suprema messicana, ha accolto la decisione definendola “un momento spartiacque” per tutte le donne, soprattutto per quelle più vulnerabili. “Poiché la decisione è stata raggiunta con una maggioranza che supera gli otto voti, le ragioni della Corte sono vincolanti per ogni giudice in Messico, sia federale che locale”, ha sottolineato il massimo organo giudiziario. «Non si tratta del diritto all’aborto», ha dichiarato il giudice Luis María Aguilar che ha scritto il parere della Corte. «È piuttosto il diritto delle donne e delle persone in grado di portare avanti una gravidanza di prendere decisioni».

 NOTE
1- Appena l’8 luglio 2021, Biden aveva dichiarato: “L’Afghanistan non è il Vietnam. In nessuna circostanza vedrete mai persone che vengono prelevate dal tetto di un’ambasciata”. Evidentemente, per questo, l’evacuazione da Kabul è avvenuta dai tetti dell’aeroporto!
2- Fonti: “Cose dell’altro mondo”; pubblicato su www.blog-lavoroesalute.org del 4/01/2021. “Esportare democrazia”; pubblicato su www.micromega.net nel giugno 2021;
3- Fonte: “Il terzo strike”; di Elisabetta Grande; Ed. Sellerio.
4- Fonte: “Guai ai poveri”; di Elisabetta Grande; Ed. Gruppo Abele.
5- Fonte: “Una storia lunga come quella degli Stati Uniti”; di Gianluca Petrosillo; pubblicato su www.lospiegone.com
6- Introdotto nel 1965, il Medicaid è in buona sostanza un programma federale sanitario che aiuta i meno abbienti (le persone e le famiglie a basso reddito) a sostenere i costi di un’assicurazione sanitaria, coprendone una parte più o meno rilevante a seconda del reddito dichiarato.
7- Fonte: “Stati Uniti, la Corte Suprema cancella provvisoriamente il diritto di abortire delle donne texane”; su www.micromega.net , del 10/9/2021.
8- Soluzione semplicemente straordinaria in un Paese in cui vige un sistema che, di norma, prevede invece che ciascuno si paghi le proprie spese per l’assistenza legale.
9- Figura abominevole e dedita a pratiche inconfessabili, almeno fino a quando si trattava di operare in regime di “anticomunismo militante” nei confronti dei Paesi di là dalla c.d. “Cortina di ferro”.
10- Fonte: vedi punto 5.

di Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

13/9/2021

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *