Eparina Killer. Note a margine del caso Piombino

La cronaca.

Il 31 marzo 2016 in una conferenza stampa i Carabinieri hanno annunciato di aver arrestato un’infermiera che lavorava nel reparto di  anestesia e rianimazione dell’ospedale di Piombino in base all’ipotesi di reato di omicidio. L’accusa è di aver volontariamente provocato il decesso di 13 pazienti (età 61 – 88 anni), morti a seguito di una diffusa emorragia (uno per altra causa). L’emorragia sarebbe stata provocata da somministrazione di eparina – farmaco non prescritto – che, in alcuni riscontri analitici effettuati sui deceduti, è risultata con dosaggi superiori fino a 10 volte la dose terapeutica.

L’enormità dell’evento, la sua – ovvia – mediatica amplificazione, a cui seguono sospetti e timori di parenti per altri precedenti pazienti deceduti, suggerisce un supplemento di prudenza nella individuazione non solo del sospetto autore, ma anche della rilevanza e del contesto complessivo di quanto accaduto. Risulta tuttavia acclarato che le indagini hanno evidenziato, con accuratezza e riscontri su una serie di soggetti, una somministrazione del farmaco con conseguenze potenzialmente letali.

Ciò che questo tragico accadimento dovrebbe suggerire è non solo l’accertamento dei fatti, per il quale operano, su presupposti e obiettivi differenziati (la ricerca del colpevole; la individuazione dei percorsi assistenziali e delle modalità di monitoraggio dell’attività sanitaria etc.), le indagini della Magistratura, del Ministero della Salute, della Regione Toscana e della Direzione aziendale.

Si dovrebbe infatti ripensare e mettere mano a una problematica su cui vi sono notevoli ritardi: quella della tracciabilità del paziente, del farmaco, del somministratore e – non ultimo – rivedere e implementare le pratiche di somministrazione dei farmaci.

Vita civile e vita ospedaliera

Le tecnologie informatiche si sono diffuse negli ultimi decenni e permeano molteplici settori della produzione, del consumo e del turismo. Il sistema sanitario italiano – e quello toscano su questo aspetto non rappresenta certo un’eccezione –  risulta invece assai poco dotato di tali tecnologie che, quando presenti, sono assai arretrate. Si tratta, peraltro, di una evidente contraddizione, considerata la complessità, i costi e i rischi insiti nelle attività sanitarie (e nella somministrazione di farmaci e prodotti biologici) e la presenza di singole tecnologie, o “isole tecnologiche” (la diagnostica per immagine), estremamente avanzate, nonché di alcune strutture ospedaliere che da tempo si avvalgono sistematicamente di tali risorse.

Qualche paragone con la “vita civile”. Se andate in un albergo vi viene consegnata, in pochi minuti, la scheda magnetica per l’accesso alla vostra camera e ad altri eventuali locali. Se andate a sciare venite fotografati e il badge, che riporta la vostra immagine, identifica gli impianti di risalita a cui potete accedere e la durata dell’accesso. Se andate in una nave da crociera nel giro di circa due ore oltre tremila persone vengono fotografate, dotate di badge che identifica l’accesso alla loro cabina e ad altre aree; il badge viene inoltre connesso con la carta di credito in modo da poterlo utilizzare per tutte le spese all’interno della nave e viene verificato per identificare i passeggeri nei i punti di imbarco e di sbarco. Se andate in un supermercato vi dotate di un piccolo strumento con il quale scannerizzate i prodotti che mettete nel carrello e computate il costo; la cassa identifica all’uscita il prezzo complessivo e il sistema informatico rileva i prelevamenti effettuati dagli scaffali e li comunica al magazzino per i necessari ripristini. La fornitura della biancheria negli alberghi (e negli ospedali) viene frequentemente realizzata dotando i vari capi di tag (etichetta elettronica), in modo che dal camion, dotato di apparecchio di identificazione (reader), si verificano i capi in trasferimento e quelli che sono stati consegnati.

Tutto ciò è assente nella maggior parte degli ospedali, in particolare del Centro – Sud Italia. Per accedere al PC basta la propria password (che tutti conoscono); per prendere un ascensore riservato al personale ci si limita ad esporre un cartello con indicato “riservato al personale” o, talora, all’utilizzo di una chiave per attivare la chiamata e non al badge individuale dell’operatore; i locali di servizio, magazzini, sale diagnostiche, non hanno necessità di badge per accedervi e non rimane così tracciabilità di chi vi è entrato; i percorsi operatori e visitatori sono così inevitabilmente misti; il wireless  è poco diffuso e scarsamente funzionate; l’uso del palmare rappresenta una rara eccezione… Questa è la descrizione della maggior parte delle strutture ospedaliere italiane!

Sicurezza del paziente e tracciabilità

È noto che i danni iatrogeni sono un rilevante indicatore della qualità delle cure e che la percentuale di eventi avversi in ospedali si aggira intorno al 13 – 14% dei ricoverati[1]; gli errori di terapia farmacologica sono compresi fra il 12% e il 20% degli errori complessivi[2].
La sicurezza del paziente parte dalla identificazione di tutti i pazienti che arrivano all’ospedale per un ricovero (dal pronto soccorso; per ricovero programmato, in degenza ordinaria o day hospital etc.)  indipendentemente dal loro stato di coscienza. Il braccialetto deve riportare una serie  – nota e codificata – di informazioni e deve “dialogare” con l’ambiente e con gli operatori. Si tratta quindi di utilizzare le tecnologie ampiamente disponibili e ormai accessibili come la RFID (Radio-Frequency IDentification) memorizzando i dati del paziente sul bracciale, che può essere letto dai dispositivi collocati nei locali e “accoppiato” con l’etichetta elettronica sulla cartella, sui dispositivi medici e sui farmaci.

Si tratta quindi non solo di identificare il paziente, ma di tracciare il suo percorso; la tracciabilità del paziente, infatti, è un processo integrante della gestione ospedaliera perché consente anche di conoscere in tempo reale dove si trovano esattamente i pazienti, così da consentire agli operatori sanitari interventi proattivi e tempestivi e permettere di monitorare le procedure, i luoghi e tempi di effettuazione delle prestazioni e i soggetti che le erogano.

Si tratta, in sostanza di trasformare gli ambienti in “ambienti intelligenti”, di far dialogare il badge dell’operatore con la cartella clinica e la scheda terapeutica informatizzata, con il bracciale identificativo del paziente e con le etichette di farmaci, presidi etc.

Una modalità di gestione in atto in larga parte degli ospedali del Centro Nord Europa[3] e diffusa in molte realtà del Nord Italia, ormai da tempo, come l’Ospedale di Forlì o il Policlinico San Matteo di Pavia. Non si tratta ovviamente di novità. La raccomandazione di utilizzare, per la somministrazione di farmaci la tecnologia informatizzata è contenuta nelle Raccomandazioni Ministeriali del 2010[4]; i sistemi di radiofrequenza in ambiente ospedaliero sono stati ampiamente illustrati da anni da istituzioni pubbliche[5], con risultati assolutamente deludenti dato che è presente solo in poche realtà ospedaliere del nord-Italia.

La Regione Toscana, ormai otto anni fa, ha avviato una sperimentazione per la identificazione del paziente, limitandosi alle soluzioni tecnologiche meno avanzate, per “… lo stato dell’arte aziendale riguardo le reti e i database esistenti che ha vincolato considerevolmente la scelta della soluzione…”[6]. Da tale sperimentazione – che aveva dato esiti positivi anche in termini di accettazione da parte di operatori e pazienti –  non si è pervenuti tuttavia né  a un progresso tecnologico dotando le aziende di reti e database aggiornati né  ad una capillare e generalizzata diffusione del braccialetto identificativo del paziente.

La corretta somministrazione del farmaco

La somministrazione dei farmaci rappresenta un momento fondamentale del percorso assistenziale, su cui più volte anche l’IPASVI (Associazione dei collegi infermieristici) ha richiamato l’attenzione[7]. Si tratta infatti di una fase delicata, su cui si concentrano possibili errori e conseguenti effetti iatrogeni ed esposta – come è accaduto in più casi in vari paesi – ad eventi gravissimi[8] o anche delittuosi. Le “buone norme”,  che eseguite diffusamente limitano i possibili errori, sono riassunte nella SCHEDA 1 (Scarica qui la scheda PDF: 39 Kb)[9]:

Come si deve somministrare l’eparina?

Nell’evento, da cui ha preso spunto questa riflessione, il farmaco che è stato rilevato quale causa dei decessi per emorragia è l’eparina. La letteratura scientifica suggerisce specificamente per il farmaco in questione modalità di somministrazione, da parte dell’infermiere, assai accurate e specifiche, che non passerebbero facilmente inosservate se tutti si attenessero a tali modalità. La procedura si riassume nella SCHEDA 2 (Scarica qui la scheda)[10].

Vi è tuttavia, come dimostra lo studio citato, un’amplissima variabilità di comportamenti fra operatori e una scarsa aderenza alle buone norme di somministrazione di questo specifico farmaco.

Qualche – mesta – considerazione conclusiva

Cosa “ci azzecca” questo insieme di considerazioni e di richiami alle buone pratiche con un – eventuale – evento delittuoso ripetuto nel tempo in oltre dieci ipotetici casi?

A mio parere c’entra. Intendo dire che in ambienti intensamente presidiati e con un rapporto elevato infermieri/pazienti, come nelle terapie intensive,  una corretta e diffusa applicazione delle procedure e la tracciabilità del percorso terapeutico fornisce una barriera efficace agli errori di somministrazione e un sistema di allarme a fronte del ripetersi di eventuali comportamenti inappropriati o addirittura criminali.

La mia considerazione conclusiva è “mesta” (cioè “pacatamente triste”), perché noi abbiamo, in termini di tracciabilità dei percorsi, la disponibilità di sistemi tecnologici avanzati e diffusi in ambito industriale, civile e commerciale; abbiamo raccomandazioni internazionali e nazionali sul loro uso nei sistemi sanitari e, in particolare, in ospedale; abbiamo sperimentazioni positivi di tali sistemi da circa un decennio; abbiamo buone norme sulla somministrazione dei farmaci.

In altri termini, come spesso accade nel sistema sanitario per le pratiche igieniche, assistenziali e organizzative… Sappiamo cosa si deve fare! Sappiamo come farlo! Non sappiamo farlo!

Bibliografia

  1. Daniel R. Levinson.  Adverse Events In Hospitals: National Incidence Among Medicare Beneficiaries Department of Health and Human Services. Office of Inspector general, November 2010, OEI-06-09-00090.
  2. Guchelaar HJ et al. Medication Errors: Hospital Phamacist Perspective. Drugs 2005; 65(13):1735-1746.
  3. James A,  RFID solution benefits Cambridge hospital. Health Estate 67 (9) 2013: 87-9.
  4. Ministero della Salute. Qualità e sicurezza delle cure nell’uso dei farmaci, Raccomandazioni, Integrazioni e Formazione. Settembre 2010, pag.34.
  5. Sbrenni S, Eugenio Mattei E. Gestione dei dispositivi di identificazione a radiofrequenza (RFId) in ambiente ospedaliero. Rapporti ISTISAN 11/40, Roma, 2011
  6. Regione Toscana. Quaderni per la campagna della sicurezza del paziente, AIDA o LIDIA? Perché il paziente non è solo un nome. Regione Toscana, Gestione rischio clinico, pag. 24.
  7. Alvaro R, et al. La sicurezza nella somministrazione della terapia farmacologica: una revisione narrativa della letteratura. L’Infermiere 2009; 3: 22- 26.
  8. Benci L. Morì per un errore nel dosaggio di un chemioterapico. Per i giudici di Palermo quanto accaduto al Paolo Giaccone nel 2011 è il “più grave episodio di colpa professionale del Mondo”. Ma è così? Quotidianosanita.it, 24.03.2016
  9. Nursing 2015 Drug Handbook. (2015). Lippincott Williams & Wilkins: Philadelphia, Pennsylvania (modificata).
  10. Ferri P, et al. La somministrazione sottocutanea di eparina: semplice procedura operativa, numerose variabilità. Evidence 2012; 4 (1).

Marco Geddes

10/4/2016 www.saluteinternazionale.info

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *