Essere poveri costa. Faccio parte del “9,9% della popolazione italiana che non riesce ad acquistare beni e servizi per vivere una vita dignitosa”.

Istat: secondo i rilevamenti effettuati l’anno scorso, in Italia abbiamo 10.048.000 (dieci milioni e quarantottomila) persone che vivono in condizioni di povertà, pari al 16,6% della popolazione. Di questi, 6.020.000 (sei milioni e ventimila) sono poveri assoluti, cioè non riescono ad acquistare beni e servizi per una vita dignitosa (9,9%). “In particolare, il 12,6% delle famiglie italiane è in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230 mila) e il 7,9% lo è in termini assoluti (2 milioni 28 mila).” Il che, se la matematica continua a non essere un’opinione, fa un italiano su tre in difficoltà, ok?

I frequentatori delle mense per poveri sono aumentati del 20% in un anno. Gli sfratti sono aumentati del 72% in dieci anni. Con felice intuizione, Comuni e Stato riducono la loro “spesa sociale” (meno 7% sul totale degli interventi), dicendo così ad anziani, disabili, malati cronici e famiglie impoverite dove stanno esattamente sulla scala delle priorità. Nell’Italia che ama i bambini (balle), il 12,2% delle persone in condizioni di povertà assoluta sono minori.

La notizia è un po’ seppellita fra cose molto più importanti, come “Festa e striptease – Rihanna scatenata al Maracanà”, “Le tifose più belle del mondiale”, “Gisele incanta Rio”, “Quel vestito rosso spaventa le altre donne”, “Il web scopre la bella Kathrin”, “Una mamma alla Camera – La mia lotta per il parrucchiere”… tutti quegli scoop, insomma, che io continuo perversamente a considerare non-notizie e a trafiggere con la mia devastante ironia (facendo piangere le attrici / cantanti / intrattenitrici / deputate / pagliacce coinvolte, secondo alcuni miei esagerati estimatori).

Ovviamente ho un sacco di altre brutture in me e su di me: per esempio, ho una specie di lesione permanente al naso, come una “grattata”, con la pelle che viene via. Voi non volete sapere perché, ma io sono carogna e lo ve dico lo stesso: è la montatura degli occhiali a causarla. Gli occhiali sono vecchi – specialmente le lenti, mannaggia – e la plastica si è screpolata al punto da ferirmi il naso. Ho provato a rimediare incollandoci del nastro adesivo, ma è molto fastidioso e viene via quasi subito (sudore, ecc.) e anche piazzarmi un cerotto sul naso funziona per poco tempo (stessi motivi). Perché non cambio gli occhiali? Perché faccio parte del “9,9% della popolazione italiana che non riesce ad acquistare beni e servizi per vivere una vita dignitosa”.

Ora, uno dei dati omessi nelle rendicontazioni e nelle analisi è questo: essere poveri è costoso. Prendete le mie pentole: le più “giovani” hanno quindici anni, la padella più “anziana” l’ho con me da quando di anni ne avevo 18 io, immaginatevi il rudere. Il rivestimento interno di tutte presenta zone spelacchiate bianche che spiccano sul grigio nelle loro fantastiche geografie. Guarda là, sembra la silhouette dell’Islanda e così via. Poi ne usi una per fare il brodo e un’altra per fare il sugo al pomodoro, sposti quel che hai cucinato in piatti e contenitori e smetti di divertirti quando è ora di lavarle: nelle aree che hanno perso il rivestimento brodo e sugo sono penetrati al punto che devi continuare a sfregare il doppio o il triplo del tempo, con il doppio o il triplo dell’acqua e il doppio o il triplo del detersivo. Inoltre, alla fine del processo spesso la spugnetta si è ridotta in modo tale da non essere più utilizzabile. Acqua, detersivo e spugnette sono cose che io consumo di più di chi, non povero, può sostituire le proprie pentole. E non me le danno gratis.

vecchia pignatta

Stesso discorso per gli impianti igienici: hanno più o meno cinquant’anni e il buon tempo andato in cui lo sporco scivolava con facilità dalla superficie è appunto andato, da un pezzo. Sono diventati porosi e rugosi e intrattabili come vecchietti a cui si impedisca di andare in pensione, con tutto lo spreco di acqua e detergenti che ne consegue.

Essere poveri è costoso anche in termini sociali. Si tende, per così dire, all’autocancellazione. Visto lo stigma posto sulle condizioni economiche (se sei miserabile è colpa tua, sei un costo per la collettività, mangiapane a tradimento, potevi vendere la patacca quando qualcuno ancora te la comprava, ecc.) noi poveri facciamo per lo più finta di niente. Inventiamo scuse iperboliche per non andare alla festa o al compleanno o alle nozze dove non potremmo offrire ai festeggiati nulla di più del nostro sorriso non proprio perfetto (dentista? sapete quanto costa?). E quando ci incontriamo, alla domanda “Come va?” rispondiamo con spudorate menzogne: “Benino, insomma, sì sì, dai, si tira avanti…”. L’altro giorno una mia vicina di casa mi ha detto che mi vedeva bene. E io ho pensato: Poverina, neppure lei può cambiare gli occhiali…

Maria G. Di Rienzo

15/7/2014 http://lunanuvola.wordpress.com

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