ESPORTARE …… DEMOCRAZIA

Come già in altre occasioni (1), sono consapevole del concreto rischio di urtare la sensibilità e suscitare la disapprovazione di qualche nostalgico ammiratore del sempre attuale “sogno americano”.

Di coloro, per intenderci, secondo i quali, quella di là dell’Atlantico continua a rappresentare “la terra promessa”, se non ancora “la patria delle opportunità”; con il corollario del mitico “self-made man”.

In questo senso, l’esperienza insegna che, con interlocutori di tale genere, a poco servirebbe prodursi nello sforzo di dimostrare – con ampie prove documentali e “fatti” ormai storici – che gli Usa, a furia di pretendere di “esportare (2) la democrazia”, si sono ridotti nella non invidiabile condizione di eroderne il concetto e – al pari di alcune sostanze proibite – limitarne l’uso interno; personale e collettivo!

Premetto che non è mia intenzione – parlando in termini di democrazia da esportazione – ripercorrere le tappe di quella che, secondo alcuni storici, rappresenta un dato mostruoso ed apparentemente ineludibile della storia (3) Usa: il meccanismo in base al quale, per ogni mandato, qualsiasi Presidente, repubblicano o democratico che sia, debba avere al suo attivo almeno una guerra.

Mi interessa di più, in quest’occasione, approfondire un aspetto particolare di quella democrazia statunitense che amo definire almeno “balbettante”, se non, addirittura, “precaria”: il libero esercizio del diritto di voto.
Evito di approfondire, quindi, altri aspetti che, a mio parere, già concorrono ad infrangere il “sogno americano”.

Al riguardo, mi limito – rispetto a quanto ampiamente già esposto in altra occasione – a riportare che, come denunciato anche da autorevoli “osservatori” internazionali, è difficile accettare e condividere:
a) un sistema economico che, di democratico, presenta solo la possibilità di arricchimento privato,
b) un sistema educativo e scolastico che, in nome di una falsa “meritocrazia” (ma, in sostanza, in ossequio a un’innominata “selezione di classe”) esclude tanta parte di bambini, ragazzi e giovani impossibilitati a sostenerne le spese,
c) un sistema sanitario che, a fronte di costi di dimensioni colossali, non garantisce cure ed assistenza adeguate ai più bisognosi,
d) un sistema giudiziario e penale sostanzialmente estraneo a qualsiasi concetto di proporzionalità della pena e, soprattutto della sua funzione educativa (4) e di reinserimento del soggetto nella società civile.
Dicevo del diritto di voto.

Ebbene, credo nessuno possa dichiararsi contrario al fatto che il libero esercizio del diritto di voto rappresenti uno degli elementi fondanti di uno Stato che pretenda di definirsi democratico.

Qualsiasi eccezione, ostacolo, impedimento o tentativo di limitarne l’esercizio deve quindi ritenersi – in qualsiasi parte del mondo si tenti di realizzarlo – un’offesa alla dignità dei cittadini e una lesione ai diritti individuali e collettivi.

Tra l’altro, quando agli ostacoli di carattere legale – come nel caso della perdita del diritto da parte degli ex detenuti – si aggiungono i più creativi escamotage (a discrezione dei singoli Governatori), al solo fine di tentare di impedire il voto al maggior numero possibile di cittadini, credo si possa parlare di un vero e proprio attentato alla già discutibilissima democraticità del sistema elettorale Usa.

Infatti, è forse ancora poco noto che le particolari modalità dell’esercizio di voto negli Usa presentano alcune criticità strutturali, oltre che operative.
Innanzi tutto è opportuno rilevare che, da un punto di vista formale, il Presidente Usa non è eletto direttamente dal popolo – come ad esempio, avviene in Francia, da parte di coloro che hanno già compiuto i 18 anni – ma dai voti espressi da 538 “grandi elettori” precedentemente eletti, attraverso leggi elettorali diverse, nei 50 Stati (cui si aggiunge la città di Washington). A parte qualche eccezione, il sistema prevede che al candidato, democratico o repubblicano, più votato in ciascuno Stato, anche se di un solo voto, vengano riconosciuti tutti i “grandi elettori” spettanti (5) a quello Stato.

Saranno i 538 grandi elettori, quindi, ad eleggere il candidato alla Presidenza che hanno promesso di di sostenere.

Evito di affrontare le già numerose incongruenze che, nel tempo, hanno concorso a determinare il numero dei grandi elettori riconosciuti a ciascuno dei 50 Stati. Basti sapere di situazioni in cui ci sono Stati nei quali, al numero degli abitanti – superiore a quello di altri Stati – non corrisponde un maggiore numero di grandi elettori.

Quello che interessa, in particolare, sono le modalità attraverso le quali viene espresso ogni singolo voto e perché esse siano, in effetti, sotto costante “pressione”.

Al riguardo, credo sia a tutti noto come, nel corso dell’ultima tornata elettorale, il refrain repubblicano “Voter fraud” abbia finito con il rappresentare una plateale e reiterata espressione cui lo stesso Donald Trump si abbandonava spesso.

Il Presidente in carica, ricorreva a tale termine per paventare il rischio – praticamente inesistente, in realtà – di possibili frodi elettorali in seguito al consiste numero di persone che chiedevano di votare ricorrendo al voto tramite posta (6).

In effetti, poiché secondo il Brennan Center for Justice, un notissimo ed accreditato Centro ricerche, gli Stati Uniti sono considerati uno dei paese più sicuri nel quale votare (7), i timori di Trump e dei repubblicani avevano tutt’altra natura.

Infatti, secondo l’autorevole parere (8) di Pietro Bianchi, “Dietro quello che potrebbe sembrare un semplice interessamento per un regolare svolgimento delle elezioni si nascondono, in realtà, una serie di iniziative legislative volte a limitare l’accesso al voto ai poveri, afroamericani, nativi americani e minoranze in genere”.

Nulla di nuovo, in sostanza, rispetto al sistematico tentativo – oggi repubblicano, un tempo anche democratico – di impedire al maggior numero possibile di cittadini di esercitare il diritto di voto.

Una pratica di vera e propria esclusione sociale che, oltre ai limiti di natura legale – nel senso che ciascuno Stato (grazie a una sentenza della Corte Suprema del 25 giugno 2013) ha potere giurisdizionale sulle procedure elettorali – si affida alla fervida fantasia dei singoli Governatori nel ricercare le soluzioni più creative al fine di ridurre la partecipazione popolare.

Infatti, a partire dalla norma secondo la quale solo chi si iscrive nelle liste elettorali – in occasione di ciascuna consultazione – ha diritto di voto, nel tempo si sono susseguite le più svariate iniziative ad opera dei singoli Stati.

Un tempo, ad esempio, l’iscrizione nelle liste era condizionata al pagamento di una tassa (la poll tax) che aveva l’automatica conseguenza di escludere i poveri che non potevano pagarla.

Così come era previsto il superamento di alcuni test che, sebbene formalmente fossero destinati a verificare il livello di alfabetizzazione degli aspiranti elettori, rappresentavano, in sostanza, un altro strumento per ridurre la partecipazione al voto.

Fu necessario attendere la metà degli anni ’60 affinché, grazie all’affermazione dei tanti movimenti per i c.d. “Diritti civili”, si varasse una normativa (di valenza federale) al fine di tentare di omogenizzare le procedure (9).

Ciò ebbe, però, l’effetto immediato di produrre una serie di escamotage – introdotti da ciascuno dei 50 Stati – tesi unicamente a frapporre vincoli burocratici e perfino fantasiosi ostacoli alla libertà di voto.

Il Mississippi, il Kentucky, il Tennessee ed altri, ad esempio, resero obbligatorio il possesso della carta d’identità che, a differenza di quanto consideriamo scontato nel nostro Paese, non è mai stata molto diffusa negli Usa: di conseguenza, chi non la possiede non è ammesso al voto. E non sono pochi gli esclusi.

Il ricorso, nel North Dakota, alla disposizione secondo la quale al possesso della carta d’identità bisogna accompagnare l’indicazione di un indirizzo di residenza abituale, rende impossibile il voto di migliaia di nativi americani perché lo stesso Stato – ironia della sorte – non riconosce gli indirizzi fisici di alcune “riserve”!

In Florida, invece, dove per antica consuetudine gli ex detenuti erano esclusi dal diritto di voto, nel 2018 fu ripristinato – con un referendum – la possibilità che votassero anche coloro che avessero subito una condanna e scontata la pena. Fu così restituito il più elementare diritto civile a circa 1,4 milioni di persone.

La reazione del Governatore repubblicano fu repentina e stupefacente. Decise, infatti, che l’iscrizione nelle liste elettorali fosse condizionata al pagamento di tutte le multe pecuniarie pregresse da parte degli aspiranti al voto!

Lecito immaginare che, di quell’ 1,4 milioni di ex detenuti della Florida, saranno ben pochi coloro che si recheranno prossimamente alle urne.
Gli ultimi provvedimenti in materia hanno, francamente, dell’incredibile.
Si va dal drastico ridimensionamento dei tempi entro i quali richiedere di votare per corrispondenza a quello della scadenza del termine per la consegna della scheda.

Così come sono state rafforzate e rese più complicate le misure per l’identificazione personale degli elettori.

Anche la riduzione del numero dei seggi e le limitazioni dei giorni e degli orari destinati al c.d. “voto anticipato” (fisico, presso un seggio o per corrispondenza) rappresentano ulteriori misure di “dissuasione di massa”.
Non poteva naturalmente mancare – nel Paese che, evidentemente, ha finito con l’esportare tutta la democrazia disponibile – una disposizione che non esito a definire allucinante, vergognosa ed altamente offensiva nei confronti di tutto il genere umano.

Un progetto, presentato dallo Stato del Texas, in materia di regolamentazione dell’accesso al diritto di voto, prevede, infatti, il divieto di distribuzione di snack e acqua agli elettori in attesa di votare (attese, come riferisce Ingrid Colanicchia (10) che possono durare anche diverse ore).
Scrive sul News York Times Charles M. Blow:” Ora abbiamo di nuovo una tassa sul voto, solo che viene pagata non in valuta ma in disagio”.
E a pagare, in questo senso, saranno sempre “soliti noti”: poveri, anziani, gente di colore e latinos.

Significativo, al riguardo, è uno studio apparso su “Scientific American” dal quale, tra l’altro, si evince che “Alle elezioni del 2016, gli elettori nei quartieri prevalentemente neri hanno aspettato il 29% in più, in media, di quelli nei quartieri bianchi”!

In definitiva, sarà forse troppo tardi quando tutti acquisteranno la piena consapevolezza del sostanziale deficit democratico intrinseco a un sistema politico/sociale che – ciò nonostante – continua ad essere contrabbandato quale “Paese delle opportunità per tutti”!

NOTE

1- Tra le altre: “Usa: l’altra faccia della medaglia”, su www.blog-lavoroesalute.org ; pubblicato in data 8 gennaio 2021.
2- Principio che ha sempre rappresentato l’alibi attraverso il quale giustificare manovre “interventiste”, in ogni parte del mondo, nella politica interna di tantissimi Stati sovrani. Sarebbe troppo lungo pretendere di farne l’elenco.
3- Fonte “Wikipedia”; a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, dal ’45 in poi, ciascuno dei Presidenti Usa ha dato inizio o continuato un intervento armato in qualche parte del mondo.
4- In questo senso, una pregevole Fonte è rappresentata dal saggio “Il terzo strike”, di Elisabetta Grande, docente di “Sistemi giuridici comparati “presso l’Università del Piemonte Orientale.
5- Già la determinazione del numero dei grandi elettori riconosciuti a ciascuno Stato presenta non poche anomalie che, però, non interessano in questa sede.
6- Fenomeno dettato, evidentemente, dal perdurare di una pandemia mondiale che, negli Usa, aveva già prodotto oltre 230 mila morti.
7- Secondo il parere del Brennan Center, “Ci sono più probabilità che un cittadino statunitense venga colpito da un fulmine piuttosto che riesca ad impersonare un’altra persona presso un seggio elettorale”!
8- Fonte: “Frode elettorale all’americana”; su www.dinamopress.it
9- Il famoso Voting Rights Act che, quale strano scherzo del destino, fu abolito dalla sentenza della Corte Suprema il 25 giugno 2013 (nel corso del secondo mandato presidenziale di Barack Obama).
10- Fonte: “Usa: i repubblicani all’assalto del diritto di voto”; di Ingrid Colanicchia, pubblicato il 12/06/2021 su www.micromega.net.

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mesnile Lavoro e Salute www.lavoresalute.org

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