Disavventure del progressismo apparente

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Sono dalla parte dell’aggredito, senza se e senza ma” e “il fascismo si è affermato per via elettorale” sono due asserzioni ricorrenti, soprattutto all’interno dell’area progressista e sui social media, che si riferiscono rispettivamente alla guerra in corso in Ucraina a seguito dell’invasione della Federazione Russa e al risultato elettorale conseguito dal fascismo di Mussolini nel 1924 e dal nazismo di Hitler nel 1933. 

Formulando le due asserzioni, i loro autori entrano in una comfort zone, vale a dire in una condizione psicologica di benessere e pace con se stessi. Come accade quando sono abbracciate e dichiarate verità assolute e non in discussione. Ma il benessere psicologico non è l’unico vantaggio. L’attivazione contestuale della connessa opzione del ragionamento in “modalità risparmio energetico” consente anche di non impegnare tempo e fatica nell’effettuazione di approfondimenti. Insomma, questi sinceri progressisti entrano in una sorta di nicchia ecologica in cui si sta bene moralmente e non sono sprecate risorse intellettuali. Tutto ok allora? Prima di archiviare la tematica, rallegrandoci per i benefici psicologici ed energetici acquisiti, proviamo a immaginare eventuali inconvenienti e controindicazioni. 

Partiamo da quesiti inerenti al campo d’applicazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Esso vale solo per l’Ucraina considerata come Stato unitario e non anche per le popolazioni russofone del Dombass e della Crimea?
Quest’ultima, in particolare, ha meno diritto del Kossovo alla scelta della propria collocazione? Perché il principio dell’autodeterminazione non è stato concretamente adottato dall’Unione Europea, sollecitando pubblicamente e prevedendo espressamente la concessione al Dombass e alla Crimea di una forma di autonomia amministrativa come quella, ad esempio, in Italia riconosciuta all’Alto Adige? Perché mai le popolazioni russofone avrebbero dovuto rivolgersi alla Russia di Vladimir Putin per tutelare interessi maggiormente salvaguardati da sistemi e pratiche europee correnti di autonomia regionale e amministrazione democratica? Perché ciò che si poteva e doveva fare, da parte delle istituzioni politiche comunitarie, in una prospettiva europea di integrazione dell’Ucraina e di gestione strategica preventiva delle non anche per le popolazioni russofone del Dombass e della Crimea? contraddizioni, non è stato fatto? Il bombardamento sistematico delle zone a maggioranza russofona del Dombass, attraverso postazioni fisse di artiglieria pesante e in dispregio di accordi raggiunti dalle parti interessate a Minsk nel 2014, è forse una modalità efficace e accettabile di risoluzione di conflitti regionali connessi ad aspirazioni autonomistiche o separatistiche? 

Anche relativamente all’asso-ciazione spesso effettuata della via elettorale con l’ascesa del fascismo, proviamo a farci delle domande. Sarebbe stata possibile la prevalenza di fascismo e nazismo, nelle consultazioni elettorali sopra richiamate (le ultime multipartitiche, fino alla caduta dei regimi sopraggiunti), senza il preventivo e massiccio esercizio della violenza organizzata contro le organizzazioni di massa del tempo (partiti politici, sindacati, cooperative, associazioni), gli organi di stampa e le sedi (redazioni di giornali, tipografie, Camere del Lavoro, Case del popolo, ecc.) delle stesse, nonché contro le istituzioni della democrazia rappresentativa (primariamente i Comuni ma non solo) e le persone fisiche degli avversari politici? La violenza e il terrorismo politico non furono influenti pure sul posizionamento elettorale di gruppi e strati sociali incerti?

Inoltre, fascismo e nazismo non ebbero l’approvazione e il sostegno, oltre a quello rilevante assicurato in Italia dalla monarchia e in entrambi i Paesi da aristocrazia e apparati dello Stato, di soggetti sociali specifici; per esempio, la borghesia industriale e il capitalismo finanziario, con la relativa forza economica e mediatica? In un contesto italiano molto diverso, soggetti che sostennero il fascismo (incluso il sistema mediatico avente oggi una funzione speciale) non sono prevalentemente e stabilmente rappresentati dalla sinistra ministerialista? Cosa sarebbe il fascismo, separato da sue connotazioni costitutive: la violenza, la sopraffazione e il terrorismo politico praticati con metodo e su base di massa; l’impostazione eversiva e autoritaria (tradottasi, dopo la presa del potere, in uno specifico e originale sistema totalitario) e la sua caratterizzazione sociale (la salvaguardia e l’espressione di ben determinati interessi di classe)? Un movimento d’opinione come un altro? Magari un pericolo da evocare in occasione di un risultato elettorale sgradito? 

Come si può evincere dalla considerazione dei suddetti quesiti, le due asserzioni sono vantaggiose per i loro autori in termini di allontanamento dell’ansia, autorassicurazione e risparmio energetico ma hanno implicazioni sul terreno della comprensione e della interpretazione dei fatti. La prima ostacola l’apprendimento (anzi, lo vieta, reputandolo in se stesso un cedimento) in ordine ai fenomeni relativi; la seconda apre la strada al revisionismo storico e prefigura uno stato confusionale permanente in cui tutte le vacche sono nere. 

Forse l’esercizio della coscienza critica e la capacità di pensare sono più importanti del benessere psicologico di progressisti risparmiosi. Principalmente per la ragione individuata e rimarcata da Hanna Arendt: è proprio . Non solo. La dequalificazione automatica e la demonizzazione degli argomenti sgraditi (“questa visione problematica favorisce gli aggressori”, “sono argomentazioni da Russia Today”, “questa visione del fascismo è funzionale al governo di Giorgia Meloni”, ecc.) e più generale il disconoscimento della legittimità logica dell’opinione avversa (vale a dire la repulsione della dialettica), nonché il conseguente e pregiudiziale rifiuto del confronto aperto (rifiuto insito, peraltro, nell’intera categoria delle prese di posizione “senza se e senza ma”) costituiscono, nella loro essenza, un’espressione autentica dell’approccio totalitario. 

Punto d’approdo, questo, del percorso involutivo che, allontanandosi dall’illuminismo e passando attraverso la svalutazione della riflessione critica e la rimozione della categoria stessa di “contraddizione”, perviene all’ideologia politically correct e al connesso principio di esclusione e disconoscimento della posizione fuori standard (la cosiddetta cancel culture o cultura della cancellazione). 

Insomma, un certo tipo di progressismo, non a caso ammantato di superiorità morale, sembra essere perfettamente compatibile con (e non di rado fattore attivo di): intolleranza, annichilamento e negazione del pluralismo. Il revisionismo storico è non soltanto strumentale a polemica contingente ma anche espressione della tendenza congenita alla riscrittura della storia mediante l’applicazione retroattiva di standard assoluti. Sul piano delle relazioni internazionali, la ricerca della supremazia politico-culturale di una presunta civiltà occidentale e il trattamento dell’opzione militare quale risorsa strategica sono modi d’essere distintivi del progressismo apparente. 

Prof. Carlo De Filippis

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