25 Aprile, una nuova Resistenza

Siamo chiamati tutti a una nuova Resistenza, a ripensare un nuovo patto democratico a fronte della crisi delle democrazie occidentali.

Una nuova Resistenza

Non sono tutto sommato sorpreso della pochezza politico-culturale di tanti di sinistra che vorrebbero assimilare la nostra Resistenza antifascista all’autodifesa del popolo ucraino.

Sì, perché mi sono accorto in questi anni che la Resistenza è stata sempre più pensata come una sorta di sollevazione di giovani coraggiosi e altruisti, disposti a sacrificare la propria vita, contro l’invasore.

È scomparsa sempre più da questa narrazione l’idea fondamentale che nazismo e fascismo ebbero consenso in Italia e Germania – e tante altre parti d’Europa – come risposta moderna al problema moderno della crisi delle liberaldemocrazie dei primi anni del Novecento in seguito all’irrompere delle masse e delle ragioni del lavoro nell’agone politico e nella vita sociale in genere.

Quel consenso fu tale ed effettivo tanto che gli interpreti più acuti e avvertiti del nazifascismo parlarono di regimi reazionari di massa. Non deve inoltre sorprendere la parola moderno a proposito del fascismo.

25 Aprile 2021, la forza della divisione o da una parte o dall'altra
Carrara, Piazza Alberica. Gruppo di partigiani. Si riconoscono da sinistra: Dante Orsini «Dantin», Remo Corsi «Carichin», Dino Andrei (dietro), Doretti, Roberto Salvini «il viareggino». Foto di Nardo Dunchi.
(Archivi della Resistenza)

Il fascismo lo fu perché seppe utilizzare alcuni strumenti tipici della modernità industriale per creare il proprio consenso: dai mezzi di comunicazione di massa alla gestione del tempo libero tramite il dopolavoro.

E fu moderno perché diede risposta al problema moderno della crisi della democrazia di inizio Novecento, in cui vennero al pettine i nodi di quel tipo di liberaldemocrazia che non era in grado di tenere assieme le ragioni della libertà con quelle della sicurezza, i diritti degli individui con quella della collettività, la libertà d’impresa con il valore sociale del lavoro, la libertà personale con il bisogno tutto umano di sentire l’unità della propria vita, di rompere cioè l’alienazione politica, economica e spirituale tipica del capitalismo.

E allora la Resistenza non fu solo il coraggioso sacrificio di una generazione di giovani uomini e donne, ma anche e soprattutto il lavoro intellettuale e politico per pensare il mondo nuovo in cui le contraddizioni della liberaldemocrazia del primo Novecento potessero essere superate, in cui quel mondo fosse appunto nuovo e non solo il ritorno alla normalità dopo una sorta di parentesi nazifascista, come se nazismo e fascismo fossero una sorta di virus esterno da debellare.

La Resistenza non sconfisse solo l’invasor e non mise solo a testa in giù il “cattivo” dittatore. La Resistenza fu la risposta egemonica alla crisi della democrazia del primo Novecento e alla soluzione fascista.

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Gli antifascisti erano esponenti intellettuali – e certamente anche militari – di un paese che non era solo invaso ma che aveva prodotto il fascismo e aveva concesso ad esso il proprio consenso. E la battaglia fu battaglia politica, intellettuale, spirituale oltre che militare.

Non andrebbe allora dimenticato che, di fronte alla nuova crisi epocale della democrazia liberale dell’inizio di questo nuovo secolo, il fascismo è tornato in campo come soluzione alla crisi coinvolgendo pezzi consistenti di società che hanno addirittura rispolverato la retorica antipolitica, anticasta, antiplutocratica e, ovviamente, antisemita.

Mutatis mutandis, il fascismo è tornato in scena a est come a ovest, a Roma e Parigi come a Budapest o a Varsavia.

La guerra attuale nasconde il fatto che il nuovo patto democratico uscito dalla Seconda Guerra Mondiale è in crisi della fine dei Trenta Gloriosi e che tale crisi ha mostrato tutta la sua drammatica evidenza nella crisi finanziaria di inizio secolo e nel disastro medio-orientale di esportazione della democrazia.

Da questo punto di vista, è una boccata d’aria salutare per le democrazie occidentali che possono così allentare la pressione delle proprie contraddizioni e scaricare tutto sul deposta di turno.

Vogliamo ricordare degnamente la Resistenza? Bene, lasciamo stare almeno quest’anno la retorica sui giovani coraggiosi – che pure sarebbe giusta e legittima – e proviamo a concentrarci sulla crisi delle nostre democrazie che è simile a quella del secolo scorso.

Dopo la guerra se ne uscì con il compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro che maturò proprio nelle elaborazioni degli antifascisti europei che lavorarono sottotraccia nel ventennio dei fascismi. Quel patto si ruppe negli anni Ottanta.

Nessuna famiglia politica è stata in grado di pensare finora un nuovo patto per superare le contraddizioni di questa nuova crisi democratica.

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Allo stesso modo, lasciamo perdere la retorica sui resistenti ucraini che difendono i valori democratici. L’Ucraina è una tipica democratura dell’est europeo in cui convergono tutti gli elementi della crisi delle democrazie europee: nostalgia del fascismo, populismo antipolitico che conduce al potere un comico antipolitico, liberismo sfrenato e allo stesso tempo retorica contro i poteri forti ecc…

Siamo chiamati oggi tutti alla Resistenza, nessuno si deve sentire assolto. Siamo chiamati tutti a ripensare un nuovo patto democratico a fronte della crisi delle democrazie occidentali che data dall’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso.

Qualcuno la vorrà chiamare equidistanza? Non mi sorprenderebbe. Chi non vuole vedere in profondità i problemi dileggia l’avversario, lo delegittima moralmente. D’altronde, lo facevano già i fascisti…

25/4/2024 https://www.kulturjam.it/

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