Elena

http://www.lavoroesalute.org/

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

‹‹Sei solo una badante!››.
L’eco delle parole con cui è stata buttata fuori di casa riverbera nella sua testa e si sovrappone al rumore di fondo del suo respiro e del dispositivo che la sta aiutando a respirare. Ha riaperto gli occhi da poco.

A volte si da per scontata la respirazione, è lo sforzo che ogni persona compie quando nasce, un vagito che darà inizio allo scambio gassoso in un ambiente nuovo e sconosciuto, un atto che si ripeterà per tutta la vita che cambia radicalmente le funzioni di cuore e polmoni. “La maggior parte dei neonati effettua il primo respiro entro 20 secondi dal parto e la respirazione ritmica di solito inizia entro 90 secondi”, si ripete questo Elena, sdraiata sul letto in ospedale, mentre prova con queste reminiscenze universitarie a contrastare quelle parole contagiose, infette, che cicatrizzano l’animo di un corpo provato dal virus. Sono le ultime parole prima del suo viaggio verso un nuovo grembo, dalle quali rinascere, e le prime che accolgono il suo risveglio.

Elena nel suo paese era un medico specializzato, ma un evento storico ha scagliato lontano il suo destino, fino in Italia. Le due Elena, un medico prima, una “badante” ora, a cui si richiede una certa dose di disponibilità, di carico emotivo, di assistenza e di cura che valgono 4 euro l’ora, un alloggio precario e la totale assenza di tutele sanitarie. Ascoltare, vegliare, parlare, movimentare, saper fare nell’eventualità iniezioni, medicare, pulire, lavare, cucinare e tutto ciò di cui l’assistito/a necessita, convivendoci spesso, a tutte le ore, con o senza contratto, con un giorno quasi libero o nessuno, a volte.

Quando lascia l’Ucraina riesce ad approdare in Italia, dove trova lavoro presso una famiglia, nessun contratto di lavoro e sei persone da seguire. Le chiedono un test sierologico che lei fornisce subito e poi, poco dopo, si scopre che tutta la famiglia è infetta dal Covid19. Anche Elena viene contagiata e si ammala, inizia ad avere dei disturbi, ha bisogno di cure che non trova e allora quando le sue condizioni peggiorano, i datori non chiamano i soccorsi e stanca si ritrova in strada. Si accascia sulla sua valigia e viene aiutata da dei passanti che chiamano un‘ambulanza.

In ospedale le assegnano un codice giallo, ma il codice fiscale sul permesso di soggiorno non risulta valido. Nella schizofrenia degli iter burocratici, risulta “extracomunitaria con regolare permesso di soggiorno”, ma alla fine il responso sarà “clandestina”. Le sue condizioni si aggravano e viene ricoverata in terapia intensiva dove resta in stato di incoscienza per tre giorni attaccata al ventilatore polmonare.

La mente di Elena ripercorre tutte queste stazioni, tutte le innumerevoli emozioni contrastanti vissute. Il panico, la nostalgia, il senso di ingiustizia e precarietà, la paura di perdere il lavoro, il reddito, l’alloggio, di morire così, lontana, sola. Sono morse e vetri acuminati che non le fanno distinguere i sintomi del virus da quelli delle ferite nell’animo. Corpo e mente, alleati e antagonisti, rottura, mutazione. Ora ricorda i dettagli dei racconti di alcune sue conoscenti, i vari stati d’animo che si attraversano quando si lavora come “badanti”, lontano dai propri affetti e in case altrui.

Le altre nel raccontarsi ripetevano spesso ‹‹ Mi devi credere!›› (1).
Il ricatto di esser licenziate se non si sta a delle condizioni, le pretese, le richieste, l’accumulo di compiti da eseguire, il controllo sul cibo, sul tempo, il limite tra vita e lavoro che scompare, assorbito dalla nebbia, unica compagna. Aveva anche sentito parlare della “sindrome Italia” in molti istituti psichiatrici in est Europa, che colpisce molte persone nella loro condizione. Si, ferite sul corpo e ferite nell’anima. Il corpo guarisce, cicatrizza i suoi segni, la mente invece non può dimenticare, si difende dai fantasmi, copre, ma conserva.

Elena probabilmente ha lasciato qualche affetto che nutre a distanza, che vedrà raramente negli anni, colmando l’assenza con l’invio di rimesse e regali. Mariti, figli, nipoti, amori che crescono, invecchiano, si districano nella vita, si distruggono, mentre lei lontana porta avanti una scelta. Oppure è andata via ed è sola, come quando si nasce, con una storia dimenticata, da cancellare.

I parametri iniziano a migliorare, lei, come abbiamo detto, ha riaperto gli occhi da poco. Ora lasciamola riposare, ancora non sa che l’ospedale, dopo le dimissioni, le presenterà il conto.

La categoria dei lavoratori domestici – badanti, assistenti familiari, colf, collaboratori in genere – è tra le più colpite dal Covid-19. Non soltanto in termini di posti di lavoro perduti, ma anche in termini di reddito, alloggio, salute e possibilità di rientrare in patria causa blocco delle frontiere. In Italia. si stimano quasi due milioni di lavoratori e lavoratrici, tra regolari e irregolari, nelle quali rientra anche la categoria delle cosiddette “badanti”. Un lavoro di cui manca una definizione chiara, non dispregiativa, delle mansioni, dei diritti, delle tutele.

Renato Turturro
Tecnico della prevenzione

(1) Espressione da cui prende il titolo il libro Mi devi credere! – Cantiere di socioanalisi narrativa svolto con un gruppo di badanti, Sara Manzoli,
Ed. Sensibili alle foglie, 2020.

Racconto pubblicato sul numero di novembre del mensile Lavoro e Salute

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