AUTONOMIA DIFFERENZIATA. Vicini al Referendum. Inchiesta fra la gente comune
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Il Disegno di Legge C. 1665, c.d. ddl Calderoli, ha come denominazione “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia“differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, meglio conosciuto“come disegno di legge sull’Autonomia Differenziata. Il testo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 giugno 2024, è stato in “parte dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale e rafforza la raccolta firme per il referendum finalizzato all’abrogazione della legge, che ha avuto“di recente il via libera dalla Cassazione.
Ma cosa ne pensano i cittadini di questo cosiddetta “Autonomia Differenziata”?
Ho condotto una piccola inchiesta tra le mie conoscenze. Preciso che le persone da me intervistate sono nella maggior parte pensionati del ceto medio, ex insegnanti, ex“dipendenti pubblici, ex tecnici di industria. Manca la componente giovanile, che mi riserverò eventualmente di sentire in seguito. La provenienza degli intervistati riguarda sia il Nord che il Sud dell’Italia, anche se non copre tutte le Regioni.
Ad essi ho posto le seguenti domande:
Che cosa sai dell’Autonomia Differenziata?
Saresti favorevole o contrario/a?
Potresti spiegarmene le ragioni?
Quali sono, secondo te, le criticità di questa proposta di legge?
Porterebbe dei vantaggi?
Dalle risposte emerge che alcune persone conoscono genericamente o per sentito dire il contenuto della legge, mentre altre ne hanno una visione più precisa e dettagliata. E il fatto che siano sostanzialmente tutti contrari, se pur con qualche distinguo, anche quelle persone (da quanto ne so, almeno un paio) che votano i partiti attualmente al governo.
I motivi per cui sono contrari o comunque diffidenti si possono articolare attorno ad alcuni concetti – chiave, che sarebbero i “seguenti:
- intanto, la poca chiarezza, se non l’ambiguità dell’espressione Autonomia Differenziata. Che cosa significa? L’autonomia è prevista dalla Costituzione, è stata anche realizzata con l’istituzione delle Regioni, altre disposizioni di legge l’hanno rafforzata, tuttavia si trattava sempre di autonomia amministrativa che comunque non ledeva i poteri dello Stato centrale e il principio di sussidiarietà a favore delle Regioni più deboli.
- In questo caso, invece c’è il rischio che possa significare qualcosa di molto diverso; il contenuto stesso delle materie (per l’esattezza 23) che trasferirebbero delle competenze molto importanti dallo Stato centrale alle Regioni su questioni molto delicate, come l’istruzione, la sanità, i rapporti internazionali, il commercio con l’estero, la protezione civile, il controllo dei trasporti, la gestione del credito e altre, con il rischio che si creino delle fratture estremamente rilevanti tra Regione e Regione; i costi effettivi e la dislocazione delle risorse finanziarie per l’attuazione della legge, che prevedono una consistenze riduzione contributiva fiscale a favore delle Regioni che richiedessero e ottenessero l’autonomia, ma a scapito dello Stato centrale e quindi della redistribuzione della ricchezza a favore delle Regioni più svantaggiate;“ la poca chiarezza dei LEP (definiti dal Governo e non dal Parlamento) quando non addirittura l’impossibilità di una loro“realizzazione pratica, per le minori risorse devolute allo Stato centrale. Tra l’altro, In un contesto di già forte disuguaglianza tra le Regioni rispetto ai servizi erogati. Disuguaglianza che rischierebbe di diventare ancora più rilevante.
Riporto ora brevemente alcune riflessioni che gli intervistati hanno riferito testualmente rispetto a tali nodi critici.
Fernando Palano da Brindisi rileva la situazione già estremamente drammatica in cui versa la sanità nel sud e riporta il caso di un suo amico morto d’infarto perché al Pronto Soccorso per cinque ore lo hanno abbandonato a se stesso, senza prestargli le cure necessarie.
Scrive Nando “La sanità è allo sbando, qui al sud. C’è gente che muore perché non può curarsi. E’ una vergogna” Cosimo Cucci, sempre da Brindisi, sostiene: “Le regioni, oggi, ricche in termini di PIL vogliono ridurre in termini sostanziosi la solidarietà verso le regioni, oggi, più povere, accampando che vogliono solo sistemi più efficienti. Di politica estera commerciale regionale non abbiamo nessun bisogno, così di una scuola regionalizzata, dell’energia gestita a livello regionale e così delle altre competenze di cui si vorrebbero appropriare le regioni del“nord con i partiti della destra italiana”.
Alba Di Carlo, abruzzese che da tempo vive a Torino, scrive: “L’autonomia differenziata prevederebbe che gli introiti fiscali restino nella Regione in cui sono stati versati. Ciò contrasterebbe con l’assunto costituzionale art.2… Con l’autonomia differenziata verrebbero meno i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, nel senso che le Regioni ricche avrebbero maggiori disponibilità economiche da utilizzare per Scuola, Sanità, Sostegno sociale ecc. mentre le Regioni povere sarebbero destinate a un progressivo depauperamento e distacco dai livelli“economici delle Regioni ricche. I LEP non sono stati né descritti in termini generali e neanche dettagliati. Questi, nel caso, dovrebbero costituire una premessa e dovrebbero essere strettamente vincolanti”.
Renata Perret, di Aosta: “Mi immagino, senza troppa fantasia un’Italia che vedrà regioni a forte autonomia ( le più“ricche ) e regioni tutelate da uno Stato sempre più impoverito. Si spera quindi che, nel conferire autonomia alle regioni, non si devolva totalmente il potere di legiferare perché si rischia di ritrovarsi nel caos più totale. I sostenitori dell’autonomia potrebbero obiettare che , prima di ogni operazione si prevede che siano garantiti a tutte le regioni i livelli essenziali delle prestazioni ( LEP )”. Questi livelli essenziali dovrebbero riguardare la totalità dei diritti civili e sociali, mentre la legge Calderoli ne estrapola solamente una parte e ne demanda la definizione a commissioni tecniche composte da membri nominati dal governo. In questa fase è conferito troppo potere all’esecutivo, come già messo in evidenza dal parere della“corte costituzionale. I decreti di emanazione di questi LEP, inoltre, non potranno essere adottati se non in presenza delle risorse economiche necessarie alla copertura. Ma dove si prenderanno queste risorse economiche? Non è dato sapere la legge non lo dice. Ci sono anche materie che possono essere devolute a prescindere dai LEP.”
Lorenzo Pesce, piemontese: “Sono favorevole da sempre all’autonomia amministrativa delle regioni. Ritengo però che alcuni settori debbano avere una direzione centralizzata e statale (l’istruzione, il commercio estero, la difesa, gli esteri, per esempio). La corte dei conti deve comunque vigilare sulle spese delle regioni”.
Elda Gastaldi, anche lei piemontese: “Sono contraria al regionalismo differenziato che mette a rischio anche il lavoro e l’attività delle imprese, la gran parte delle quali è situata al Nord, e lo sviluppo dell’intero Paese. Colpisce la sanità“pubblica, l’istruzione, le politiche ambientali, i trasporti, la protezione civile. E’ necessario comprendere che l’autonomia differenziata non è la risposta adeguata all’impoverimento subito negli ultimi trent’anni anche dalla classe media settentrionale, convinta illusoriamente della necessità di sganciarsi dalla zavorra del Sud che impedisce alla locomotiva del Nord di poter correre. Inoltre quando cresce il divario tra Nord e Sud cresce anche il“divario tra il Nord e le regioni europee. Per ricominciare a crescere deve crescere il sistema Paese”.
Caterina Cifatte da Genova: “Secondo me l’unitarietà dello Stato ed una equa distribuzione delle risorse dei“contribuenti sono obiettivi che devono essere mantenuti: vale quindi il principio di sussidiarietà, cioè del mutuo e reciproco scambio da parte di tutti i soggetti che compongono lo Stato. Le Regioni hanno certamente delle differenze e delle peculiarità che possono sviluppare in termini di programmazione e di obiettivi strategici, ma ciò deve essere concepito in funzione della stabilità del, principio di un equilibrio economico e finanziario. Anzi là dove è maggiormente evidente uno squilibrio ed è evidente l’esigenza di sostegno da parte dello Stato, lo Stato stesso deve garantire questa redistribuzione delle ricchezze e dei vantaggi a tutte le regioni e in tutti i settori. Questo dovrebbe valere anche a livello internazionale”.
Raffaella Virelli, residente a Chieri ma di origini calabresi: “Mi dichiaro contraria per diversi motivi: L’ autonomia differenziata sottrae risorse alla collettività nazionale e nonostante la definizione (in corso) dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni), potrà accadere che i servizi pubblici non saranno offerti in egual misura e con gli stessi standard su tutto il territorio. In particolare alcune Regioni sarebbero svantaggiate rispetto ad altre. Ad esempio, si potrebbe verificare un dislivello tra Nord e Sud Italia soprattutto su alcuni settori come la scuola, la sanità, l’ambiente. Le donne vedrebbero ulteriori restrizioni relative all’affermazione dei propri diritti e ostacoli aggiuntivi alla conquista del pieno riconoscimento della propria funzione nella società. Penso all’interruzione di gravidanza e agli asili nido. La potestà legislativa in materia di sanità potrebbe andare a colpire l’esercizio del diritto ad una maternità consapevole (che già ha visto violazioni rispetto alle conquiste della 194/78). nI servizi per l’Infanzia, come tutti i servizi sociali, vedranno crescere il processo di privatizzazione. Non ridistribuire il gettito fiscale su tutto il territorio viola il principio di solidarietà economica e sociale richiamato dalla Costituzione stessa. Non potrebbe che derivarne una forte disparità tra le Regioni stesse, negando di fatto l’Unità d’Italia”.
Salvatore Lautieri, residente a Torino ma originario di Latina dichiara: “Quello che mi sento di dire, è che possono prevalere scenari catastrofici per le Regioni già in difficoltà finanziarie e organizzative, sia per il clientelismo utilizzato come bacino di voto, che per lo sperpero di risorse e fondi pubblici senza creare gli opportuni presupposti di risanare le criticità. I vantaggi si configurerebbero solo dopo un’attenta e virtuosa ristrutturazione degli apparati operativi e un cambio completo dei vertici. Pochi dirigenti e sostituendo questi con tecnici formati per operare nei più svariati settori della P.A., una reale informatizzazione e realizzazione di una rete comune di collegamento delle banche dati, senza rimbalzare da un Ente, ufficio, o quant’altro, allora sì, ci sarebbe un cambio di passo per tutte le Regioni, anche quelle più disastrate”.
Queste sono solo alcune delle voci dell’inchiesta da me condotta, ma le altre non si discostano di molto. Tutte paventano, per motivi diversi, una ulteriore spaccatura del sistema Paese, senza che vi sia la garanzia di una contropartita anche sul piano dei LEP. Non sono state affrontate questioni, diciamo, “sovrastrutturali” ma non meno rischiose, ad esempio un“maggiore livello di conflittualità tra centro – settentrionali e centro – meridionali.
Voglio riportare in chiusura la voce molto significativa di un mio amico proveniente dalla Bosnia, ormai da molti anni in Italia con la famiglia, a causa della guerra che lì imperversava agli inizi degli anni ’90. Alla mia domanda su come sia cominciata la divisione della ex Jugoslavia, mi ha confermata nella mia ipotesi, che cioè la “differenziazione” sia cominciata proprio nell’elargizione e nel costo dei servizi. Mi dice testualmente: “Rita, io, che provenivo da Banja Luka, non potevo andarmi a curare in Croazia, la regione di mia“moglie, perché avrei dovuto pagare, in quanto non esisteva più un servizio sanitario nazionale e io non me lo sarei“potuto permettere. Questo quando lo Stato jugoslavo esisteva ancora e l’attrito fra le regioni riguardava solo l’autonomia“finanziaria di ciascuna di esse. Come poi sia andata a finire nella ex Jugoslavia lo sappiamo tutti benissimo!“
Rita Clemente
Scrittrice. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
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