LA RABBIA DI TRUMP CONTRO DRAGHI

Matteo Salvini torna gongolante e minaccioso dal suo viaggio lampo negli States, dove non ha incontrato il presidente – non è da tutti – ma in compenso il suo vice Pence e il segretario di Stato Pompeo. Comunque gente tosta, specialmente il secondo. Obiettivo dichiarato e raggiunto: Italia first nella speciale classifica degli alleati degli Usa. Contemporaneamente Trump imbraccia lo smartphone e lancia un tweet astioso contro Draghi, reo di avere provocato la discesa dell’euro sul dollaro dopo le sue dichiarazioni al Forum dei banchieri centrali a Sintra.

Tra i due fatti non c’è solo di una coincidenza temporale. Trump è ossessionato dalle presunte manipolazioni sul cambio, che provocherebbero il rafforzamento del dollaro sulle altre monete, deprimendo così le esportazioni statunitensi. La competizione con gli Usa diventerebbe quindi sleale, al punto da limitare l’efficacia delle misure protezionistiche giudicate invece sacrosante nell’ottica di America first. Nel suo tweet Trump non lo manda a dire, ma lo esplicita in modo greve: le dichiarazioni di Draghi fanno immediatamente calare l’euro contro il dollaro e rendono «ingiustamente più facile» per la Ue competere con gli Usa e conclude «sono anni che lo stanno facendo, insieme alla Cina e ad altri». Tralasciamo qui l’asimmetria del concetto di giustizia in Trump e registriamo invece che il suo nervosismo è alimentato dalle immediate reazioni positive dei mercati seguite al discorso di Draghi.

Le sue promesse di nuovi stimoli finanziari per risollevare un’inflazione che non vuole sentir ragione, di «ulteriori tagli dei tassi», molti dei quali già in negativo, fino all’assicurazione che il Quantitative Easing «ha ancora uno spazio considerevole», hanno il sapore di un nuovo Whatever it takes di fine mandato. E infatti lo spread è sceso a 240, i listini azionari hanno accelerato e l’euro è sceso sul dollaro. Tutto ciò genera euforia sui mercati finanziari, ma non fa rinascere l’economia reale. A Draghi questo non sfugge e infatti avverte che «guardando in avanti, lo scenario dei rischi rimane negativo e gli indicatori per i prossimi trimestri indicano una debolezza persistente».

Le politiche monetarie delle due aree, la statunitense e l’europea, non possono fare altro che aumentare il livore trumpiano. Le previsioni sull’inflazione nell’Eurozona (2024-2029) arrivano a non più dell’1,2-1,3%, mentre quelle negli Usa raggiungono l’1,9%. A parità di obiettivo, il 2%, l’Eurozona ha bisogno di ben più forti stimoli monetari che non gli Usa, con conseguenze sul cambio sgradite per questi ultimi. È la trappola della crisi e del tentativo di uscirne con politiche deflattive e protezioniste.

Ma a Trump simili ragionamenti importano poco. Lui ha bisogno di individuare nemici, meglio se in combutta tra loro. Per questo la sua grossolana denuncia comprende insieme la Ue e la Cina. Chiunque si pone se non in lotta almeno in frizione con loro, diventa suo amico. E qui entra in scena Salvini il quale, alla vigilia di una difficile trattativa con l’arcigna Ue sui conti italiani, va a cercare e offrire appoggi a Washington. Appena tornato dispensa promesse e minacce dall’assemblea della Confartigianato, chiarendo che prima del salario minimo viene la flat tax e che «chi vuol fare il ministro deve tagliare le tasse». Il riferimento a Tria non avrebbe potuto essere più arrogante.

Quindi Salvini si prepara a un braccio di ferro con la Ue non certo in nome di una politica anticiclica di spesa pubblica – che se ci fosse sarebbe sacrosanta – ma per una tassa piatta che avvantaggerebbe solo i ricchi. Il guaio è che il nostro sistema fiscale è già stato investito da una controriforma strisciante con la continua introduzione di imposte sostitutive minando il sistema dell’imposte sulle persone fisiche. In Italia, ma anche in Europa, si assiste a un inasprimento della imposizione indiretta. Se l’Iva, come piacerebbe anche a Tria, verrà aumentata, oltre a i prezzi accrescerà l’ingiustizia nel prelievo fiscale.

Si può dire che la flat tax è in parte già operativa. Salvini ne vuole fare la regola generale. Le conseguenze le abbiamo già viste. Il primo round della flat tax, il forfait del 15% per le persone fisiche con attività di impresa e ricavi fino a 65mila euro annui, fa sì che un professionista pagherà 10mila euro in meno di tasse di un lavoratore dipendente con reddito analogo e due figli a carico. Ma che importa, è come per la famosa curva di Laffer: a spiegarlo a un membro del Congresso americano ci vuole una buona mezz’ora, ma poi la ripete per tutta la vita, dicevano i reaganiani.

Alfonso Gianni

19/6/2019 https://ilmanifesto.it

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