Bufale e malainformazione. Il cane si morde la coda
Tutti i media mainstream, con l’immancabile Repubblica a guidarne le fila, si sono scagliati contro le ultime dichiarazioni-boutade di Grillo su una “giuria popolare” per controllare la veridicità delle notizie pubblicate – appunto – dai media.
Questo attacco durissimo è l’esempio perfetto dello stato di salute dell’informazione italiana, schiacciata tra spirito di corpo e funzione propagandistica del potere esistente.
Infatti, tralasciando per un momento la “qualità” della dichiarazione di Grillo, non si può certo estrapolarla dal contesto in cui è stata fatta, cioè una critica (e per questo presumibilmente più una provocazione che un’intenzione seria, anche se delle intenzioni del comico non si può mai essere sicuri) all’idea di Pitruzzella di una legge europea “anti-bufale”, che prevederebbe una sorta di “Ministero della Verità”, di un’agenzia che monitori il web e censuri le notizie non idonee.
La notizia si è così magicamente trasformata: non è più Grillo che reagisce (alla sua maniera, cioè totalmente confusionaria) a quello che potrebbe essere un attacco alla libertà di informazione, essendo evidentemente più che ambigua un’agenzia con il potere di decidere cosa è bufala e cosa no, ma sarebbe Grillo stesso a proporre una sorta di censura dell’informazione.
Questo episodio mostra chiaramente quale sia il cortocircuito informativo, e propone molte riflessioni su diversi punti caldi.
Primo punto, nessun giornale si è preoccupato del fatto che una task-force anti-bufala possa avere degli effetti deleteri per la libertà di informazione. Secondo punto, quando una persona fa notare con una provocazione questo problema, diventa lui il pericolo della libertà di informazione.
Perché questo? Una semplice reazione di difesa del corpo giornalistico, che si vede da una parte rubare il lavoro da giornali on-line più o meno attendibili, e dall’altra parte venire anche accusati dai “populisti cattivi” di fare malainformazione?
Ma la “bufala” è propriamente l’altra faccia della medaglia di una cattiva informazione: meno sono credibili i media “istituzionali” o mainstream, tanto più le persone saranno portate a cercare fonti di informazioni alternative, non sempre riuscendo a discernere fra quelle vere e quelle false.
Prima di lanciarsi in una crociata per la vittoria del vero contro il falso l’apparato giornalistico tutto dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Infatti, come tra le altre cose ricorda il cattivissimo Grillo, l’Italia si trova ancora al 77mo posto nella classifica mondiale per la libertà di informazione: se durante il periodo berlusconiano questo misero piazzamento veniva infatti imputato all’enorme conflitto di interessi del Cavaliere e il suo totale controllo della televisione, oggi bisognerebbe interrogarsi più seriamente sul ruolo dei giornali e i loro inestricabili rapporti con la politica.
D’altra parte la malainformazione si può notare nelle notizie che ci vengono fornite ogni giorno e che sono in così netta contraddizione con quello che poi i lettori vivono sulla loro pelle: come quando i giornali riportano le entusiastiche stime del governo su crescita e occupazione, senza analizzarle né spiegarle; salvo, qualche giorno, dopo fornendone altre assai diverse ma più veritiere fornite da un’altro istituto statistico e, anche qui, senza problematizzare minimamente il perché di questi dati diversi; quando censurano completamente scioperi e manifestazioni che pure tantissime persone vivono sulla loro pelle, per poi dare eccessivo risalto a ogni striscione appeso da questo o quel gruppuscolo neofascista; quando, nella copertura di drammatiche vicende come le guerre che ci circondano, prediligono la narrazione emotiva attingendo da fonti ampiamente inattendibili rispetto a una visione più ampia sulle cause del conflitto e, soprattutto, stando sempre bene attenti a omettere qualsivoglia responsabilità del nostro governo (o dei nostri alleati).
Spesso viene definito il ruolo del giornalismo come “cane da guardia del potere”, cioè come cane da guarda che controlla il potere. Interessante però che l’espressione possa avere anche il significato opposto: il cane da guarda di proprietà del potere.
Chi dovrebbe controllare chi, dunque? I media di oggi sono controllori del potere o per il potere? Cosa succede se il potere si erge a controllore dell’informazione?
Lo stato di salute dell’informazione riflette quello del funzionamento democratico, e ad oggi è terribilmente preoccupante, ma ancora più preoccupante è chi fa squillare le trombe a favore una cura volta a restringere ulteriormente le libertà di espressione e partecipazione.
Ricardo Rinaldi
5/1/2017 http://contropiano.org
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