Come è nato il Covid

La notizia del Wall Street Journal
Un rapporto del Dipartimento dell’Energia americano ha concluso che la pandemia di Covid-19 “molto probabilmente” è nata da una fuga in laboratorio. Lo riferisce il Wall Street Journal in esclusiva dopo aver preso visione della ricerca.

In precedenza il dipartimento aveva dichiarato di non avere certezze su come si fosse sviluppato il virus. Questa conclusione è invece contenuta in un aggiornamento di un rapporto del 2021 dell’ufficio della direttrice della National Intelligence Avril Haines. Secondo fonti dei servizi americani interpellate dal Wall Street Journal, la posizione del Dipartimento è cambiata dopo che sono emerse “nuove informazioni di intelligence, studi di ricercatori e consultazioni con esperti non governativi”. Si tratta di una conclusione significativa perché questa agenzia sovrintende ha una rete di 17 laboratori nazionali, alcuni dei quali svolgono ricerche biologiche avanzate. Tuttavia, il Journal osserva che il Dipartimento dell’Energia sostiene la nuova posizione con “scarsa fiducia”, mentre quando l’Fbi aveva raggiunto la stessa conclusione nel 2021, aveva valutato il suo livello di fiducia come “moderato”.

L’Fbi ha sempre sostenuto che il Covid fosse il frutto di un incidente nel laboratorio di Wuhan, in Cina. Il Wall Street Journal (Wsj) scrive che altri quattro dipartimenti statunitensi continuano a sostenere che l’epidemia di coronavirus sia stata probabilmente il risultato di una trasmissione naturale del virus, mentre altri due sono indecisi. Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, commentando con la Cnn la notizia, ha detto che non abbiamo “una risposta definitiva” sulla possibilità che l’epidemia di Covid sia stata provocata da una fuga di laboratorio. “Quello che posso dirvi è che il presidente Biden ha ordinato, ripetutamente, ad ogni elemento della intelligence community di riservare ogni sforzo e risorsa per andare a fondo alla questione”, ha aggiunto Sullivan. “Se avremo nuove informazioni, le condivideremo con il Congresso e con il popolo americano. Ma in questo momento, non c’è una risposta definitiva”, ha concluso.

Prendere le distanze da sinofobia e indagare le responsabilità USA
La Cina ha subito invitato a “smettere di sollevare affermazioni su fughe di laboratorio, di diffamare la Cina e di politicizzare la questione della tracciabilità dell’origine” del Covid-19, evento che aveva portato ad ondate di sinofobia insensata in Occidente. “Una perdita di laboratorio non è stata ritenuta possibile da autorevoli conclusioni scientifiche di esperti congiunti di Cina e Organizzazione mondiale della sanità”, ha detto nel briefing quotidiano la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning, sull’ultimo rapporto del dipartimento dell’Energia Usa e riportato dal Wall Street Journal, secondo cui la pandemia è nata molto probabilmente da una fuga di laboratorio riaccendendo i riflettori su Wuhan, ma piuttosto bisogna indagare le responsabilità USA sulla fuga del virus a Wuhan. A marzo 2020, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian in un suo tweet affermava che i militari statunitensi avrebbero potuto portare il Coronavirus nella città cinese di Wuhan. Il possibile contagio sarebbe avvenuto dal 18 al 27 ottobre 2019 a Wuhan, dove più di 10.000 militari da 100 paesi di tutto il mondo hanno partecipato alla settima edizione dei Military World Games, una manifestazione sportiva a carattere internazionale a cui hanno partecipato anche 172 militari statunitensi. Sulla base delle stime effettuate da una ricerca medica del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Università di Milano, pubblicata il 28 febbraio 2020 sul Journal of Medical Virology: “l’origine dell’epidemia da SARS-CoV-2 può essere collocata tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre 2019, alcune settimane prima quindi rispetto ai primi casi di polmonite identificati.”

Inoltre nell’articolo Trump, Fort Detrick e il Covid-19. Il colpevole silenzio degli Stati Uniti sulla vera origine del coronavirus;  viste le informazioni ormai acquisite su un’epidemia di polmonite verificatasi all’inizio di luglio 2019 in una casa di riposo di Green Spring, Virginia (Usa); vista l’anomala chiusura dei laboratori batteriologici di Fort Detrick (Usa), proprio nella seconda metà di luglio del 2019 e durata per alcuni mesi; visto il ritrovamento del Coronavirus in Italia, in Lombardia e in altre regioni, fin dall’inizio di settembre del 2019, ossia almeno due mesi prima della genesi dell’epidemia di Covid-19 a Wuhan in Cina; visto il ritrovamento innegabile del Coronavirus anche in un centinaio di cittadini statunitensi già all’inizio di dicembre del 2019; è opportuno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità compia un’accurata indagine, come quella del resto già avviata a Wuhan all’inizio del 2021, riguardo a Fort Detrick, all’ospedale militare di Fort Belvoir e alla casa di riposo Green Spring, con l’obiettivo di appurare se il Coronavirus possa essere stato originato nel territorio degli Stati Uniti d’America.

Il fallimento dei debunkers occidentali e la necessità di un contro-debunking
Questa notizia è un fulmine a ciel sereno perché smentisce tutto quello che i “professionisti dell’informazione” mainstream ci hanno detto per tre anni. A marzo 2020, la prima ipotesi sull’origine del Covid-19 era la bioingegnerizzazione in laboratorio, ma scienziati e le viro-star hanno subito rassicurato sul fatto che, seppur sia un virus simile al supervirus polmonare creato in laboratorio nel 2015, quel ramo di coronavirus era diverso dall’attuale Covid-19, che è stato appunto denominato “Nuovo Coronavirus”. Anche il solo dubbio, con fonti alla mano, che il Sars-Cov-2 fosse sfuggito dal laboratorio aveva generato l’immediata reazione schizofrenica e isterica che additava questa ipotesi come “complottista”, come se fosse una cosa irrealizzabile, surreale, impensabile e che nel passato non si fosse mai avverata. Questa etichettatura ha banalizzato fortemente il discorso e creato quella categoria moralistica per la quale chi esplicita dubbi non veniva nemmeno ascoltato o preso in considerazione, senza che i suoi dubbi venissero analizzati, studiati o smontati razionalmente. Dopo quello che è successo con la vicenda delle “bombe chimiche” di Saddam Hussein è eticamente giusto sospettare delle posizioni ufficiali e lo scetticismo è in realtà l’esercizio della filosofia del sospetto, marxianamente parlando, inteso come dubbio delle fenomenicità degli eventi, ovvero dubitare di come gli avvenimenti si manifestano. I veri sconfitti in questa storia sono i “debunkers”, coloro che fin da subito si sono autodefiniti l’unica fonte di verità ed autorevolezza dichiarando guerra a quelle che secondo loro erano fake news da estirpare dall’opinione pubblica. La categoria di “complottismo” è stata usata strumentalmente come arma politica per additare le differenti opinioni. Parlare di fake news quando si trattava di possibili ipotesi è stato intellettualmente disonesto.

A livello culturale siamo ancora vittime di forti distorsioni morali, credendo che solo il fatto di pensare che un virus possa sfuggire da un laboratorio o possa essere usato in modo inappropriato, sia una “bufala” e quindi non un’ipotesi plausibile. Ciò però non ha nulla di razionale dal momento che le armi batteriologiche in passato sono state usate e non è inverosimile che questo evento si possa ipotizzare e che possa avverarsi. Il laboratorio di Wuhan nel 2015 aveva ingegnerizzato in laboratorio un supervirus polmonare, derivante da una proteina presa dai pipistrelli e innescata nel virus della Sars ricavata da topi: se questo è stato possibile perché non si può pensare altrettanto di fronte ad un Unusual Epidemic Event, ovvero un’epidemia da virus sconosciuti come è stato il Sars-Cov-2? Il sospetto è una buona memoria storica e tutti dovrebbero riconoscerlo.

La mancanza di razionalità è il segnale di un senso critico che sta svanendo ed è segno che la gente si accontenta di informazioni sfornate, impacchettate e consegnate a cui si deve credere per forza. I debunkers, i cosiddetti “cacciatori di bufale”, oltre a smentire tutte le sciocchezze e stupidaggini che circolano, allo stesso tempo hanno annichilito il dibattito, minato la controinformazione alternativa e creato degli “specialisti della verità”. La verità si afferma quando è in grado di negare tutte le sue negazioni, con il dibattito e il confronto e non con argomenti ad hominem calati dall’alto che rassicurano l’opinione pubblica e decidono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò è falso e ciò che è vero. Articoli scientifici, informazioni, certezza delle fonti, dibattito pubblico e dichiarazioni rilasciate con cognizione di causa sono il vero modo per abbattere tutte le bufale, le fake news e le degenerazioni del web, ma non sicuramente la limitazione della libertà di parola e la repressione dell’opinione. È troppo facile e disonesto escludere dal dibattito un soggetto, che avanza certe ipotesi, etichettandolo fin da subito senza essere in grado di soddisfare i suoi dubbi o di dare risposte credibili alle sue perplessità. La figura del debunker, riconosciuta a livello istituzionale fin dai tempi del Decreto Minniti, – con cui il suo ruolo è stato potenziato anche a livello di polizia postale diventando “debunker di Stato” – oggi necessita più che mai di una controparte attiva, ovvero le attività di contro-debunking volte a vigilare sull’attività dei debunkers istituzionali, spesso non sempre neutrali e guidati da conflitti d’interesse.

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

2 marzo 2023

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