E l’omosessualità ai tempi del fascismo?

 

Spesso, l’interrogativo  è mal posto, forse per squilibrio nazionale o deficienza senile.  Capita  ancora oggi,  che i tuttologi di casa nostra, storici senza motivo, parlino poco di come furono trattati i gay nella nostra nazione, ai tempi del fascismo. Vagheggiano nella memoria, ma evitano accuratamente la questione, semmai puntano il dito ad altre realtà di quel tempo.

Del resto, in pochi conoscono i  campi di internamento di Arbe, oggi chiamato Rab, Gonars, Monigo, Renicci, Risiera di San Sabba, eccetera, eccetera, eccetera.  Il fascismo seppe amicarsi il Nemico del Popolo peggiore,  che la storia ricordi.  In questi luoghi maledetti, e maledetti siano quelli che dimenticano,  furono assegnati posti anche a civili destinati ai lavori forzati, ai prigioni politici e tutti quelli che rappresentavano un ostacolo per il duce e le sue idee da criminale. Il regime fascista creò l’isola dei “degenerati”, confinò i gay in campi di concentramento, che qualcuno, addirittura, indica come prime comunità gay della storia.

Seppur annoiati da queste miserabili considerazioni,  è un dovere di tutti,  ricordare che il concetto di virilità inteso dal fascismo, cozzava perentoriamente con la realtà gay. Quelli erano campi di concentramento e non isole felici. Per valor di cronaca, bisogna ricordare che la politica razzista nei confronti dei gay durò tre o quattro anni, mentre la repressione ordinaria si spense con la caduta del fascismo.

Le leggi razziste tedesche nei confronti dei gay, non trovarono spazio in Italia. Il concetto stesso di ritenere razza, una moltitudine di “degenerati”, creò dissidi e confusione, in un popolo orientato a reprimere, nascondere, l’omosessualità. L’Italia poteva contare su secoli di tradizione giuridico/oppressiva  nel campo,  chiudendo spazi riservati, cancellando e negando la loro esistenza. Il messaggio era chiarissimo: gli italiani sono troppo virili per essere omosessuali. Secondo il fascismo, il problema riguardava i paesi del nord Europa, non razze come la nostra, nate per fecondare e assemblare il concetto di uomo-padrone. Il codice Rocco e altre amenità non ritenevano  di doversi occupare degli omosessuali, infatti quasi cento di essi furono arrestati come “prigionieri politici” e non come “prigionieri comuni”. Una sorta di classificazione che dava alla polizia, la libertà di arrestare i gay per atteggiamenti scandalosi, in pubblica piazza. Per i gay non serviva un processo, non servivano prove, bastava un’accusa fondata e suffragata dalle camicette nere per arrestarli. L’ipocrisia italiana, come nostra tradizione,  voltò le spalle al problema. I processi sommari  finivano in pestaggi o si ricorreva all’uso delle classiche bottiglie d’olio di ricino, al  licenziamento se si lavorava per un ente pubblico, e molto spesso anche l’ arresto domiciliare, sotto la sorveglianza costante della polizia. Logicamente, chi viveva in segretezza la sua omosessualità aveva buone possibilità di farla franca, questo punto va precisato. Le forme di repressione degli omosessuali, nei tempi del fascismo, non hanno lasciato grandi tracce da seguire. Nel 1938, Il questore di Catania, un certo fascista di nome Alfonso Molina mandò  in esilio, nell’isola di San Domino, nelle Tremiti, circa 45 persone ritenute omosessuali.  Parliamo di storia reale, non quella  incisa sui libri di scuola, per cui difficilmente troverete, che una lapide dedicata a questo signore è stata rimossa dal comune di Catania, solo una decina di anni fa, tanto per parlar di paradosso. Cito alcuni testi, per chi vuole approfondire: “ la città e l’isola, di Gianfranco Goretti, Tommaso   Giartosio ( Donzelli ed.).

“ Il nemico dell’uomo nuovo”, l’omosessualità  nell’esperimento

totalitario fascista -, di Lorenzo Benadusi ( Feltrinelli ed.). L’omosessualità ai tempi del fascismo conservò il diritto all’ipocrisia.  Da questo di vista, l’omosessualità introdusse un aspetto conturbante nel suo valore storico. Tanto più gli omosessuali appartenevano all’alta borghesia, tanto più potevano mischiarsi, confondersi e avere il beneplacito della collettività. Durante quel ventennio, la persecuzione e la repressione dell’omosessualità inglobano feroci pestaggi, assassinii, che la storia omologata cerca di appannare. Secondo il nazismo, l’omosessualità rappresentava un’involuzione della specie, quindi bisognava escludere, eliminare, confinare il ceppo ritenuto malato, al pari di un handicap fisico.

Da noi il conflitto  era meno strutturato, il gay veniva considerato un pederasta, un passivo che subisce il coito anale. In pratica, non esistevano preclusioni per gli “attivi”, essi erano maschi a tutti gli effetti, complice l’omertà formale e cronica degli italiani. Sempre quel questore di Catania, sottopose molte persone a visite mediche  per accertarsi della passività dei soggetti. L’ignoranza la fece da padrone.  Nascondevamo a noi stessi la naturale crescita sessuale dell’individuo, se non in uno schema preordinato: il maschio virile. Tutto il resto poteva morire di crepacuore, dissanguato o sodomizzato violentemente, fino a rimanere senza vita, in un angolo nascosto. I processi sommari nei confronti degli omosessuali finivano nel sottoscala del convenzionalismo, nel ricordo di una chiesa complice e fascista, nel dimenticatoio delle coscienze, nella putrida forma di repressione. D’altra parte, ancora oggi, non è difficile sentire qualcuno in giro,  che dice “se avessi un figlio frocio, lo ammazzerei”. Questo messaggio è figlio di una cultura folle e suicida, infatti l’Ottocento sarebbe stato  il posto ideale per  seppellire certi pregiudizi.

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute.

Numero 1 gennaio 2017  www.lavoroesalute.org

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