I CINQUE REFERENDUM DEI QUALI NESSUNO PARLA

Mancano poco meno di due settimane all’appuntamento del 12 giugno e già da tempo, sui quesiti referendari, è calato un insolito silenzio.
Se è comprensibile che le vicissitudini dell’ancora incombente pandemia e le tragiche notizie provenienti dal fronte di guerra russo/ucraino abbiano concorso a realizzare uno strumento di vera e propria “distrazione di massa”, resta ugualmente strano che se ne parli così poco.
Eppure, l’abbinamento alle elezioni amministrative – che interesseranno circa 9 mln di elettori, chiamati ad eleggere i Sindaci di ben 978 Comuni – aveva segnato un punto importante a favore dei promotori e dei sostenitori dei cinque quesiti superstiti. Infatti, da un lato, allontanava lo spetto del mancato raggiungimento del quorum necessario ai fini della validità della consultazione e, dall’altro, avrebbe dovuto fornire loro lo slancio e l’entusiasmo per ridare forza alla campagna referendaria.
Invece, come mai verificatosi in analoghe circostanze, si registra un assordante silenzio.
Perfino il rozzo leader della Lega ci ha risparmiato le sue quotidiane contumelie nei confronti dei magistrati che, a suo dire, lascerebbero liberi di delinquere scippatori, ladri e spacciatori.

Probabilmente non sbagliano coloro i quali sostengono che i promotori ed i sostenitori dei referendum – a partire da Salvini – abbiano annusato “un’aria cattiva” e, prudentemente, evitino di doversi una pesante sconfitta.
Però, considerata la rilevanza delle questioni oggetto della consultazione, sarebbe stato opportuno fornire le più ampie informazioni possibili per porre gli elettori nella condizione di comprendere fino in fondo il significato e, soprattutto, le conseguenze di un “SI” piuttosto che un “NO”!

In aggiunta alla scarsa informazione, reputo anche dannosa la mancata discussione sui singoli quesiti perché ritengo che, a differenza di quanto verificatosi in altri appuntamenti referendari di carattere ugualmente “abrogativo” che, però, avevano potuto contare su dibattiti e confronti (pubblici e privati) capaci di suscitare un massiccio coinvolgimento sociale – penso, in particolare, ai referendum sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981) – questa volta i cittadini siano, strumentalmente, chiamati ad abrogare disposizioni di legge che i politici hanno prima approvato e, solo dopo, scoperto che andavano contro i loro interessi.
Alludo, in particolare, ai quesiti relativi alla famigerata legge Severino e alla c.d. “carcerazione preventiva”, quale misura cautelare adottata dal giudice di turno.

Però, prima di approfondirne l’esame, è opportuno evidenziare che tre dei cinque quesiti potrebbero essere annullati se, prima della data della consultazione, venisse definitivamente approvata la riforma Cartabia.
Si tratta dei quesiti relativi alla c.d. “separazione delle funzioni”, delle modalità di elezione del Csm (Consiglio superiore della magistratura) e della riforma dei Consigli giudiziari.
Anticipo che è mia intenzione trattare più diffusamente i due quesiti sui quali saremo certamente chiamati ad esprimere il nostro voto, per cui, rispetto a questi ultimi tre, mi limiterò a qualche breve considerazione.
Relativamente alla separazione delle funzioni, è opportuno precisare che oggi, nel corso della propria carriera, un magistrato può passare fino a quattro volte dalle funzioni requirenti (1) a quelle giudicanti (2) (e viceversa). La riforma Cartabia limiterebbe ad una sola la possibilità di cambio delle funzioni, da esercitare obbligatoriamente entro i primi 10 anni di servizio.

Se questo è un problema di intralcio al buon funzionamento della Magistratura, appare quindi lecito chiedersi quante volte, nel corso degli anni, siano stati realizzati “passaggi” da una funzione all’altra.
Gianluca Amadori, blogger di “Sana e robusta Costituzione”, sostiene (3) che:” In sostanza, il numero di passaggi dalla funzione giudicante alla funzione requirente ha coinvolto – negli ultimi sedici anni – solo 2 magistrati su mille, quello inverso solo 3 su mille”.
Quindi, a suo parere:”L’analisi dei dati forniti dal Consiglio superiore della magistratura fa capire con estrema chiarezza la strumentalità del dibattito in corso da mesi sulla necessità di impedire ai Pm di diventare giudici e viceversa. Passaggio che, oltre a riguardare un numero modestissimo di magistrati, può avvenire già ora soltanto previo trasferimento in un diverso distretto (ovvero nella gran parte dei casi in una diversa regione)”.
Ciò è autorevolmente confermato dal parere del Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, secondo il quale: ” ridurre i passaggi da una funzione all’altra non comporta alcun vantaggio. Il passaggio di funzioni andrebbe incentivato, non limitato, perché è un arricchimento professionale, ma pare che non interessi a nessuno”.
In realtà, il vero obiettivo – rigorosamente sottaciuto dai promotori e sostenitori del quesito – è quello di pervenire alla definitiva separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante, (per la quale, però, occorrerebbe una modifica costituzionale); con un Pm meno libero e autonomo dei giudici e sostanzialmente sottoposto all’Esecutivo. Insomma, più controllabile!

Tra l’altro – e non si tratta di un elemento di secondaria importanza – secondo alcuni esperti, l’eventuale successo del SI comporterebbe anche l’abrogazione delle norme che regolano la copertura delle c.d. . Con l’effetto di limitare la possibilità di coprire sedi giudiziarie poco appetite perché (spesso) in territori a elevata densità criminale.
Il quesito relativo alle elezioni per il Consiglio superiore della magistratura, tende, invece, a cancellare la norma secondo la quale un magistrato deve presentare da 25 a 50 firme a sostegno della propria candidatura. Secondo i promotori, ciò dovrebbe porre fine alle “correnti” che, sostengono, influenzerebbero le decisioni. Piuttosto che l’orientamento politico del candidato, si premierebbero, così, le qualità professionali delle singole auto-candidature.
Si tratta, a ben vedere, di un problema di scarsa rilevanza pratica perché, in sostanza, la “politicizzazione”, che si addebita alle “correnti” presenti nel Csm, non verrebbe – magicamente – meno grazie alle auto-candidature. Pertanto, la sensazione è che anche questo quesito rientri in quel disegno politico che, dietro lo slogan adottato dai promotori dei referendum:“ Per una Giustizia giusta”, nasconde, piuttosto, la mal celata insofferenza dell’attuale ceto politico nei confronti della legalità.

In questo senso, le dichiarazioni (4) del Procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli, paiono lasciare pochi dubbi: ”Oggi i Pm sono indicati come i responsabili di ogni male della giustizia”.
E ancora:”Quella in corso ha le sembianze di una campagna politica volta a non informare correttamente i cittadini ma proiettata unicamente a sollecitare gli istinti di rivalsa contro i magistrati”.
Difficile essere altrettanto eloquenti!
Stesse perplessità crea il quesito relativo ai Consigli giudiziari.
Si tratta di organismi territoriali composti da magistrati eletti da loro colleghi e da membri laici: avvocati e da un Professore di materie giuridiche.
I Consigli hanno il compito di formulare pareri su questioni che riguardano l’organizzazione e il funzionamento degli Uffici giudiziari, esercitano la vigilanza sulla condotta dei magistrati in servizio e formulano le pagelle relative all’avanzamento in carriera dei magistrati. Su queste ultime due competenze hanno voce solo i componenti togati.
Se al referendum prevalessero i SI, anche i membri laici parteciperebbero, a pieno titolo, alla valutazione dell’operato dei magistrati.

A questo riguardo, il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri non ha problemi a dichiarare (5): ”Si prevede un controllo sul lavoro dei magistrati nelle valutazioni di professionalità, riconoscendo un diritto di voto ai membri laici. Inaccettabile: non si vede perché a valutarci debba essere chi non fa parte della nostra categoria, infatti non accade in nessun’altra”.
E soprattutto”, prosegue Gratteri, “così si intacca l’autonomia e la terzietà del magistrato, visto che gli avvocati nei Consigli giudiziari dovrebbero giudicare magistrati che lavorano nello stesso distretto e coi quali si trovano quotidianamente a interloquire”.
Anche qui, evidentemente, non si può fare a meno di sospettare che l’iniziativa referendaria abbia poco o nulla a che fare con , ma rappresenti, piuttosto, l’ennesimo tentativo di “depistaggio” e di scarico delle responsabilità da parte dei politici.
Sono, però, i rimanenti due quesiti che, a mio parere – già all’atto della presentazione – avrebbero dovuto suscitare una diffusa e profonda indignazione popolare.

Considero, infatti, sconfortante che nel nostro paese, un tempo “culla della civiltà mediterranea” e “patria del diritto”,si consenta – senza sentirsene profondamente offesi – di essere chiamati alle urne per esprimere SI a due quesiti quali la limitazione delle misure cautelari e, peggio ancora, la totale cancellazione della legge Severino.
Tra l’altro, rappresenta un’aggravante il fatto che tali proposte partano da una forza politica “locale”, cui è già stato consentito di affermarsi sul piano nazionale al grido di “Roma ladrona”, con alcuni milioni di votanti che esaltano, piuttosto che ripudiare, il loro degno leader che va in giro “a suonare citofoni” alla ricerca di pusher da additare al pubblico ludibrio e freme di sdegno nei confronti dei magistrati rei – a suo parere – di lasciare impuniti innumerevoli autori di reati.
Infatti, così come egregiamente sintetizzato (6) dal Procuratore aggiunto di Firenze:” Di fatto, se passasse questo quesito, le misure cautelari si applicherebbero solo qualora per l’indagato, pur raggiunto da gravi indizi di colpevolezza e pur presente il rischio di reiterazione del reato, non sussista il concreto pericolo di fuga e/o di inquinamento delle prove”.
Di conseguenza, rileva Luca Tescaroli “Le misure cautelari diventerebbero inapplicabili al di fuori di una ristretta cerchia di reati, come la criminalità organizzata, l’eversione e l’uso della violenza o delle armi”.
Nessuna custodia in carcere, dunque, né arresti domiciliari, per gli autori di gravi reati, anche seriali, contro la pubblica amministrazione, contro l’economia, contro il patrimonio, la libertà personale o sessuale delle persone, ma nemmeno l’allontanamento dalla casa familiare (nel caso del coniuge e genitore violento), oppure divieto di avvicinamento (nel caso di atti persecutori), così come non sarebbe più possibile adottare le c.d. “misure interdittive”, come il divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali (nel caso di società finanziarie che truffano gli investitori)!
“Truffatori seriali, bancarottieri e via dicendo”, conclude Tescaroli, “sarebbero quindi liberi fino a condanna definitiva e sconterebbero una pena detentiva solo qualora le condanne supereranno la soglia dei 4 anni di carcere”.
Esemplare, a questo riguardo, il lapidario giudizio (7) di Domenico Gallo: “Smantellando gli strumenti di contrasto alla criminalità, non si opera una riforma della giustizia, bensì una riforma contro l’amministrazione della giustizia, contro l’eguaglianza e i diritti delle persone”!

Altrettanto allarmanti le considerazioni finali del Procuratore aggiunto di Firenze: “Il rischio è che, non potendo applicare la misura cautelare degli indagati pur colti in flagranza di reati che destano allarmi sociali, siano proprio i magistrati a finire travolti da una tempesta di rancore, per non dire odio, da parte dell’opinione pubblica. Per la gente saremo noi i responsabili di che mettono a repentaglio le persone offese e la collettività”!
Facile immaginare, a questo riguardo, le contumelie e le accuse al magistrato di turno – da parte del sig. Salvini – per aver lasciato a piede libero uno scippatore seriale, un ladro di appartamenti o un ben noto pusher.
Lo stesso Giancarlo Caselli, sin troppo noto per avere bisogno di alcuna presentazione, su questo tema così si esprimeva: “Matteo Salvini, nel farsi promotore di questo quesito referendario è scivolato su di una buccia di banana. Se questo referendum dovesse essere approvato”, scriveva Caselli nel 2018, “alla prima decisione giudiziaria di un certo rilievo che applichi le nuove disposizioni farà seguito – c’è da scommetterlo, sicuri di vincere facile – un’ondata di malcontento e l’indignazione popolare contro questa magistratura troppo lassista (l’intramontabile ). Magari proprio da parte di quelli che si sono intestati il referendum. Con ulteriore pregiudizio di immagine e credibilità a danno dei magistrati”.
Superfluo aggiungere altro.

Il quinto (ed ultimo) quesito referendario prevede la totale cancellazione della c.d. Legge Severino (8) che contiene le “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
Un obiettivo ignobile: che rappresenterebbe l’ennesima pagina vergognosa nella storia del nostro Paese!
In effetti – grazie alla legge Severino – dal 2013 chi viene condannato in via definitiva per mafia, terrorismo, corruzione e altri gravi reati non può partecipare alle elezioni per il Parlamento europeo e italiano, né a quelle regionali e comunali e non può assumere cariche di governo.
Se un parlamentare viene condannato definitivamente per un reato di questo tipo solo dopo essere entrato in carica, la Camera o il Senato hanno l’obbligo di votare sulla sua decadenza o meno.
E’ prevista la decadenza, sempre a seguito di condanne definitive, anche per gli europarlamentari, membri del governo e amministratori locali.
Per questi ultimi, in alcuni casi, la legge prevede la sospensione dall’incarico anche dopo una condanna di primo grado (non definitiva).
Sembrerebbe il minimo prevedibile. Almeno in un Paese civile!

Purtroppo, però, se (malauguratamente) al referendum dovesse prevalere il SI, tutti questi automatismi, previsti dalla legge Severino, verrebbero automaticamente meno e si tornerebbe alla vergognosa situazione ante 2013.
Si tratta, dunque, di un obiettivo squallido – di una casta politica ormai alla deriva – e offensivo nei confronti della dignità e dell’intelligenza degli italiani ai quali, in sostanza, si chiede di rilasciare un “lasciapassare in bianco” a favore di politici corrotti e condannati in via definitiva.
Una sorta di “Green pass”, con la differenza che lo stesso – piuttosto che regolamentare l’accesso ai locali pubblici – consentirebbe, anche agli autori di reati molto gravi, di accedere e/o continuare a ricoprire cariche pubbliche e/o svolgere funzioni istituzionali; dai Consigli comunali al Parlamento europeo.
Concludendo, non resta che prendere atto del poco tempo che abbiamo a disposizione per evitare che possano realizzarsi le più fosche previsioni.
Credo, però, sia sufficiente per comprendere (e condividere) quali nefaste conseguenze produrrebbe il successo del SI all’abrogazione della legge Severino. Così come per gli altri quattro quesiti.
E’ con questa consapevolezza che ciascuno di noi ha il dovere di operare la propria scelta.
In alternativa, per l’elettore, esiste sempre la possibilità, di fare verbalizzare – a cura del Presidente del seggio elettorale – la propria volontà di non ritirare le schede relative ai quesiti referendari.

NOTE

1- Quelle dei Pm, che dirigono le attività investigative e rappresentano la pubblica accusa nei processi.
2- Quelle dei giudici chiamati ad emettere le sentenze dopo avere approfondito le ragioni delle parti in causa.
3- Fonte: www.ilgazzettino.it del 17 maggio 2022.
4- Fonte: “Referendum Giustizia. Campagna politica contro i magistrati”. Intervista di Daniele Nalbone, del 22 febbraio 2022. Su www.micromega.net
5- Fonte: “Riforma giustizia, Gratteri:Proposte dannose, sento odore di punizione”. www.antimafiaduemila.com del 23 marzo 2022
6- Vedi Nota nr. 4
7- Fonte: www.micromega.net
8- La Legge 6 novembre 2012, n. 190 è una legge della Repubblica Italiana in tema di prevenzione e repressione della corruzione. I successivi decreti legislativi 235/2012, 33/2013 e 39/2013 furono emanati dal governo Monti

di Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

28/5/2022

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *