Tra Jobs act e Stabilità:alle aziende licenziare conviene. La trappola di Renzi con le “tutele crescenti”

Subito le modifiche alla legge di stabilità sui tagli alle Regioni, sull’Irap e sulla tassazione dei Fondi pensione. Immediatamente dopo il varo dei decreti delegati sul Jobs act per rendere operativo il nuovo contratto a “tutele crescenti” già a gennaio. L’esecutivo fa girare a pieno ritmo il motore delle misure sulle quali punta per dare slancio all’economia e al lavoro e convincere Angela Merkel che l’Italia è ubbidiente e ligia al dovere. In rampa di lancio, nelle prossime due settimane, anche l’attuazione di alcune parti strategiche della delega fiscale mentre bisognerà attendere gennaio per la nuova Local Tax, che sostituirà Imu e Tasi: non entra in legge di stabilità ma avrà un apposito decreto.

Una velocità e un funambolismo che nasconde delle vere e proprie ingiustizie ai danni dei lavoratori. Una l’ha scoperta la Uil, il sindacato che insieme alla Cgil scenderà in piazza per lo sciopero generale il 12 dicembre.
Il combinato disposto tra il nuovo contratto previsto dal Jobs Act e l’incentivo all’assunzione, inserito nella legge di Stabilità, potrebbe creare un meccanismo perverso per il quale le aziende avrebbero un vantaggio economico a licenziare prima che scatti la stabilizzazione programmata dal contratto a tutele crescenti. In pratica, un’azienda che nel 2015 assume un lavoratore, e lo licenzia a fine anno, potrà beneficiare di un ‘saldo’ positivo di circa 4.392 euro medi che schizzerebbero a 13.190 euro se venisse invece licenziato dopo 3 anni. Esattamente il contrario, cioè, di quell’operazione di ‘stimolo’ all’occupazione stabile sbandierata con il Jobs Act.

Tutto si gioca, dice il sindacato, sulla differenza tra la decontribuzione per le nuove assunzioni, di cui beneficia l’azienda, e le nuove regole sull’indennizzo che spetta al lavoratore in caso di licenziamento e che, stando alle ultime indiscrezioni circa la riscrittura dell’articolo 18, si aggirerebbe su una mensilità e mezza.

Stando alla simulazione messa a punto dal segretario confederale Guglielmo Loy, a quanto apprende l’Adnkronos presentata ai quadri Uil di Rieti in vista dello sciopero generale del 12 dicembre, infatti, per uno stipendio medio di 22 mila euro lordi/anno (1.692 euro lordi/mese), la decontribuzione sgraverebbe l’azienda di circa 6.390 euro. Se il lavoratore venisse licenziato a fine anno l’indennizzo, e perciò il costo per l’azienda, si aggirerebbe intorno ai 2.538 euro lordi: il ‘saldo’ per l’impresa dunque sarebbe positivo per 4.390 euro. Un vantaggio che aumenterebbe, stima ancora la Uil, se il lavoratore, sempre assunto il 1 gennaio 2015, venisse invece licenziato nel terzo anno: i benefici fiscali per l’azienda, su un reddito di 22 mila euro, ammonterebbero a circa 20.790 euro mentre il costo dell’indennizzo sarebbe di 7.600 euro lordi, con un ‘vantaggio’ per l’impresa di 13.190 euro.
”La scelta del Governo non ci sembra proprio geniale: si tolgono diritti ai lavoratori mentre si premiano tutte le imprese , anche quelle che licenziano o che non investono, e il risultato è un economia stagnante e un tasso di disoccupazione sempre alto”, spiega ancora Loy, che punta il dito contro ”l’aiuto indiscriminato alle imprese” da parte del governo che invece ha scelto ”di penalizzare il lavoro dipendente”.
Il Parlamento, aggiunge, ”è ancora in tempo per correggere la legge di stabilità che non opera come ‘stimolo’ ad assumere maggiormente ma, semplicemente, sgrava le imprese da costi senza assicurare che si raggiunga l’obiettivo principale: creare nuova e buona occupazione”, conclude Loy.

Fabrizio Salvatori

8/12/2014 www.controlacrisi.org

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