Corruzione e crisi climatica: miliardi sprecati e azioni bloccate
Il Corruption Perceptions Index (CPI) 2024 di Transparency International ha nuovamente messo in evidenza livelli allarmanti di corruzione a livello globale. Con una media globale ferma a 43 su 100, il rapporto segnala come oltre due terzi dei paesi analizzati abbiano ottenuto un punteggio inferiore a 50, confermando una diffusa incapacità di contrastare efficacemente il fenomeno.
Oltre a minare lo sviluppo, la corruzione si rivela un ostacolo critico per l’azione climatica, rallentando le iniziative necessarie per affrontare la crisi ambientale.
L’interconnessione tra corruzione e cambiamento climatico emerge con particolare chiarezza nei paesi più coinvolti negli sforzi per la transizione ecologica. Molti di questi, inclusi quelli vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale e le nazioni ospitanti i vertici internazionali come la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP), registrano punteggi CPI bassi o in calo.
Il rapporto evidenzia inoltre come i lobbisti dell’industria petrolifera e del gas abbiano un’influenza crescente in questi eventi, ostacolando l’adozione di politiche ambientali ambiziose e minando la fiducia pubblica nelle istituzioni.
Secondo Transparency International, miliardi di dollari destinati alla lotta contro il cambiamento climatico rischiano di essere sottratti o impiegati in modo improprio a causa della corruzione. La situazione è particolarmente critica nei paesi con un punteggio CPI inferiore a 50, dove la gestione inefficace dei fondi per il clima mette a rischio milioni di persone.
Il rapporto cita esempi emblematici come il Sudafrica, dove si stima che circa un miliardo di rand vengano sottratti ogni mese alla società statale Eskom, il Vietnam e l’Indonesia, dove l’assenza di garanzie adeguate ha favorito il proliferare di pratiche illecite nella transizione energetica.
Le nazioni più colpite dalla crisi climatica, come il Sud Sudan (8 punti CPI), la Somalia (9) e il Venezuela (10), registrano i punteggi più bassi nell’indice, con effetti devastanti sulle loro economie e sulla stabilità sociale. La Somalia, ad esempio, ha subito gravi danni al settore agricolo a causa del cambiamento climatico, aggravando un conflitto che dura da oltre trent’anni. Anche le potenze diplomatiche impegnate nella governance climatica non sono esenti da problemi di corruzione, il che mina l’efficacia dei negoziati internazionali.
L’Azerbaijan, ospitante della COP29, ha concesso l’accesso a 1.773 lobbisti dei combustibili fossili nonostante un punteggio CPI di soli 22 punti. Il Brasile, designato per la COP30 e incaricato di gestire l’obiettivo di 1,3 trilioni di dollari per il finanziamento climatico entro il 2035, ha raggiunto un punteggio storico negativo di 34.

Il declino nei punteggi CPI interessa anche paesi ricchi, con effetti particolarmente gravi sulla definizione delle politiche ambientali. Stati Uniti (65), Canada (75) e Nuova Zelanda (83) hanno subito cali significativi, segno che le interferenze dei gruppi di pressione economica incidono pesantemente anche in contesti sviluppati.
L’influenza indebita degli attori del settore fossile non solo rallenta il processo decisionale, ma compromette la possibilità di fissare obiettivi di riduzione delle emissioni ambiziosi e di costruire una resilienza climatica efficace su scala globale.
Il rapporto CPI non si limita a documentare la corruzione nel settore climatico, ma analizza anche il costo umano di queste dinamiche. I difensori dell’ambiente e della terra si trovano spesso in prima linea nella lotta contro la devastazione ambientale, ma il loro impegno li espone a gravi rischi.
Dal 2019, si sono registrati 1.013 omicidi di attivisti per l’ambiente, quasi tutti avvenuti in paesi con un punteggio CPI inferiore a 50. La corruzione, dunque, non solo erode la governance e ostacola le politiche ambientali, ma diventa anche una minaccia diretta per chi si oppone agli interessi consolidati.
L’indice ha classificato 180 paesi in base alla percezione della corruzione nel settore pubblico, su una scala da zero (altamente corrotto) a 100 (molto trasparente). Tra le nazioni con il punteggio più alto figurano Danimarca (90), Finlandia (88) e Singapore (84), mentre quelle con il punteggio più basso comprendono Sud Sudan (8), Somalia (9), Venezuela (10), Siria (12) e Libia (13). Un quarto dei paesi analizzati ha ottenuto il punteggio più basso mai registrato, inclusi Austria (67), Brasile (34), Francia (67), Iran (23), Messico (26) e Stati Uniti (65). Tuttavia, alcuni paesi hanno mostrato miglioramenti negli ultimi cinque anni, tra cui Costa d’Avorio (45), Repubblica Dominicana (36), Kosovo (44) e Kuwait (46). Al contrario, nazioni come Austria (67), Bielorussia (33), Francia (67), Libano (22) e Russia (22) hanno visto peggiorare significativamente il proprio punteggio.
Il CPI 2024 conferma dunque un quadro critico, in cui la corruzione rappresenta un ostacolo persistente alla stabilità economica, alla governance democratica e alla lotta contro il cambiamento climatico.
La mancanza di trasparenza e di misure di responsabilità continua a favorire interessi privati a discapito del bene collettivo, mettendo in pericolo gli sforzi globali per un futuro più equo e sostenibile.

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