Ecco a voi la scuola renzi/giannini-gentiloni/fedeli

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Le elezioni sembrano essere vicine. Non pago dell’atto di prevaricazione più violento subìto dalla scuola nel corso della sua storia – l’approvazione della legge 107, la cosiddetta “Buona Scuola”, con voto di fiducia, nell’estate del 2015 –, il governo Gentiloni ha approvato quasi fuori tempo massimo 8 deleghe su 9 di quelle previste dalla legge stessa, sulle quali si stanno in questo momento svolgendo le audizioni di sindacati ed associazioni. “Si è stabilito un rapporto di reciproco ascolto con tutte le componenti della scuola”, ha affermato la ministra Fedeli. Fuffa mediatica, di cui avremo riscontro quando, dopo la celebrazione del rito, ci renderemo conto che i testi, esattamente come accadde ai tempi della legge, rimarranno pressoché invariati. “Costruire il consenso sui cambiamenti è il mio mandato”, ha affermato a RaiNews24. “Penso di aver fatto una scelta utile, quella di non buttare a mare le otto deleghe della buona scuola perché lì ci sono scelte (sic!) qualificanti per l’istruzione ed era importante salvare scelte (sic!) di innovazione”. Utile a chi? c’è da chiedersi. Utile esclusivamente al completamento dello scellerato progetto renziano sulla scuola; quello – per intenderci – che persino chi lo ha votato (Bersani) o chi non ha fatto nulla per contrastarlo, dall’alto delle proprie rispettive tribune (D’Alema, Cacciari), cita come uno dei punti di maggiore inciampo del governo Renzi.

Le “scelte qualificanti”, sia detto non senza ironia, riguardano 8 temi estremamente importanti del sistema scolastico. Il sostegno: rispetto alla legislazione vigente si riscontrano nella delega peggioramenti che ostacolano l’inclusione e il diritto a un’istruzione di qualità degli alunni con disabilità, cui verrà impedito di conseguire la licenza media, ma solo un titolo equipollente, in un sistema che registrerà la rottura della collaborazione tra scuola e servizi sanitari nella programmazione, vedrà la sanità coinvolta solo fino alla valutazione diagnostico-funzionale, con le scuole lasciate poi da sole a gestire l’intero processo. La scuola dell’infanzia: dalla legge 444/68 parte del sistema scolastico nazionale, ora invece da esso separata da una delega che la rende formalmente un tutt’uno (percorso 0-6) con i nidi di competenza degli enti locali e – sempre come i nidi – servizio a domanda individuale, con funzione di custodia dei bambini. Il reclutamento dei docenti, con i vincitori di concorso – Jobs Act docet – retribuiti 400 euro al mese per due anni di apprendistato o supplenze.  Ancora: promozione della cultura umanistica, con un inconsueto e raccapricciante accostamento tra quest’ultima, creatività e Made in Italy; istruzione professionale – l’indirizzo più problematico del sistema scolastico, quello con la maggior parte di studenti svantaggiati (economicamente e culturalmente, il più ampio numero di migranti e di disabili), e che pertanto più di ogni altro avrebbe il compito di fungere da “ascensore sociale –  viene depotenziata ed indebolita, compiendo definitivamente la parabola discendente della scuola come strumento di rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e della partecipazione. Infine l’esame di Stato e la valutazione: alla terza prova (pluridisciplinare, in grado di intercettare conoscenze, capacità di collegamento, propensione alla sintesi) si sostituisce l’alternanza scuola lavoro; nello svilimento intenzionale della tappa finale del percorso di studi (prossimo passaggio, c’è da giurarci, l’abolizione del valore legale del titolo di studio) la media del 6 sufficiente per l’ammissione.

Ecco la scuola Renzi/Giannini-Gentiloni/Fedeli: servizio a domanda individuale nelle prime fasi, violazione di quel principio di inclusione che ha reso la nostra scuola l’unica in Europa a non avere classi e istituti speciali, ma, viceversa, la sola a praticare quel principio intransigentemente; saper fare, con commistioni occhieggianti (come al solito in estremo ritardo) a pratiche rivisitate in salsa italiota di matrice anglosassone (invalsizzazione); nessuna considerazione della cultura, delle conoscenze, del pensiero critico analitico, con un titolo di studio svenduto. Una scuola in cui gli ultimi sono destinati a rimanere ultimi; in cui il principio di equità non è più l’architrave di una cittadinanza consapevole, cui tutti hanno diritto ad accedere; e l’appello per la restituzione di una centralità della lingua italiana nel curriculum scolastico di più di 200 docenti universitari lo dimostra; salvo poi chiedere dove erano quei docenti mentre la scuola della Costituzione veniva programmaticamente smantellata.

I compiti che i poteri forti hanno dettato in deroga al principio di autodeterminazione, alla sovranità nazionale e alla democrazia, in base ai quali è il Parlamento che dovrebbe fare le leggi, sono stati svolti con cura impeccabile, devozione fideistica e acritico zelo.

Entro poco più di un mese – dopo le audizioni-farsa – le deleghe dovranno essere definitivamente adottate. Si tratta dell’ultimo passaggio, pericolosissimo, al quale non possiamo limitarci ad opporre scetticismo, inerzia, fatalismo. Le elezioni sono probabilmente alle porte, come si diceva. Occorre dare un segnale forte e chiaro relativo al fatto che la demagogia non suffragata da azioni concrete, la manipolazione delle parole, l’ascolto solo verbalizzato e non praticato, la violenza della autoreferenzialità, che sono stati parte consistenti del fallimento del PD, continuano a disgustare il mondo della scuola.

Il momento è particolarmente importante: il rilancio del Governo su una partita che sembrava provvisoriamente archiviata – quella delle deleghe – ha creato nella scuola la frustrazione di un’attesa legittima e un ulteriore strappo in una relazione già compromessa. Difficile attribuire a quel rilancio un significato univoco: imperizia, arroganza, dilettantismo, esibita incuria nel fare i conti con il risultato del 4 dicembre. Più facile dire che oggi abbiamo un’unica chance: quella di far sentire forte e chiara – in un clima di protratto, incerto balbettio dei sindacati confederali, e di uno sciopero annunciato per il 17 marzo dal sindacalismo di base – la nostra indisponibilità a tollerare tutte e ciascuna quelle potenziale interpretazioni: le deleghe vanno rigettate interamente e senza tentennamenti.

Cominciamo a dirlo forte e chiaro il 23 febbraio, partecipando al sit in organizzato davanti a Montecitorio. Partecipiamo in tanti, convinti. Facciamogli capire che non abbiamo dimenticato né la violenza del voto di fiducia sulla legge più odiata della storia della scuola italiana; né – tantomeno – la loro pervicace esibizione di noncuranza nei confronti di un risultato straordinario, quello del referendum costituzionale, al quale la scuola italiana ha consistentemente contribuito. Siamo tanti e in grado di spostare ulteriormente la stampella di salvataggio di cui il PD si è autodotato, ma che scricchiola sotto i colpi continui del fallimento delle politiche economiche e sociali, – di Renzi come di Gentiloni – e dall’ormai perenne clima da “notte dei lunghi coltelli” interno al PD. Ricordiamo loro che avrebbero potuto dialogare invece che imporre; riflettere anziché accelerare. Il tempo sta per scadere.

Marina Boscaino

9/2/2017 http://blog-micromega.

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