Banche sul bersaglio del risparmio gestito. L’attuazione del “Piano Draghi” e del “Piano di competitività” di Enrico Letta

Da Unicredit-Bpm a Mps-Mediobanca, fino all’ultima offerta Bper su Banca popolare di Sondrio. Le manovre bancarie in atto nel panorama italiano ed europeo (come Unicredit-Commerzbank) hanno un punto in comune: la guerra del capitalismo finanziario passa ormai dal risparmio gestito su scala globale. Osservare “solo” i fatti italiani senza considerare i fondi americani rischia di portare fuori strada. L’analisi di Alessandro Volpi

L’Offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata dall’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, nei confronti di Bpm sembra voler coronare e dare un senso all’acquisto da parte della stesso Bpm, insieme a Caltagirone e Delfin, di Anima, su cui pende un’Offerta pubblica di acquisto (Opa) proprio di Bpm, e della quota privatizzata di Mps, che di Anima è la banca “distributrice”.

L’Offerta pubblica di scambio in questione ha un valore di oltre 10 miliardi di euro e prevede un aumento di capitale di Unicredit del 13,9%. L’obiettivo, al di là delle dichiarazioni di Orcel, è chiaro: creare un colosso del risparmio, dominato da Unicredit, con oltre 20 milioni di clienti che contenda il controllo del risparmio gestito europeo ai tre grandi fondi speculativi americani BlackRock, Vanguard e State Street.

Si tratta, in larga misura, dell’attuazione del “Piano Draghi” e del “Piano di competitività” di Enrico Letta: tenere in Europa i “famosi” 33mila miliardi di euro di risparmi europei, attraverso la creazione di colossi, magari sostenuti dalla Commissione europea, già disponibile ad ampie deroghe in materia di concentrazione monopolistica e solerte nell’avviare un mercato unico dei capitali dove tali monopoli possano scorrazzare senza troppi limiti “nazionali”.

La partita decisiva in tale senso però è duplice: i nuovi colossi europei devono trovare in Europa impieghi remunerativi per azionisti e clientela, altrimenti continuerà la trasmigrazione del risparmio verso gli Stati Uniti, nonostante il nuovo assetto europeo, e, al tempo stesso, devono resistere alle pressioni delle Big Three che ormai molte delle banche europee hanno in pancia.

Alla luce di ciò è fondamentale capire se la possibile aggregazione Unicredit-Commerzbank, ad oggi sospesa, si faccia sotto l’egida degli azionisti europei o sotto le insegne di BlackRock, grande azionista di entrambi gli istituti.

L’elezione di Donald Trump, con la scelta di figure come Howard Lutnick e Scott Bessent nei ruoli chiave dell’economia, non certo “ortodossi” rispetto alle linee guida degli attuali padroni di Wall Street, sembra aver, almeno in parte, reso meno imbattibili le Big Three.

In questo scenario, assai teso, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che il governo potrebbe intervenire con lo strumento del Golden power per fermare l’Offerta pubblica di scambio varata da Unicredit. È chiaro che l’esecutivo aveva in mente un terzo “polino” quasi italiano con Caltagirone, Eredi Del Vecchio, Anima, Bpm e Mps, magari non insensibile alle sirene del governo e beneficiato dallo smantellamento della presenza pubblica, a partire dalla destinazione del Tfr e dalla detassazione della previdenza complementare. La mossa di Unicredit ha scompaginato quel piano.

Giorgetti, in realtà, sembra non capire che ormai con l’attuale Commissione von der Leyen, ispirata proprio dal “Piano Draghi”, non c’è più spazio per piccoli player nazionali e che la partita è quella delle mega-aggregazioni per la conquista del risparmio gestito. Non a caso, Amundi, che ha come principale azionista Credit agricole con il 69%, sta trattando una “fusione” con Allianz Global Investors, di proprietà di Allianz, per realizzare un colosso in grado di disporre di 2.500 miliardi di euro di risparmio gestito.

Nel frattempo, proprio Generali ha avviato relazioni con Natixis, controllata dal gruppo delle casse di risparmio francesi, per dar vita ad un altro gruppo con duemila miliardi di euro di asset. Unicredit vuole essere della partita e semmai lo scontro sarà tutto interno fra Allianz e BlackRock, i suoi azionisti, per decidere se tale aggregazione sarà americana o meno. Intanto, però, il “polino” italiano ha deciso di rilanciare con un’Offerta pubblica di scambio da parte di Mps nei confronti di Mediobanca che suscita non poche preoccupazioni.

La prima. Si tratta di un’acquisizione assai onerosa che può mettere a repentaglio l’istituto senese, come del resto dimostra il fatto che appena annunciata ha generato una perdita pesante del titolo Mps e una lievitazione di quello di Mediobanca, con la conseguenza che il costo per Mps è diventato subito assai più alto.

La seconda. L’operazione, come le altre in corso, è tutta finanziaria e dettata dai super profitti, tradotti in super dividendi, conseguiti dalle principali banche italiane: una notazione che vale anche per spiegare la freschissima Offerta pubblica di scambio lanciata da Bper nei confronti della Banca popolare di Sondrio.

Tre numeri sono utili in tal senso: il credito concesso dalle banche italiane non arriva a 500 miliardi di euro l’anno, mentre le scalate in atto valgono oltre 100 miliardi, così come i profitti bancari degli ultimi due anni. In sintesi, poco credito reale, tanti profitti -garantiti anche dalla remunerazione della Banca centrale europea- e tanta liquidità messa in campo per creare un monopolio in grado di conquistare la linfa del risparmio gestito italiano con cui poi comprare titoli prevalentemente statunitensi.  

La terza. La regia di tutta questa operazione è riconducibile a due sole famiglie del capitalismo italiano, che hanno capito di poter osare per la copertura di un governo “amico” alla ricerca di un’accelerazione delle privatizzazioni, a partire proprio da Mps, dove lo Stato è primo azionista con quasi il 12%, ma dovranno fare i conti con i grandi azionisti rappresentati dai fondi Usa che intanto passano all’incasso.

Commerzbank per “difendersi” dall’ “attacco” di Unicredit ha deciso di aumentare i dividendi distribuiti agli azionisti e di operare un buy back -un riacquisto di azioni proprie- per far aumentare il valore dei titoli. Ma chi sono gli azionisti di Commerzbank che beneficiano di questa “difesa”? In primis proprio Unicredit che è il secondo azionista di Commerzbank, dopo il governo tedesco, e poi BlackRock, che è il primo azionista di Unicredit e il terzo di Commerzbank.

In sintesi, il capitalismo finanziario genera ricchezza che rafforza il monopolio e i “conflitti” -più o meno veri- sono un formidabile strumento di questo arricchimento.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

12/2/2025 https://altreconomia.it/

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