Da Gaza esce sconfitta anche l’Europa

Di fronte ai crimini di guerra in Palestina, all’Ue sfugge l’ennesima occasione per avere voce negli equilibri del mondo. E rischia di perdere ogni credibilità coi paesi del Sud del pianeta

Povero Josep Borrell. Alla fine di un breve viaggio in Cina il 14 ottobre, l’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha detto ai giornalisti a Pechino di aver chiesto ai funzionari cinesi di non valutare gli europei «attraverso la lente delle nostre relazioni con gli altri». L’Ue «è diventata una potenza geopolitica», ha insistito l’alto diplomatico, apparentemente turbato dalla percezione cinese secondo cui l’organismo formato da ventisette nazioni spesso segue il modello degli Stati uniti.

Nel mezzo dell’escalation della crisi israelo-palestinese, l’Ue si sta nuovamente allineando con Washington, firmando l’assegno in bianco degli Stati uniti per l’«autodifesa» israeliana. All’indomani del terribile attacco di Hamas del 7 ottobre, quando 1.400 israeliani sono stati uccisi e altri duecento presi come ostaggi, c’era da aspettarsi la sua solidarietà con il popolo di Israele. Ma quel sostegno occidentale si sta ora trasformando in un’approvazione a favore dell’aggressione punitiva di Israele contro gli abitanti di Gaza.

Oltre tremila palestinesi – in stragrande maggioranza civili – sono già stati uccisi nel bombardamento israeliano della Striscia di Gaza, preludio a un’invasione di terra ampiamente attesa che rischia di provocare un conflitto regionale più ampio. Centinaia di migliaia di abitanti di Gaza sono già stati sfollati da quando lo Stato israeliano ha emesso un improvviso ordine, il 13 ottobre, di evacuare le persone nella metà meridionale dell’enclave costiera, che, tuttavia, è anch’essa bombardata.

Dalle allusioni a «cambiare l’equazione» a Gaza – cioè smantellare completamente Hamas, che governa de facto il territorio dal 2007 – al desiderio palese di annessione della destra israeliana alle richieste affinché l’Egitto apra i suoi confini ai rifugiati, tutto fa pensare che il governo di Benjamin Netanyahu voglia che questa sia la sua battaglia in cui chi vince prende tutto. «Stiamo combattendo contro gli animali umani», ha dichiarato il 9 ottobre il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, annunciando l’imposizione di un «assedio completo» del territorio.

Gli obiettivi di guerra che sembrano senza freno di Israele implicano la distruzione o l’allontanamento degli oltre due milioni di palestinesi di Gaza, un territorio che è stato giustamente paragonato alla più grande «prigione a cielo aperto» del mondo. Il bilancio delle vittime nell’isolata enclave costiera, alla quale Israele ha tagliato le forniture di cibo, acqua ed elettricità, supera già la perdita di vite umane nella guerra di cinquanta giorni tra Hamas e Israele nel 2014. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni unite sulla diritti umani nei territori palestinesi, ha avvertito che «in nome dell’autodifesa, Israele sta cercando di giustificare ciò che equivarrebbe a pulizia etnica». Scuole, missioni gestite dalle Nazioni unite e civili in fuga sono stati presi di mira dagli attacchi aerei israeliani. Il 17 ottobre, una bomba ha colpito l’ospedale al-Ahli, uccidendo centinaia di persone, le forze di difesa israeliane stanno cercando di attribuire la colpa ai militanti della Jihad islamica.

La situazione sempre più terribile a Gaza sta portando a richieste di cessate il fuoco da tutto il mondo. Ma questo finora non è riuscito a spezzare l’unità serrata delle potenze occidentali dietro Israele, cementata nel comunicato congiunto rilasciato dai principali paesi della Nato il 9 ottobre. «Nei prossimi giorni – si legge nella dichiarazione congiunta di Joe Biden, Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Rishi Sunak e Olaf Scholz – rimarremo uniti e coordinati, insieme come alleati e come amici comuni di Israele, per garantire che Israele sia in grado di difendersi e, in ultima analisi, per creare le condizioni per un Medio Oriente pacifico e integrato».

Impotenti di fronte ai crimini di guerra

Ma con Israele che esercita il suo diritto a «difendersi» devastando Gaza, l’Europa e gli Stati uniti continuano a fornire poco più che un promemoria della necessità di proteggere i civili e i non combattenti nel territorio assediato. «Sono fiducioso che Israele farà tutto ciò che è in suo potere per evitare l’uccisione di civili innocenti», ha detto Biden a Scott Pelley della Cbs in un’intervista a 60 Minutes andata in onda il 15 ottobre.

La risposta vuota dell’Ue è stata chiarissima durante la visita della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Gerusalemme lo scorso fine settimana. «So che il modo in cui Israele risponderà dimostrerà che è una democrazia», ha detto Von der Leyen mentre appariva accanto a Netanyahu il 14 ottobre. Sebbene fosse il massimo funzionario dell’Unione, ha effettuato la visita senza un mandato da parte degli organismi comunitari e non è riuscita a dare nessun avvertimento serio sulla campagna israeliana contro Gaza. «Sottolineiamo con forza il diritto di Israele a difendersi in linea con il diritto internazionale e umanitario», ha riaffermato il Consiglio europeo il 15 ottobre, forse nel modo più vicino a una posizione unificata dell’Ue.

«Ci sono state molte esitazioni, impreparazioni ed errori» nella risposta dell’Ue alla crisi in corso, afferma Manon Aubry, europarlamentare per France Insoumise e copresidente del gruppo di sinistra del parlamento europeo. «Ovviamente era necessario esprimere solidarietà al popolo israeliano, che è stato vittima di questo raccapricciante attacco – ha detto Aubry della visita di Von der Leyen – Ma perché dare di fatto un assegno in bianco a Netanyahu per colpire indiscriminatamente i civili di Gaza? Il diritto all’autodifesa non è un diritto alla vendetta. Alla fine, Ursula von der Leyen ha dato credibilità al diritto alla vendetta non avendo nulla da dire a favore dei civili palestinesi che vengono attualmente massacrati».

Ma cosa potrebbe realmente fare l’Ue per «contenere» gli eccessi israeliani nei giorni e nelle settimane a venire? Netanyahu sembra non curarsi troppo delle rimostranze europee, sa che il vero garante di Israele sono gli Stati uniti. Ciò rende ancora più sorprendente che i leader europei abbiano risposto all’attuale crisi cercando soprattutto di guadagnare credito presso il primo ministro israeliano. Germania e Francia, le principali potenze dell’Ue, sono arrivate addirittura a soffocare le espressioni di solidarietà con gli abitanti di Gaza e i palestinesi, vietando proteste e manifestazioni in un attacco scioccante alle libertà civili e di espressione.

«È ora di chiamare le cose col loro nome» dice Aubry a Jacobin, chiedendo ai leader dell’Ue di denunciare «i crimini di guerra commessi da Israele a Gaza nello stesso modo in cui l’Unione Europea ha giustamente denunciato i crimini perpetrati da Hamas… il blocco totale di Gaza è un crimine di guerra, prendere di mira i civili è un crimine di guerra, l’uso del gas fosforo bianco è un crimine di guerra. L’Unione europea dovrebbe posizionarsi come forza di dialogo e chiedere un cessate il fuoco. [L’Ue] deve sfruttare ogni accesso che ha con Netanyahu per chiedere questo. Qual è l’alternativa? Cancellare Gaza?».

Doppi standard

Aspettarsi una rottura tra le potenze occidentali è probabilmente un pio desiderio. Finora, la crisi di Gaza è un’ulteriore testimonianza di quanto siano in realtà vuote le rivendicazioni di «autonomia strategica» dei leader europei dagli Stati uniti. Di fronte all’ultima ripresa di questo conflitto decennale, che ingloba il divario più ampio tra il mondo arabo e l’Occidente, l’Ue si è schierata a supporto del sostegno incondizionato degli Usa a Israele. Per chi vive in quella regione o altrove nel cosiddetto Sud del mondo, quelli che l’Occidente ha cercato di arruolare nel suo sostegno agli ucraini contro l’invasione in corso di Vladimir Putin, questa posizione può solo giustificare chi accusa l’Europa di doppi standard: sovranità e indipendenza per gli ucraini; diritto illimitato per Israele di prendere a pugni gli abitanti di Gaza e di seppellire la possibilità di uno Stato palestinese.

«Abbiamo definitivamente perso la battaglia nel Sud del mondo», ha detto al Financial Times un astuto «diplomatico senior del G7». «Tutto il lavoro che abbiamo svolto con il Sud del mondo [sull’Ucraina] è andato perduto… Dimenticate le regole, dimenticate l’ordine mondiale. Non ci ascolteranno mai più».

Si tratta di un abisso che Putin sta abilmente sfruttando. Il 16 ottobre, una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che chiedeva un cessate il fuoco, sponsorizzata dalla Russia, non è passata, perché non condannava Hamas. Se questa formulazione dovesse cambiare, portando a un accordo con gli astensionisti del comitato dei quindici membri, le potenze occidentali bloccheranno una risoluzione che chiede apertamente a Israele di fermare la sua devastante guerra punitiva? Supponendo che gli Stati uniti probabilmente non voterebbero a favore, la Francia lo farebbe? L’unico membro permanente dell’Ue nel consiglio, la Francia, nel 2003 aveva gli strumenti per chiedere la fine della guerra degli Stati uniti per il cambio di regime in Iraq, un’invasione che ha devastato un’intera regione e le cui scosse di assestamento si fanno sentire ancora oggi. Al momento non sembra certo che la Francia voglia agire come forza di moderazione.

Harrison Stetler vive a Pairigi, è giornalista freelance e insegnante. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

20/10/2023 https://jacobinitalia.it

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