Conferenza Anpi Sud. “Oggi c’è ancora più bisogno di noi”. Parla Michela Cella

Michela Cella, presidente provinciale Anpi Novara, fa parte della Segreteria nazionale

Per la presidente provinciale dell’Anpi Novara, l’appuntamento di Paestum del 6 e 7 aprile sarà un importante “momento di incontro e organizzazione di percorsi di riflessione e lavoro concreto che riguardano tutte e tutti noi, perché interessano l’intera nostra realtà, nella sua pluralità e declinazioni sul territorio, nell’essere Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. La Resistenza è una ed è nazionale”. “Sono cresciuta in famiglia ascoltando i racconti dei combattenti della lotta di Liberazione”. E per il 25 aprile l’Anpi Novara prepara un evento speciale

Michela Cella è solare e tenace, sempre sorridente e al contempo determinata, attenta, preparata. Presidente del Comitato provinciale Anpi Novara e membro della Segreteria nazionale, la incontriamo nell’imminenza della Conferenza di Organizzazione partecipata delle Anpi del Mezzogiorno, che si terrà a Paestum il 6 e 7 aprile, momento di unificazione e condivisione dei valori resistenziali sul quale merita riflettere e approfondire.

Vincenzo Grimaldi, il “comandante Bellini”. Per gentile concessione della famiglia Cella

Il 6 giugno del 1944 nasce a Roma l’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, in un momento estremamente difficile e in un’Italia frammentata nello spazio geografico e nei cuori. Eppure già allora il concetto di unità nazionale, e l’esigenza del coraggio per conquistarla, vengono dichiarati da due parole importanti, fondative, “nazionale” e “partigiani”.  Secondo te cosa significa oggi, a 80 anni di distanza, tornare a ragionare tutte e tutti insieme sui valori della Resistenza?

Non può che esserci una, e una sola, Resistenza, ed è una Resistenza nazionale. Non mi è mai venuto in mente il contrario. È, per me, una risposta “naturale”: è una certezza che affonda le radici nella mia storia personale, famigliare. Se oggi sono impegnata nell’Anpi e docente di Lettere è anche perché sono la nipote di Vincenzo Grimaldi, il comandante “Bellini”, un giovane soldato del Sud, era di Caltagirone, che l’8 settembre ’43 si ritrova di stanza in Piemonte, a Cavour, vicino Pinerolo. Anche lui, come tanti, si ritrova nel ‘fuggi fuggi’ generale, e sceglie la strada della lotta partigiana al fianco di Pompeo Colajanni, ufficiale dell’esercito, il comandante “Barbato”, pure lui meridionale, siciliano.

Un gruppo di Comandanti partigiani tra cui “Barbato”, Pompeo Colajanni, (il terzo in alto a destra) e “Bellini”, il primo in basso a destra. Per gentile concessione della famiglia Cella

Un centinaio di uomini, molti soldati che erano originari del Sud, ma anche volontari e antifascisti, che iniziano così i venti mesi di lotta al nazifascismo: «Intanto, fin dalla metà di settembre, di giorno in giorno arrivavano alle nostre “basi” degli antifascisti che ci raccontarono anni di persecuzioni e prigionie inflitte loro dal fascismo solo perché avevano esternato sentimenti di Pace, di Libertà e di Giustizia: erano comunisti, socialisti, ebrei, valdesi e liberali. Cominciai così a conoscere un’altra Patria: quella degli italiani modesti e coraggiosi che non si erano piegati alle violenze della dittatura, quella degli italiani, dei civili e dei militari che si unirono per formare l’Esercito della Resistenza».

Queste sono proprio le parole del nonno, tratte dal suo libro di memorie “Tutti pazzi o tutti eroi”, e mi sembrano perfette per ‘fermare’ il ricordo di questi uomini coraggiosi e delle loro scelte, dei loro sacrifici, come base solida sulla quale abbiamo costruito la nostra Repubblica e scritto la nostra Costituzione, grazie a una Resistenza che è stata, e deve continuare a essere, unitaria e nazionale. Sono cresciuta così, ascoltandolo i racconti dei combattimenti, delle persecuzioni, delle prigionie e delle difficoltà della vita partigiana, ma anche dei nuovi sentimenti di pace, libertà e giustizia che hanno da subito animato gli antifascisti e i volontari che formavano le brigate partigiane. Per tornare alla domanda, non posso che pensare a una Resistenza come esperienza storica, umana e sociale unica e nazionale.

Quale significato daresti, oggi, anche dal punto di vista femminile, alla parola ‘partigiana’?

Michela Cella con la compianta partigiana Lidia Menapace

Essere partigiana significa scegliere, come cittadine e cittadini del mondo, da che parte stare. Scegliere di stare dalla parte dei diritti di tutte e di tutti, sempre. Ha un senso universale, va oltre la nostra storia personale, famigliare. I valori della Resistenza sono valori che devono essere condivisi in quanto esseri umani, trascendono un confine, un territorio, le differenze linguistiche e culturali. Ogni giorno cerco di insegnare ai miei alunni l’importanza del ‘fare la propria parte per la costruzione di un ‘noi’, senza distinzioni né ingiustizie.

E qui con il vicecomandante Argante Bocchio, operante nel Biellese, e il giornalista Gad Lerner in occasione dell’intervista per noipartigiani.it, il mmoriale della Resisternza italiana

Anche su questo mi ritrovo perfettamente nelle parole di mio nonno, illuminanti se si pensa che ideali, per noi oggi forse fin troppo scontati, nascono e si diffondono tra i giovani nati e cresciuti sotto una dittatura: «Non mi stancherò mai di ripetere che essere partigiani, appartenere alle formazioni “garibaldine” dell’esercito della Resistenza, non significava condividere gli ideali di un colore politico, ma essere uniti sotto il simbolo carismatico delle gesta di Garibaldi al comando del quale la stragrande maggioranza dei soldati non aveva fatto alcuna scelta politica, ma aveva creduto in un unico grande valore. Allo stesso modo, noi partigiani abbiamo combattuto fianco a fianco contro i nazifascisti per bisogno dei valori universali di Libertà e di Pace».

Nel 2006 l’Anpi si è aperta a chi si riconosce nei valori della Resistenza e aderisce alla Federazione Internazionale dei Resistenti: credi che riconfermare l’importanza delle azioni resistenti di tutti gli italiani – penso ad esempio alle eroiche Quattro Giornate di Napoli mai a sufficienza ricordate libri – possa contribuire a sottolineare il valore di quelle azioni come ‘unificatrici’ per il nostro Paese, soprattutto in questo momento storico?

Matera insorge per prima in Italia, è il 21 settembre 1943 (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Spesso è mancata la corretta narrazione di ciò che è stato, penso alle Quattro Giornate di Napoli che nei libri di storia, quando ci sono, vengono appena accennate, ma anche alle tante azioni di lotta di tante altre italiane e italiani, dalla Sicilia al Piemonte, che hanno combattuto per l’indipendenza dell’Italia e dei quali si sa poco o nulla. Penso, ad esempio, all’insurrezione di Matera, la prima città a ribellarsi al nazifascismo, e ai suoi 26 morti, tra i quali ben 18 civili. È una storia che conosco bene, mia mamma e mia nonna materna sono di Matera, e so quanto innumerevoli e tenaci possono essere i ‘fili’ che legano i territori e le persone tra di loro.

Il comandante Petralia, Vincenzo Modica

Bastano piccoli gesti, ma significativi, e i legami tra le genti si consolidano, si rafforzano: per anni e anni mio nonno ha inviato alla biblioteca e alle scuole di Matera libri e pubblicazioni sulla Resistenza e su quelle vicende che hanno visto protagonisti, al Nord, tanti e tanti ragazzi del Sud. E proprio dai suoi ricordi, dalle sue parole, ho imparato a conoscere bene i suoi compagni di lotta, come Vincenzo Modica, di Mazara del Vallo, il comandante ‘Petralia’ che, liberando Torino, sfila con Barbato alla testa dei partigiani della 181 Brigata Morbiducci e con la bandiera del Corpo Volontari della Libertà, simbolo dell’unione di tutti gli italiani nella lotta al nazifascismo.

Il partigiano Athos, Nunzio Di Francesco. Foto Anpi Enna

Ricordo bene Athos, il partigiano Nunzio di Francesco, di Linguaglossa, in provincia di Catania, scampato al campo di concentramento. Athos, mancato nel 2011, ha trascorso la sua vita a testimoniare, a raccontare, soprattutto nelle scuole, quanta sofferenza e quante torture aveva visto e sofferto a Mauthausen: ne è nato anche un libro di memorie, ‘Il costo della libertà’, ristampato più volte.

Ma i ricordi più forti sono legati a chi non ce l’ha fatta, ai compagni di lotta del nonno che sono rimasti qui, al Nord, senza che le famiglie ne sapessero nulla.

Tra le parole più struggenti scritte sulla Guerra di Resistenza, ci sono quelle incise sulle ‘pietre’, le lapidi e i cippi che ricordano stragi, fucilazioni, deportazioni. Qui, oltre al nome di battesimo e al nome da partigiano – il secondo ‘battesimo’ – due sono i segnali che sempre mi commuovono: il luogo e la data di nascita. Non così raramente i luoghi sono lontani e spesso le date di nascita e di morte sono terribilmente vicine: così, mentre i figli, o i mariti, morivano al Nord, le madri, le fidanzate, le giovani mogli neppure potevano immaginare dove fossero, né cosa stesse accadendo.

Tra le storie più toccanti, esempi della grande generosità della gente del Sud, vorrei ricordare quella di Michele Silvestro, il ‘cuoco’ del Distaccamento Savorgnan.  Anche se non c’era mai nulla da cucinare, lui faceva miracoli e ha nutrito la brigata con bevande energetiche a base di orzo, latte e burro, fondamentali per affrontare le battaglie della primavera e dell’estate del ’44. In una foto lo vediamo con il suo mestolo in mano, sempre sorridente. Pugliese della provincia di Lecce, non vedeva l’ora di tornare dalla moglie e dai figli ma venne torturato e poi fucilato nelle carceri di Saluzzo il 4 dicembre del 1944.

Grazie alla pubblicazione del libro del nonno sono riuscita, nel 2008, a ritrovarne la famiglia, a ricucire legami tra Nord e Sud, a ritrovarlo, diciamo così, tra di noi. Anche la famiglia di Tacito, il 19enne tenente Ernesto Conte Nicandro, nato a S. Pietro. Infine arrivato in provincia di Caserta, ma la famiglia non sa nulla di lui. Non sa che prima di ucciderlo lo hanno legato, a torso nudo, a una corda e costretto a tuffarsi nelle acque gelide del bacino Biatonè per recuperare delle trote uccise dai tedeschi con le bombe a mano. E non sa che poi viene fucilato, il 2 aprile del 1944. Non sa nulla di lui. Non sa di un luogo lontano, il cimitero di Calcinere, e quindi l’area riservata ai Caduti della Resistenza di Costigliole di Saluzzo, dove ancora oggi riposa, senza essere mai tornato a casa. La giovane moglie era allora incinta e la figlia non ha mai conosciuto suo padre, ma l’abbiamo cercata per avere l’autorizzazione a pubblicarne la foto e da allora i legami tra di noi non si sono mai interrotti. Storie di soldati del Sud che hanno combattuto contro i nazifascisti, e che diventano partigiani là dove si trovano a essere in quel momento, perché l’Italia è una sola, tutta uguale e tutta unita.

Tutta uguale e tutta unita. A tal proposito so che il 25 aprile sarà, per l’Anpi provinciale di Novara, particolarmente intenso e concretamente ‘nazionale’.

Ciro Moscatelli a Borgosesia il 26 luglio 1943. Moscatelli diverrà un leggendario comandante partigiano (archivio fotografico Anpi nazionale)

Sì, il 25 aprile prossimo arriveranno a Maggiora delegazioni dal Comune di Cammarata in provincia di Agrigento, e dall’Anpi di Rosolini, in provincia di Siracusa, per commemorare il sacrificio dei loro concittadini Salvatore Narcisi, 27 anni, e Carmelo Amore, 24 anni, fucilati nel novembre del 1944 con altri compagni, i giovanissimi Carluccio Sacchi, 20 anni di Maggiora e Luigi Ceresoli, 17 anni, di Lodi. Erano partigiani della VI Brigata ‘Nello’, una delle formazioni garibaldine che facevano capo a Cino Moscatelli.

(Imagoeconomica, Sara Minelli)

Sarà un momento molto importante e toccante; insieme, a 80 anni da quei tragici fatti, uniti nella storia e nel fare memoria. Una Memoria che, come sempre per tutte e tutti noi dell’Anpi, è attiva e generativa, frutto di un lavoro fatto di ricerca, passione e sete di conoscenza, che permette di tessere nuove relazioni, di condividere idee e esperienze, di contribuire a scoprire e approfondire preziose storie, parte di quello straordinario composito mosaico che è stata la Resistenza. Una Memoria che diventa azione e impegno nella diffusione e nella difesa dei valori della lotta di Liberazione, scolpiti nella nostra Costituzione.

Grandissimo il lavoro, anche in questo senso, che stanno facendo le Anpi del Sud. La Conferenza di Organizzazione delle Anpi del Mezzogiorno che ci attende a Paestum sarà un significativo momento di incontro, confronto, arricchimento, condivisione e di organizzazione di percorsi di riflessione e lavoro concreto che riguardano tutte e tutti noi, perché interessano l’intera nostra realtà, nella sua pluralità, nelle sue declinazioni sul territorio, nel suo essere Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

Mala tempora currunt e, una volta di più, è necessario Essere Anpi insieme, nella piena consapevolezza che l’antifascismo, ontologicamente presente in ogni sillaba della nostra Costituzione, non è solo il saldo baluardo della nostra democrazia, ma fondamentale motore e faro di un impegno unitario necessario, affinché ogni nostro passo, ogni nostra azione, tracci la via per un nuovo umanesimo sostenuto dai pilastri valoriali che hanno animato la Resistenza.

Elisabetta Dellavalle

27/3/2024 https://www.patriaindipendente.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *