COVID-19: CHI PERDE E CHI VINCE

Una sensazione alquanto diffusa, in questi giorni di obbligata quarantena, è che Covid-19 stia operando, tra l’altro, una sostanziale opera di “livellamento sociale”, nel senso di svolgere la tragica funzione di colpire, in maniera indistinta, tanto il ricco quanto il povero, il grande manager come l’ultimo dei working poors[1] e, addirittura, un Primo ministro e l’eterno erede al trono della Monarchia britannica.

Impossibile, in questo senso, evitare il riferimento alla più nota tra le poesie del Marchese Antonio De Curtis, alia Totò: “A livella”, capolavoro della letteratura partenopea, che esprime il concetto secondo il quale l’unico strumento capace di eliminare le possibili disuguaglianze sociali, riportando tutti sullo stesso piano, è la morte.

Purtroppo, però – pur nel drammatico evolversi del fenomeno virale, che accomuna tanti soggetti infettati e, soprattutto, decine di migliaia di vittime in tutto il mondo – occorre rilevare che, in realtà, ciò non è vero.

I fatti dimostrano che oggi una tragedia di così grossa portata – che ha, ormai, coinvolto circa 200 Paesi e 1 mln di individui in tutti i continenti, ad eccezione dell’Antartide – piuttosto che svolgere quella funzione di “livellamento della società”, che Walter Scheid[2]ritiene sia stata causata (in passato) da sciagure quali peste, vaiolo e morbillo, ha finito con il produrre una diffusa e radicale opera di “amplificazione delle disuguaglianze”.

Così, se nel borioso Centro-nord del mondo – pur con differenti livelli di capacità e mezzi d’intervento, nell’affrontare l’emergenza – il letale virus dà la sensazione di avere bloccato un meccanismo social-economico che si pretendeva intoccabile ed invulnerabile, nel Sud e nel Sud-est si appresta, prevedibilmente, a svolgere una funzione devastante; al cui confronto il peggiore degli tsunami degrada a livello di “venticello primaverile”!

In effetti, in queste settimane, si è assistito a una sorta di rivisitazione dell’opera pirandelliana “Sei personaggi in cerca d’autore” la cui trama si è sviluppata attraverso    misure e contro-misure emergenziali adottate dai leader dei paesi europei e d’oltre Atlantico.

Dalla non condivisibile teoria della c.d. “immunità di gregge[3]”, sostanzialmente assunta dal Primo Ministro inglese Boris Johnson, alle drastiche misure adottate – con notevole ritardo, a parere dei partiti di opposizione[4], ma in netto anticipo rispetto ai Paesi dell’intera Ue – in Italia.

Assolutamente insuperabili, però, in termini di scellerata sottovalutazione, erano da considerare le “sparate” di Donald Trump e dei suoi più stretti collaboratori.

In questo senso, una vera e propria “galleria degli errori”.

A cominciare da Trump che, ancora il 6 marzo – mentre il mondo cominciava già a tremare e in Italia si introducevano misure draconiane nelle zone “rosse”, successivamente estese a tutto il territorio nazionale – a seguito di sue “conversazioni avute con la gente” definiva falso il tasso di mortalità (pari al 3,4 per cento) indicato dall’OMS e, in un’intervista a “Fox news”, disinvoltamente e profeticamente dichiarava: “Molte persone avranno il virus in forma lieve, guariranno in fretta senza vedere un dottore e molti continueranno ad andare al lavoro”!

A supporto della sconsiderata tesi, si aggiungevano le parole del suo consigliere economico, Larry Kudlow, che così pontificava: “Il virus è stato contenuto. Il paese è al sicuro!”.

Non poteva mancare, naturalmente, a sostegno del “Capo” e in rappresentanza della mitica “stampa libera” nordamericana, la voce di Rush Limbaugh, storico conduttore radiofonico, secondo il quale il Coronavirus rappresentava – ricordiamo di essere già al 6 marzo 2020 – “niente di più di un comune raffreddore, che viene ingigantito per configgere e neutralizzare il Presidente”. Tanto convincente da indurre Trump, almeno per qualche giorno, a definire la questione del contagio un “inganno” montato ad arte per nuocergli!

Il risultato di cotanta dabbenaggine e sciocca supponenza è che, alla data del 1° aprile, i contagiati negli Usa sono quasi 200 mila e Trump, “sparando” un altro numero, ha dichiarato che l’obiettivo realistico, alla fine di quest’epidemia è quello di “contenere il numero di morti negli Stati uniti sotto la soglia delle 100 mila unità, mentre i contagiati in tutto il Paese potrebbero essere oltre il milione”.

Naturalmente, tutto questo non sminuisce il dramma che, in queste ore, vivono tutti i Paesi a noi geograficamente più vicini.

Contemporaneamente, se questo è il quadro nell’opulento Centro-nord del mondo, è abbastanza facile immaginare quale sia la triste realtà in Paesi nei quali il nostro slogan “Io resto a casa” appare come un eufemismo; se non un’orribile beffa.

Alludo a quei Paesi che non avevano, di certo, bisogno del Coronavirus per avvertire l’opprimente peso di una quotidianità già ricca di pene e disagi.

Così, non si può che restare sgomenti di fronte alle immagini provenienti dall’India – con 1,8 milioni di senzatetto e altri 73 milioni di persone prive di un’abitazione decente – in cui rispettare l’ordinanza delle autorità, relativamente all’esigenza del lockdown[5], significa dormire letteralmente “sugli alberi”.

Al pari di quella che, in Africa, rappresenta, addirittura, una sfida titanica; assolutamente insostenibile.

In quel continente, secondo quanto riportato da Nicoletta Dentico,[6] c’è una media[7] di 1,2 letti ogni 1.000 abitanti!

Di fronte a una previsione di 44,5 medici ogni 10 mila abitanti[8], ce ne sono 12 in Zambia, 8 in Uganda e solo 2 in Tanzania.

Altrettanto drammatica, la situazione relativa ai posti letto in terapia intensiva.

A questo riguardo, Nicoletta Dentico rileva che il Sudafrica, “il Paese con il miglior sistema sanitario dell’intero continente, ha meno di 1.000 posti (160 nel settore privato) per 56 milioni di abitanti e il Malawi, con 17 milioni di abitanti, appena 25”. In Uganda, Paese con 44 milioni di abitanti “esistono 60 posti di terapia intensiva; tutti concentrati nella capitale Kampala”.

Contemporaneamente, spostando l’attenzione all’altro capo dell’Atlantico, la Direttrice di MsF afferma: “Ancora una volta, però, la pandemia fa emergere, tutte le patologie strutturali di un modello economico neoliberale che ha generato sommersi a non finire. È vero che Covid-19 colpisce attori famosi, calciatori, persino vice ministri; ma non colpisce tutti allo stesso modo. La quota di working poors si dimostra terribilmente vulnerabile.

E aggiunge che “I nuovi morti di disperazione” sono – ancora oggi, come all’epoca della prima indagine[9] di Anne Case e Angus Deaton (Nobel per l’Economia nel 2015) “nordamericani appartenenti alla classe lavoratrice bianca, priva di istruzione e di opportunità, spesso con famiglie in difficoltà e troppo poveri per accedere alle cure contro SARS-CoV-2”.

A questo proposito, a sostegno del fatto che, spesso, la realtà supera l’immaginabile, è sufficiente tornare alla scioccante visione – trasmessa appena qualche giorno fa da tutti i ns. Tg nazionali – di un mega parcheggio, nella ricca e opulenta Las Vegas, nello Stato del Nevada, destinato a rappresentare, per alcune centinaia di homeless, senza neanche il minimo conforto di un materassino e di una coperta, la (pessima) versione nordamericana del nostro (pur insofferente) “Io sto a casa”.

Discorso a parte meriterebbe la feroce determinazione cui Bolsonaro, Presidente brasiliano, ricorre nel continuare a negare l’evidenza di quella che, nel suo Paese, potrebbe assumere il carattere di una vera e propria catastrofe. In particolare, per quei milioni di connazionali ammassati nelle enormi favelas che fanno da cornice ai grandi insediamenti urbani.

Il legittimo sospetto è che Bolsonaro, senza averlo ufficialmente dichiarato, intenda – in realtà – applicare la teoria malthusiana[10] (Johnson docet) che condurrebbe alla già citata “immunità di gregge”.

In questo quadro – rileva Nicoletta Dentico – s’inserisce quella che, “In occasione della grande crisi causata da Ebola tra il 2014 e 2016, rappresentò a parole la ricerca di iniziative finanziarie in grado di accrescere la sicurezza sanitaria. La soluzione adottata fu “La costituzione, da parte della Banca Mondiale, del Pandemic Emergency Financing Facility (PEF); un meccanismo assicurativo per mobilitare immediatamente risorse private contro i focolai epidemici nel lasso di tempo tra lo scoppio di un’infezione e l’intervento dei singoli governi per fronteggiarla”. Uno strumento (solo apparentemente) lodevole che, in estrema e cinica sintesi rappresenta, in sostanza, una scommessa sulla morte!

In effetti, il meccanismo di PEF, come lo riassume la Dentico, è sin troppo semplice.

L’investitore privato acquista dei bond triennali e i fondi vengono accantonati; se concretamente utilizzati per domare un’epidemia, si realizza la perdita dell’investimento. Ma se nulla accade, l’investitore riceve un premio che si aggira intorno al 13 per cento.

Si tratta, in sostanza di una vera e propria “scommessa finanziaria, che riduce al minimo la possibilità che i fondi vengano effettivamente erogati. Basti pensare che è necessario un certo numero di morti – 2,500 in un Paese e 20 in un altro confinante – perché l’emergenza sanitaria possa produrre l’erogazione dei fondi”. Tra l’altro, un’ulteriore clausola prevede che l’epidemia sia dichiarata dall’Oms entro 84 giorni dal primo caso.

A queste condizioni, riferisce ancora Nicoletta Dentico, “i fondi non sono mai arrivati nella Repubblica Democratica del Congo durante la seconda epidemia di Ebola, malgrado più di 2 mila morti”.

La conseguenza di tali – abominevoli – traffici finanziari è che, “in questa fase così acuta di infezione da Covid-19, considerato l’alto numero di perdite umane, le quotazioni dei bond che scadono a giugno 2020 stanno letteralmente crollando”.

Addirittura, la Dentico scrive[11] che qualche economista avanza il terribile sospetto che in questi mesi l’Oms abbia preso tempo prima di dichiarare la pandemia per impedire la perdita di decine di milioni di dollari da parte dei sottoscrittori dei bond.

Restare indifferenti, di fronte a cotanto cinismo, è arduo e riprovevole.

NOTE

[1]Lavoratori poveri, cioè coloro che, pur avendo un’occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito

[2]“La grande livellatrice: violenza e disuguaglianza dalla preistoria a oggi”; Editore Il Mulino

[3]Vero e proprio “darwinismo sociale”; secondo il quale: dopo che una larga maggioranza di una comunità avrà contratto una malattia contagiosa e ne sarà uscita guarita, si perverrà all’immunizzazione dei sopravvissuti (a danno, evidentemente, dei più deboli: anziani, malati e immunodepressi)

[4]Il 2 marzo Giorgia Meloni ancora si cimentava in uno spot pubblicitario, al Colosseo, per invitare i turisti a venire in Italia. Nel frattempo, il governo aveva già prodotto il DL 6/2020, tre DPCM e altrettante Ordinanze del Ministro della salute per le misure da adottare contro Covid-19. Già Salvini, in data 27 marzo, successivamente al suddetto DL 6/2020 e dopo aver chiesto la chiusura dei nostri confini, chiedeva – irresponsabilmente – di <ripartire, accelerare, riaprire, aiutare, sostenere>

[5]Nasce dall’unione di due termini inglesi, “lock” e “down”. Il modo più appropriato per tradurlo nella nostra lingua è “blindare”, “bloccare” (to lockdown).

[6]Direttrice di “Medici senza Frontiere” e Responsabile del Programma salute globale di “Society for International Development” (SID)

[7] Fonte: “La Repubblica web”; Equo e Solidale, del 26 marzo 2020

[8]Raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms)

[9] Autori de: “Deaths of Despair. The future of capitalism”; del 2015

[10]Thomas Robert Malthus, 1766 – 1834; economista demografo inglese.Prese spunto dagli studi di Chaeles Darwin per elaborare una teoria demografica pessimistica basata sulla selezione naturale e sulla lotta per la sopravvivenza

[11]Vedi nota 7

Renato Fioretti
Esperto Diritti del Lavoro

Collaboratore redazionale del periodico cartaceo Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

3/4/2020

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