Può il dissenso manifestarsi attraverso le leggi e le forme del conflitto democratico?

La pandemia ha costituito la causa occasionale – il pretesto ideale – utile a imprimere un’accelerazione delle politiche neoliberiste. Tale asserzione trova conferma in un primo fondamentale indicatore: i gruppi di interesse del settore tecnologico, dell’industria chimico-farmaceutica, della logistica e della grande distribuzione hanno registrato un aumento significativo dei propri ricavi. Al contrario, i settori della piccola e media impresa e del commercio al dettaglio hanno subìto, nel migliore dei casi, una fortissima contrazione nelle vendite dei propri beni e servizi, e, nel peggiore, sono stati costretti alla liquidazione. Questa radicale divaricazione negli andamenti di mercato e nelle “imposizioni” di consumo registra, come ovvia conseguenza, un significativo impulso alla concentrazione di capitale fra stakeholders che, precedentemente alla diffusione del virus, già controllavano enormi fette di mercato. Tali condizioni costituiscono, per specifici gruppi di interesse, i presupposti ideali per estendere e fornire ulteriore slancio a una tendenza oligopolistica consolidata. 

L’ennesimo impulso capitalistico necessitava, evidentemente, di un nuovo assetto disciplinare, che coinvolgesse, con l’applicazione di specifici dispositivi di coercizione, l’intero corpo sociale, dai corpi intermedi e associativi ai singoli soggetti economici, giungendo persino a limitare e veicolare le scelte, le abitudini e i costumi dei singoli individui nella propria quotidianità. Questo assetto è stato supportato, su un piano ideologico, da un complesso di narrazioni e immaginari ben articolato, dai quali è possibile estrarre due fondamentali elementi:

  • L’esaltazione incondizionata della socializzazione digitale (social network e app di messaggistica in primo luogo) come valida alternativa alle relazioni sociali in compresenza fisica.
  • L’attivazione immediata di una prassi lavorativa da remoto (home work o lavoro agile).

Il primo requisito avrebbe dovuto legittimare, su un piano percettivo, le imponenti restrizioni della libertà personale. Il secondo requisito avrebbe dovuto disinnescare le rivendicazioni sindacali e le mobilitazioni delle classi lavoratrici, promuovendo, a reti unificate, i fantomatici vantaggi del lavoro agile.

Se da un lato il Capitale orientava questa nuova logica culturale, dall’altro programmava piani di delocalizzazione e rilocalizzazione dei processi produttivi, in vista di un ulteriore efficientamento dei propri costi, in primis quello relativo alla manodopera. 

È condotto, su questo duplice livello, il reperimento di un corpo sociale predisposto esclusivamente alla performance lavorativa. 

Il regime discorsivo con il quale si prova a introdurre un nuovo genere di disciplinamento impone specifiche aree semantiche:

  1. Le limitazioni delle libertà personali costituiscono misure necessarie a garantire la salute e la vita dei cittadini.
  2. Il singolo cittadino è chiamato a un atto di responsabilità individuale e sociale. Egli deve agire coscienziosamente, adeguandosi, senza riserve, alle misure limitative della libertà costituzionali.
  3. Il green pass, al pari delle misure limitative della libertà personale precedentemente adottate, è una misura atta a favorire la prevenzione dal contagio.
  4. Una galassia eterogenea di individui che manifestano il loro scetticismo e/o attuano forme sociali di dissidenza sono tendenzialmente convogliati entro un’etichetta univoca, che corrisponde all’espressione No Vax. Questi ultimi sono concepiti e “narrati” come una mina vagante, in grado di mettere a repentaglio lo stato di salute e dunque la vita della collettività.

la spesa sanitaria pubblica, cioè quella che finanzia il SSN ha subìto negli anni un’imponente riduzione: il tasso di crescita medio annuo, che era 7,7 % nel quinquennio 2001-2005, è sceso al 3,1% nel 2006-2010, quindi allo 0,1 % nel 2011-2017. A causa del definanziamento della spesa sanitaria pubblica, nel periodo 2010-2019, sono stati sottratti al SSN oltre 37 miliardi. In Italia, La spesa media pro-capite è ora inferiore del 35% a quella francese e del 45% a quella tedesca. Il definanziamento ha comportato una drastica riduzione del personale e dei posto letto, nonché la riduzione delle dotazioni tecnologiche. La sanità pubblica ha perso 8000 medici negli ultimi anni. È plausibile che entro il 2025 saranno circa 50.000 medici con la Legge Fornero e quota 100 a lasciare il sistema sanitario nazionale. Si sono persi inoltre 40.000 operatori sanitari, tra cui migliaia di infermieri professionali. Attualmente sono 5,8 per mille contro gli 8,5 per mille dell’UE. Per quanto concerne i posti letto si è passati da 5,8 posti letto ogni mille abitanti nel 1998 a 3,6 nel 2017, contro una media europea di 5 posti letto per ogni mille abitanti. In termini assoluti si è passati da 530.000 posti nel 1981 a 191.000 nel 2017. Prima dello scoppio della pandemia in Italia vi erano soltanto 5.400 posti di terapia intensiva (tra pubblico e privato) [fonte ANAAO] contro i 15.000 di cui il SSN disponeva nel 1980.

Ove lo Stato non assolve alle proprie funzioni operative, sottraendosi a specifici obblighi, sia etici che costituzionali, il cittadino è chiamato ad assumere un surplus di responsabilità: limitare i propri spostamenti fisici, rispettare il coprifuoco, indossare la mascherina, disporre di un green pass per accedere a luoghi di socialità e lavoro sono solamente alcuni degli imperativi a cui è il cittadino è sottoposto. L’assunzione di tali responsabilità ha la finalità di ridurre il più possibile l’accesso alle terapie intensive e ai reparti ospedalieri, garantendo un alleggerimento strutturale del sistema sanitario. 

Il cittadino dunque subisce il sovrappeso di una logica efficientista adottata dallo Stato, la quale logica consiste, per l’appunto, nella riduzione sistematica dei costi e in una programmazione di investimenti correttivi, anziché strutturali. 

La limitazione delle libertà costituzionali non è posta in funzione della tutela della salute pubblica, ma costituisce, in buona parte, un brutale adeguamento delle libertà e delle condotte individuali alle conseguenze dovute a un approccio aziendalista dello Stato. Notiamo come le libertà fondamentali si riducano, più che proporzionalmente, alla contrazione delle spese per welfare e sanità. La carenza strutturale delle risorse sanitarie necessarie a fornire una risposta ai rischi ei ai danni epidemici ha trovato, negli ultimi diciotto mesi, un effettivo bilanciamento nella sottrazione delle libertà di movimento, nelle libertà di manifestazione e riunione e quindi nell’accesso ai luoghi di socialità. Lo Stato ha perpetuato il paradossale tentativo di garantire il diritto alla salute attraverso la sottrazione sistematica dei diritti fondamentali. 

L’utilizzo emergenziale delle leggi sanitarie, eseguito esclusivamente con atti esecutivi, ha compromesso il delicato equilibrio tra i diritti, rivelando il volto del modello aziendale di Stato. Cosa attendersi dunque dalla creazione del cittadino-utente-consumatore in uno spazio costituito da “perimetri di libertà” predefiniti? L’assetto disciplinare, oltre ai decreti e ai regolamenti di polizia urbana, ai codici etici e di comportamento aziendali intensificati durante l’emergenza, dispiega ulteriori dispositivi, attraverso i quali rafforza la contemporanea “società della sorveglianza”. I “perimetri di libertà” disporranno nuovi accessi, imponendo ulteriori criteri di inclusione/esclusione ai luoghi di socialità e ai luoghi di lavoro. 

Iper-responsabilizzazione individuale, sovra-ordinarietà degli strumenti amministrativi, dispositivi coercitivi e persuasivi, narrazione monotonale costituiscono la base per la creazione di nuove libertà-sorvegliate

Posta tale analisi, sorge spontanea la domanda:  in questi spazi circoscritti, esistono ancora interstizi in cui la fisica del dissenso possa manifestarsi attraverso le leggi e le forme del conflitto democratico?

Le manifestazioni di Torino dell’ 11 Ottobre,  a cui hanno preso parte studenti e sindacati di base, congiuntamente a quelle del 12 Ottobre, indette dai portuali di Trieste, aprono un varco all’interno di uno scenario monolitico, dove i processi e le dinamiche democratiche sembrano essersi arrestate. A congelare gli spazi di confronto pubblico, nei quali la pandemia ci ha costretti, ha contribuito una gestione della crisi pandemica reticente al dialogo con i soggetti e le realtà sociali che sembrano sfuggire alle catalogazioni ordinarie del sistema sociale. Silenziare e azzerare il dibattito scientifico, politico e sociale, congiuntamente all’assenza di una disamina estesa e approfondita dell’etichetta “No vax”, da un lato può aver appiattito e svuotato la realtà della sua effettiva consistenza e della sua evidente complessità e, dall’altro, può aver  inasprito un clima sociale che allontana una parte sempre più consistente di cittadini dai propri rappresentanti. In questo momento storico assistiamo a un allentamento del patto sociale che, al contrario, andrebbe rinsaldato. 

Le dimostrazioni e le dichiarazioni dei portuali di Trieste, i quali hanno espressamente dichiarato la loro identità antifascista, ci ricordano, con grazia e prepotenza, qual è stata la funzione del movimento operaio del nostro Paese nel corso del Novecento. Questi ultimi sembrerebbero porsi come il presidio democratico dal quale si levano voci e dimostrazioni di dissenso nei confronti di una misura – quella del green pass – percepita come antisociale. I portuali di Trieste ci suggeriscono che esiste una classe operaia e che quest’ultima difende, senza sconti, il principio ineludibile di solidarietà tra lavoratrici e lavoratori. Questi primi timidi segnali di risposta a un intervento di Governo approvato in tempi e modalità emergenziali, per giunta soprassedendo a un composito dibattito pubblico e parlamentare, suggeriscono all’azione politica di ripartire, anzitutto, da un forte radicamento economico e sociale, e, in secondo luogo, di destinare una particolare attenzione alla parte “più bassa” della distribuzione sociale.

Queste forme democratiche di dissenso ci stanno dicendo che, una volta usciti dall’emergenza, il Capitale, per esistere, dovrà necessariamente interloquire con il Lavoro, ed è qui che bisognerà concentrare i propri sforzi, per non sfibrare ulteriormente il corpo sociale e stabilire nuovi legami politici e sociali.

21/10/2021 http://www.osservatoriorepressione.info/

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