Assemblee, scioperi, concerti in piazza. Perché i lavoratori del San Carlo sono in agitazione

Lorenzo Ceriani suona nell’orchestra del Teatro San Carlo di Napoli. È violoncello di fila. Ha studiato al conservatorio di Pesaro, la città in cui è nato nel 1973; poi due anni a Fiesole nell’Orchestra giovanile italiana e nel 1997, dopo alcuni tentativi in altre città, ha vinto il concorso a Napoli. Sono passati quasi trent’anni. Da due, è rappresentante sindacale dei suoi colleghi. Dopo gli scioperi delle settimane scorse, che hanno fatto saltare le prime nei teatri lirici in tutta Italia, gli abbiamo chiesto ragguagli sulle questioni aperte all’interno del Massimo napoletano. La principale, naturalmente, è il rinnovo del contratto nazionale.

«Il nostro contratto è scaduto da vent’anni – dice Ceriani –. Durante questo tempo abbiamo perso circa il quaranta per cento del nostro potere d’acquisto. La proposta di rinnovo che ci ha fatto il ministro è ridicola: aumenti che arriverebbero a sessanta euro lordi di media per quattordici mensilità, io la ritengo un’offesa. Le trattative sono iniziate otto mesi fa e da subito si è capito che il governo non voleva tirare fuori tutti i soldi che servivano».

Perché il contratto nazionale non è stato rinnovato per così tanto tempo?
«Tutti dicono che le fondazioni lirico-sinfoniche sono una cosa importante, ma in realtà se noi ci fermiamo – noi intendo l’orchestra, il coro, il corpo di ballo, ma anche gli amministrativi, la sicurezza – al limite può succedere che salti uno spettacolo… Se si fermano altre categorie, per esempio gli infermieri, diciamo che si nota di più… Ora siamo arrivati a un punto in cui per farci notare abbiamo dovuto proclamare lo sciopero su tutte le prime di tutte le opere in programma a livello nazionale. Oltre a Napoli, hanno scioperato Torino, Firenze, Venezia, Bologna… adesione totale. L’hanno deciso i sindacati nazionali. Io sono con la Fials, un sindacato autonomo, costituito da persone del settore, che il mestiere lo vivono. Al San Carlo i confederali e la Fials sono i sindacati con più iscritti. Tutte le prime stanno saltando. E questo naturalmente ha attirato l’attenzione del governo. La discussione era arrivata a un punto morto, siamo dovuti arrivare a questo».

Quali sono i termini della trattativa?
«C’è stata una bozza di rinnovo presentata dal governo con alcuni punti salienti, che ci ha lasciato molto scontenti. In particolare, c’è la volontà di introdurre la tipologia di contratto a partita iva. Nel contratto nazionale per ora non c’è. Al momento è un tipo di assunzione che riguarda principalmente le persone che hanno rapporti occasionali con le fondazioni, per esempio il musicista che suona uno strumento particolare e viene chiamato una volta ogni tanto, oppure i mimi, le comparse in palcoscenico… La Partita Iva potrebbe essere un grimaldello per non avere più dipendenti stabili a livello artistico e quindi rendere i teatri delle scatole vuote, con le cooperative che procurano le persone che vanno a lavorare. Mi viene in mente un amico clarinettista che ha suonato per un periodo di tempo a Madrid. Il Teatro di Madrid non ha un’orchestra stabile ma c’è una cooperativa che ha l’appalto per suonare in teatro, viene contrattata dal teatro per fare le stagioni. Tutelare lavoratori occasionali è una cosa, inserire nel contratto questa tipologia di assunzione è molto più pericoloso».

Ci sono poi delle questioni specifiche del San Carlo. A fine ottobre ci sono state manifestazioni, assemblee, scioperi.
«Innanzitutto c’è il problema della mancanza di riempimento della dotazione organica stabilita dal ministero. Da qui discendono due questioni fondamentali per noi: la prima è che la fondazione l’anno scorso ha fatto dei concorsi in ruoli del coro, da cui sono state stilate delle graduatorie di idonei. I primi in graduatoria sono entrati, gli altri idonei invece non sono stati assunti quando si sono liberati nuovi posti. È vero che non esiste una legge che obblighi la fondazione ad assumere un idoneo non vincitore, ma è anche vero che esiste una sorta di regola non scritta per cui se fai un concorso e risulti idoneo, quando si libera un posto ti assumono. Noi a dicembre in orchestra saremo sotto di diciassette elementi su novantanove, un quinto praticamente. Ma anche nel coro, nel ballo, gli stessi tecnici, sono sotto organico. È fisiologico che ci sia qualche assenza, ma non su così tanti posti. Ovviamente così si risparmia, ma noi non siamo d’accordo che si vada a risparmiare sui settori artistici, che poi sono quelli che mandano avanti il teatro. Uno degli obiettivi della nostra lotta è tutelare questi idonei non vincitori del concorso del coro».

Qual è l’altra questione?
«L’altro motivo è tutelare alcune persone che lavorano con noi da tantissimi anni, prevalentemente nel ballo e alcuni in orchestra, che essendo state precarie per tanti anni, e in assenza di un concorso, a un certo punto hanno fatto causa al teatro e in prima istanza hanno vinto, quindi il teatro le ha dovute stabilizzare. Poi nella scorsa primavera c’è stata una sentenza delle sezioni unite della Cassazione che ha stabilito che nei luoghi di lavoro si entra solo ed esclusivamente tramite concorso, non tramite decisione del giudice. Grazie a questa sentenza adesso la fondazione sta vincendo tutti gli appelli; e nel ballo succede questa cosa estremamente sgradevole, di persone che una mattina stanno facendo la sbarra, si stanno scaldando, stanno studiando la coreografia con i colleghi e gli arriva una mail che li informa che hanno perso l’appello e che devono svuotare immediatamente l’armadietto e andare via. Sono persone precarie da dieci o quindici anni, che vanno avanti con contratti annuali, o con contratti lunghi all’interno delle stagioni, a ricoprire un certo numero di giorni in un anno. Alcuni di loro hanno ruoli da solisti, quindi ruoli importanti. Un ballerino che viene messo sulla strada a trent’anni un altro lavoro non lo troverà. Noi sappiamo che a livello contrattuale siamo perdenti, la fondazione non è obbligata ad assumerli, ma ci sembra giusto tutelarli. Abbiamo dovuto fare giornate di sciopero e dopo si è avviata una trattativa per farli lavorare in teatro nei ruoli che ricoprono e in un modo che non esponga la fondazione a pericoli legali. Il contratto annuale non si può più fare, non si possono più fare contratti che generano precariato, quindi la soluzione è un concorso che magari consideri nel punteggio i titoli di servizio presso la Fondazione San Carlo o presso altre fondazioni. Il concorso non è ancora stato fatto proprio perché ci sono i contenziosi aperti. Abbiamo quindi fatto due giornate di sciopero a fine ottobre per i colleghi precari: una per gli idonei non vincitori perché fossero assunti, un’altra il giorno dopo per tutelare i precari che stanno perdendo gli appelli. La via migliore è il concorso, calcolando anche i titoli di servizio come succede in molti concorsi pubblici».

Su queste vicende influisce anche lo stallo che riguarda la dirigenza del teatro, con il sovrintendente designato dal governo, Carlo Fuortes, ex amministratore delegato della Rai, che pochi giorni dopo l’insediamento ha dovuto lasciare nuovamente il posto al sovrintendente uscente, il francese Stéphane Lissner, che aveva fatto ricorso in tribunale contro il suo licenziamento.
«In passato siamo stati commissariati a lungo. Il San Carlo aveva debiti ed è vero che il commissario è riuscito a riportare il bilancio in pareggio, ma è anche vero che noi in quegli anni abbiamo fatto molti sacrifici, siamo arrivati a oltre duecento alzate di sipario l’anno, quasi il doppio di quelle che si fanno normalmente: più produttività, più incassi. Noi come orchestra siamo il reparto che è presente in ogni spettacolo: opera, balletto, concerto sinfonico. È stata una scelta di responsabilità, sapevamo che ne andava del nostro futuro, ci siamo rimboccati le maniche. Ora è difficile per altri motivi. La disputa dei due sovrintendenti non aiuta la stabilità dell’ente, ma questa è stata una scelta governativa, che la fondazione ha subito. A noi quello che preme è che chiunque ci sia lavori bene per la fondazione».

Che tipo di problemi porta questa situazione di incertezza?
«Quando cambia un sovrintendente in una fondazione è come quando cambia un dirigente di azienda, c’è un terremoto sotto, perché ovviamente c’è una linea diversa, stagioni diverse. Quattro mesi senza sovrintendente ha voluto dire che per ogni contratto, per ogni scelta che la fondazione doveva fare per mettere in atto le produzioni non c’era una persona che firmasse; bisognava andare dal sindaco, che è il presidente della fondazione, ma il sindaco di Napoli non può avere come primo pensiero di essere disponibile per firmare i contratti del San Carlo… Sono capitate in quei mesi delle opere in cui era prevista la banda di palcoscenico, che richiede che venga chiamato del personale aggiunto, perché noi siamo già sotto di diciassette elementi e non abbiamo abbastanza gente per formare una banda di palcoscenico. Se non c’è il sovrintendente quei contratti chi li firma? Bisogna prendere appuntamento col sindaco. Se poi il giorno della prima si ammala qualcuno, che si fa? Bisogna andare di corsa a recuperare il sindaco per fargli firmare la sostituzione… Ci sono state assemblee in cui è venuto fuori un grande malcontento. Il nostro lavoro ha bisogno di certezze: suonare, cantare e ballare è molto difficile, noi dovremmo arrivare in teatro e pensare solo al lavoro che dobbiamo fare. Un’assenza così lunga per noi diventa una valanga, che più scende a valle e più diventa grossa. Dopo quattro mesi fermi l’onda lunga sta arrivando, e noi ce la stiamo beccando tutta». 

In che modo state comunicando al pubblico del teatro e più in generale alla città le ragioni delle vostre mobilitazioni?
«In una delle giornate in cui ha scioperato l’orchestra abbiamo preso gli strumenti e abbiamo suonato qualcosa davanti al teatro. Questo ha avuto molta risonanza. Siamo stati un po’ sfortunati il giorno della prima del Maometto, perché volevamo fare un po’ di volantinaggio, sensibilizzare il pubblico, però ha piovuto. Non siamo proprio scesi. Il teatro era chiuso, ha scioperato pure la sicurezza. Cerchiamo di restare in contatto con il nostro pubblico, soprattutto attraverso i social, spiegando il perché di certe scelte, che talvolta possono essere interpretate come capricci ma che noi facciamo per garantire un futuro alla fondazione e ai dipendenti, a chi verrà dopo di noi, e quindi per garantire alla città un’orchestra, un coro, un ballo e degli attrezzisti che mettano in scena gli spettacoli. Per noi non è mai piacevole far saltare uno spettacolo, il nostro lavoro e regalare la musica alle persone che ci vengono ad ascoltare». (luca rossomando)

13/11/2023 https://napolimonitor.it/

Immagine: disegno di escif

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