LA FURIA ICONOCLASTA DI PIETRO “IL LICENZIATORE”

Non si placa, né si presume preveda alcuna soluzione di continuità, la furia iconoclasta (1) di Pietro Ichino nei confronti delle tutele e garanzie di cui (per il momento) ancora godono i lavoratori italiani; in particolare coloro che, prima dei famigerati decreti di cui al Jobs-act, potevano contare su di un rapporto di lavoro subordinato “classico”: full time e a tempo indeterminato.

Richiederebbe tempo ed ampi spazi riportare, in dettaglio, le numerosissime occasioni in cui l’ex senatore Pd si è distinto nel teorizzare riforme, sostenere iniziative legislative e costruire proposte – qualcuna, purtroppo, accolta, dal governo di turno – sostanzialmente tese, a mio parere, a sottrarre tutele ai lavoratori italiani.

L’aspetto più negativo e poco nobile, se non tragico, è che le sue “campagne” sono sempre state condotte in nome di una (fantomatica) “giustizia sociale”; con l’ingannevole presupposto di superare il divario normativo esistente tra “insider” e “outsider”.

Al riguardo, qualcuno (forse) ricorderà che, proprio in nome di quello che lui definiva “dualismo del mercato del lavoro italiano” (presenza di lavoratori di serie A e B) – cioè tra coloro cui si applicavano interamente le norme previste dallo Statuto (2) e quanti, invece, ne erano esclusi – ebbe inizio la sua “crociata” a sostegno del c.d. “Contratto unico (3).

Purtroppo, però, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato da un (apparente) paladino del ripristino della parità di diritti, quella tipologia contrattuale (4) si sarebbe tradotta – come ormai ampiamente noto – in una sostanziale “retrocessione” (in termini di tutele) dei lavoratori interessati; dalla A alla B!

Già altrettanto determinato ed irremovibile era stato il suo sostegno alla legge 14 febbraio 2003, nr 30 e, soprattutto, al suo Decreto legislativo (applicativo) 10 settembre 2003, nr 276 (governo Berlusconi II), che rappresentò, in sostanza, l’avvio di un vero e proprio “supermarket” delle tipologie contrattuali; capaci di tradurre la pur opportuna “flessibilità” in irreversibile “precarietà”!

In sostanza, da parte dell’ex senatore, un vero e proprio “work in progress”, attraverso il quale, a mio giudizio, le buone intenzioni – dichiarate nei principi ispiratori l’ipotesi di riforma di turno – si sono sempre tradotte in una costante opera di logorio delle tutele per quei lavoratori (privati) considerati “garantiti”.

Evito di esprimere alcuna considerazione su di un altro “cavallo di battaglia” ichiniano: la dichiarata condivisione del sostanziale ritorno alle c.d. “zone salariali”. Cioè il ripristino delle famigerate “gabbie salariali (5)”, con retribuzioni differenziate su base territoriale; un altro bel lascito del “Libro bianco”!

Senza dimenticare una vera e propria “chicca”; risalente appena a qualche anno fa.

Fu nel 2017, in occasione della festa del 1° maggio, che il noto docente di Diritto del lavoro, pur premettendo di non avere alcun titolo per interpretare il pensiero di don Milani (del quale il 26 giugno successivo si sarebbe celebrato il cinquantenario della scomparsa), né tanto meno di aggiornarlo, affermò che il priore di Barbiana avrebbe probabilmente preferito che i lavoratori, in quel giorno particolare – piuttosto che starsene a casa o partecipare al consueto corteo – festeggiassero “regalando” una giornata di lavoro alla collettività!

Da qualche tempo, è il turno dei rider: ciclo/moto fattorini, per lo più addetti alla consegna di cibo a domicilio, che (ormai) da alcuni anni, ad ogni ora del giorno e della notte – talvolta incuranti del rosso dei semafori e dei sensi unici – vediamo sfrecciare per le vie delle nostre città.

Sull’argomento mi sono già ampiamente intrattenuto, ma, se Pietro Ichino, in particolare, non può esimersi dal ritenerlo un argomento meritevole di attenzione quasi quotidiana, vale forse la pena che io mi sforzi di fare altrettanto.

In effetti, su questa questione, l’ex parlamentare, non sufficientemente soddisfatto di essersi già espresso – alla vigilia della conversione in legge del Decreto legge 3 settembre 2019, nr 101, in legge 2 novembre 2019, nr 128 – in termini di “smania protettiva” e di “colpo di mano normativo” (da parte dei consiglieri del Ministro del lavoro) rispetto a un provvedimento che, in sostanza, confermava la natura autonoma del lavoro dei rider e si limitava a: 1) riconoscere loro qualche tutela riconducibile alla subordinazione e 2) vietare la retribuzione a cottimo; ha accolto con sostanziale soddisfazione la sottoscrizione di un “discutibile” Ccnl sottoscritto tra l’Ugl e Assodelivery (Associazione dell’industria del food delivery).

N.B. Definisco discutibile ciò che Cgil, Cisl e Uil – contrariamente a quanto riportato da Pietro Ichino – non hanno mai bollato come “contratto pirata”, bensì atto di assoluta scorrettezza e aperta ostilità; in contrasto con quanto previsto dalla legge 128/2019”.
Lo stesso Ministero del lavoro, tramite il suo Ufficio Legislativo, non si è mai espresso in termini di pirateria contrattuale; ma solo attraverso una serie di rilievi.

In effetti, il contratto in questione, siglato il 15 settembre scorso, è il primo in assoluto per i rider e, anche se definirlo “pirata” può considerarsi – dal punto di vista tecnico – una leggera forzatura, rappresenta (di certo) un contratto di “comodo”.

Basti pensare che è stato sottoscritto previa confluenza – in Ugl – dell’ANAR (Associazione Nazionale Autonoma Riders), il cui presidente: a) ha sempre rivendicato la natura autonoma del rapporto di lavoro instaurato tra i rider e le diverse piattaforme e b) faceva parte della delegazione nazionale dei rider che sedeva al tavolo della trattativa!

L’ultima filippica ichiniana, sempre sullo stesso tema, risale a qualche settimana fa.

Ne fa ancora le spese il Ministero del lavoro; accusato, questa volta, di “arrampicata sugli specchi” perché, secondo l’ex senatore, pur di contrastare il recentissimo Ccnl, sarebbe pronto – attraverso la Circolare ministeriale 19 novembre 2020, nr 17 – a “cancellare il primo comma dell’art. 39 della Costituzione e con esso settant’anni di diritto sindacale”!

A tale proposito, anticipo che non cederò alla tentazione di ergermi a difensore d’ufficio di una Ministra del lavoro che considero “la meno titolata di tutti i tempi” a dirigere un dicastero cui diedero lustro personaggi quali Giacomo Brodolini, Carlo Donat Cattin e Gino Giugni.

Mi limiterò, piuttosto, a qualche semplice considerazione.

La prima è relativa al fatto che le precarie condizioni cui soggiacciono i rider – a partire proprio dalla corretta qualificazione del rapporto di lavoro – non rappresentano, purtroppo, un problema “di nicchia”, ma una situazione comune a centinaia di migliaia di lavoratori; forse, a ben vedere, di milioni.

Penso, al momento, a tanti OSA, OSS, addetti ai Call-center e, complessivamente, ai tanti altri falsi (ma involontari) lavoratori “autonomi”; nonché altrettanto finte (anch’esse involontarie) “Partite Iva”.
L’altra, inevitabile, considerazione non può non riguardare il fatto che trovo molto strano che, a un noto cultore del Diritto, quale Pietro Ichino – così attento e pronto a denunciare e confutare pratiche poco ortodosse, se non vere e proprie “arrampicate sugli specchi” – possano sfuggire (6) alcune macroscopiche “topiche” presenti in quel Ccnl.

Mi limito ad elencarne due; a mio parere, le più appariscenti:

  • Sarebbe stato sufficiente leggere con attenzione gli artt. 10 e 11 del suddetto contratto collettivo – senza bisogno di riceverne successiva conferma da Daniele Contini (7) – per rendersi conto che l’intesa tra Ugl e Assodelivery aveva lasciato inalterato il meccanismo della retribuzione a cottimo; in palese contrasto con le vigenti norme di legge.
  • L’art. 29 del Ccnl, relativo ai c.d. “Diritti sindacali”, avrebbe dovuto far sobbalzare anche il più sprovveduto dei lettori. Infatti, in estrema sintesi e stando al senso letterale del dettato contrattuale – fatta salva la possibilità di un refuso – tanto la delega per l’iscrizione al sindacato, quanto il godimento dei c.d. “permessi sindacali” paiono riservati esclusivamente a favore dell’Ugl.

Senza, tra l’altro, dimenticare che – contrariamente a quanto fatto da Ugl e Assodelivery e così come rilevato dall’Ufficio Legislativo del Ministero, la qualificazione della fattispecie di rapporto di lavoro – autonomo, nel loro caso – è prerogativa del giudice e non rientra, di certo, nell’autonomia contrattuale tra le parti.

Intanto, una recentissima sentenza del Tribunale di Palermo ha disposto la reintegra di un rider (piattaforma di riferimento, la spagnola Glovo) con contratto di lavoro subordinato (con applicazione del Ccnl del Terziario); risarcimento del danno e differenze retributive tra quanto guadagnato con contratto autonomo e quanto, invece, gli sarebbe spettato con un contratto di lavoro subordinato.

Non resta che attendere gli sviluppi di una situazione che, allo stato – auspicando la conferma di quello che appare un primo orientamento dei giudici del lavoro – consente, a mio parere, di guardare al futuro con cauto ottimismo.

NOTE

1) Dottrina e azione di coloro che nell’impero bizantino avversavano il culto religioso e le immagini sacre
2) Legge 20 maggio 1970, nr 300; comunemente nota come “Statuto dei lavoratori”
3) Interessante, al riguardo, un “dialogo a distanza” (con lo scrivente) pubblicato il 19 ottobre 2010, da www.blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it
4) Proposta peggiorativa – rispetto a una precedente ipotesi (con sperimentazione temporanea di tre anni) di Tito Boeri e Pietro Garibaldi – che ha trovato concretizzazione (governo Renzi) attraverso la formula dell’attuale “Contratto a tutele crescenti” che ha, di fatto, cancellato (per i nuovi assunti) i rapporti di lavoro a tempo indeterminato (di antica memoria); tutelati, dall’art 18 dello Statuto, in particolare, attraverso la c.d. “giusta causa”
5) Nel 1954 furono istituite 14 zone salariali nelle quali si applicavano salari diversi a seconda del costo della vita; con differenze che arrivavano quasi al 30 per cento. Nel 1961 si passò da 14 a 7 zone; con differenze pari al 20 per cento. La loro formale abolizione risale al 1° luglio 1972
6) A meno che, così tanto appassionato sostegno non sia dettato dal particolare che, per la prima volta in Italia, al testo in italiano è stata abbinata la versione in inglese (come da lui sempre auspicato e richiesto)
7) Contemporaneamente all’uscita della piattaforma da Assodelivery e alla dichiarazione di voler estendere all’Italia il sistema in atto in Danimarca (assunzioni attraverso la stipula di contratti di lavoro subordinato) il country manager di Just Eat dichiarava: “Il nuovo accordo (il Ccnl appena sottoscritto) introduce notevoli vantaggi, anche se di fatto rimane il meccanismo del pagamento a prestazione”.

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

3/12/2020

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