12 mesi per salvarci dall’autonomia senza uguaglianza

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L’unità del paese e la garanzia dell’uniformità dei diritti fondamentali su questioni centrali come lavoro, sanità, ambiente, scuola, è sotto attacco come mai avvenuto prima nella storia della Repubblica. Il governo Conte II nei prossimi giorni vuole portare in discussione la Legge quadro presentata lo scorso novembre dal ministro Boccia per inquadrare l’Autonomia differenziata prevista dall’art.116 terzo comma della Costituzione. La riforma del 2001 prevedeva garanzie e diritti uguali per tutti ed in tutto il paese. Si trattava di definire innanzitutto i LEP-livelli essenziali di prestazione, così da identificare in maniera uniforme un pacchetto di diritti e responsabilità che ci rende uguali, e dunque un Popolo, come prevede l’art.3 della nostra Costituzione. Ma l’uguaglianza ha un costo elevato nel tempo della crisi di credibilità e idee della politica. Siamo passati da prima gli italiani a prima i veneti, i lombardi, gli emiliani e così via. Il punto è che di autonomia intesa in termini equi e solidali non c’è nulla.

La legge quadro proposta dal governo dice testualmente che qualora i LEP non vengano definiti in 12 mesi dopo l’approvazione della legge, si procederà comunque e le intese con le Regioni potranno essere firmate trasferendo le risorse necessarie ad esercitare le funzioni devolute sulla base della “spesa storica”, ossia senza interventi di perequazione. I LEP non sono stati definiti in 20 anni, figurarsi in 12 mesi. Quanto alla “spesa storica”, è fondamentale per noi cittadini e cittadine italiane sapere che si basa non certo sui fabbisogni necessari per garantire i diritti sociali per tutti, bensì sul valore medio procapite della spesa statale per l’esercizio delle stesse. Cosa significa in concreto? Che se a Reggio Calabria ci sono tre asili nido ed a Reggio Emila sono 63, la spesa storica confermerà questo fabbisogno che evidentemente non rispecchia i bisogni essenziali dei cittadini di Reggio Calabria. Dunque, se valutiamo sulla spesa storica i servizi non saranno fatti dove non ci sono. Si istituzionalizzeranno le disuguaglianze fotografate dalla spesa storica ed i LEP saranno definiti dalla ragioneria generale dello Stato con questo criterio tecnico. La Repubblica non richiede più i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art.2), non rimuove più gli ostacoli (art.3), non è più fondata sul lavoro (art.1), smette di dettare le norme generali sull’istruzione (art.33), non rende effettivo il diritto ad una scuola aperta a tutti (art.34): cancella diritti inviolabili e universali cedendo potestà legislativa su principi e diritti fondamentali.

Si realizzerebbe il progetto politico di chi vuole sfasciare l’unità nazionale. Avremmo 20 sistemi scolastici diversi, 20 politiche ambientali diverse, e così via. Le conseguenze sarebbero devastanti non solo per il sud, ma anche per il nord a causa dell’abbassamento dei livelli dei servizi, sempre più privatizzati grazie alla cosiddetta “sussidiarietà”, per la frammentazione del diritto al lavoro provocato dal rimettere in causa i contratti nazionali (aprendo la strada a legislazioni concorrenti al ribasso per attrarre manodopera), per la disarticolazione dell’istruzione, della sanità e delle politiche ambientali. L’autonomia non ci mette al riparo nemmeno dall’aumento delle tasse, visto che saranno le regioni a stabilire se tagliare i servizi o istituire nuove tasse. La legge quadro Boccia rappresenta una resa agli interessi privati, un concreto pericolo per tutti i cittadini e per i lavoratori italiani.

L’unità di tutte le voci che si oppongono e si opporranno a questo progetto politico devono unirsi per chiedere il ritiro della legge quadro e dell’autonomia differenziata. Il comitato nazionale da poco costituito da giuristi, insegnanti, lavoratori, attivisti, è il primo passo in questa direzione. La partita non è chiusa. Abbiamo il diritto e la responsabilità di vincerla, non per noi ma per tutti e tutte.

Giuseppe De Marzo

Dal settimanale L’Espresso del 9 febbraio 2020

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