Declino italiano: meno giovani, più disuguaglianze
Il Paese invecchia, si svuota e cambia pelle. È la fotografia scattata dall’Istat nel corso dell’ultima audizione alla Commissione per la Transizione Demografica. Un documento allarmante che non si limita a snocciolare numeri, ma denuncia una trasformazione strutturale silenziosa e sottovalutata, destinata a rivoluzionare l’Italia di oggi e di domani.
Più morti che nati, senza inversione in vista
Nel 2023, per ogni 100 decessi ci sono stati solo 67 nati. Un saldo negativo che si aggrava da anni e che, secondo le proiezioni, non si invertirà nemmeno a lungo termine, anche con un aumento dell’immigrazione. L’Italia ha il secondo più basso tasso di fecondità in Europa (1,24 figli per donna) e un’aspettativa di vita tra le più alte, ma anche forti disuguaglianze territoriali e socio-economiche.
Giovani in fuga, anziani in aumento
Negli ultimi dieci anni, la popolazione italiana ha perso quasi un milione di residenti, nonostante un saldo migratorio positivo. Il vero crollo riguarda i giovani: la fascia 15–34 anni ha perso quasi 2 milioni di persone in 20 anni, con gravi implicazioni per il mercato del lavoro, l’innovazione e la sostenibilità del welfare.
Welfare sotto pressione e carenza di lavoratori
L’invecchiamento della popolazione mette sotto stress i servizi sanitari, le pensioni, l’assistenza a lungo termine. Al tempo stesso, settori chiave – agricoltura, edilizia, logistica, cura alla persona – non trovano abbastanza manodopera, neanche con il contributo degli immigrati. Il rischio è che la macchina economica rallenti per mancanza di forza lavoro.
Culle vuote, territori deserti
Il fenomeno colpisce in modo diseguale: il Mezzogiorno perde popolazione più rapidamente, ma anche piccoli comuni alpini e appenninici rischiano lo spopolamento definitivo. Si rafforza una geografia della crisi: aree metropolitane sempre più affollate e periferie demografiche sempre più vuote, con gravi ripercussioni su servizi pubblici, scuole e coesione sociale.
Cosa manca? Una visione politica di lungo periodo
Istat è chiaro: non basta aumentare le nascite o favorire l’immigrazione. Serve un’azione sistemica che tenga conto dei nuovi equilibri demografici: politiche abitative, flessibilità lavorativa, sostegno alla genitorialità, rigenerazione dei territori marginali. Serve, soprattutto, una governance unitaria della transizione demografica, oggi assente.
La demografia come priorità nazionale
Il declino demografico non è più una “questione privata” delle famiglie, ma una crisi strutturale nazionale. Un Paese che invecchia senza ricambio rischia la stagnazione economica, l’isolamento sociale e il collasso dei servizi pubblici. Non è solo una questione di numeri, ma di futuro.

30/5/2025 https://diogenenotizie.com/









Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!