Estate, ovvio che fa caldo! Psicopatologia del negazionista climatico

Secondo il Climate Change Service dell’agenzia europea Copernicus (monitoraggio satellitare della Terra), il luglio 2023 è stato il mese più caldo mai registrato sulla Terra

Una riflessione sulle ragioni che possono portare a negare la crisi climatica, considerando anche le responsabilità di chi non nega ma, nei fatti, continua ad adottare comportamenti che accentuano il problema. Eppure, con piccole azioni si può arrivare a grandi risultati

Già dallo scorso anno, alcuni opinionisti (sostanzialmente di destra) hanno cominciato a sostenere che «se è estate, non c’è da meravigliarsi se fa caldo, è stato sempre così». Quest’anno ancora altri ne abbiamo visti (politici, opinionisti “bolliti”, bastian contrari di professione) che, di fronte ad un’estate ancora peggiore e più calda, hanno continuato a sostenere la tesi della normalità. C’è da meravigliarsi? No, se esistono i terrapiattisti (il 5,8 % degli italiani si dichiara terrapiattista) e coloro che negano l’esistenza del Covid (5,9% della popolazione), è “normale” che esistano anche i negazionisti climatici. Purtroppo, il 55° Rapporto Censis (2021) sulla situazione sociale del Paese mostra che le convinzioni degli italiani sono intrise di irrazionalità. Il Rapporto, uscito nel mezzo della pandemia da Covid, fotografa il fatto che comportamenti irrazionali nella nostra società hanno radici socioeconomiche profonde, ed evolvono diventando un rifiuto del discorso razionale, della scienza, della medicina e dei farmaci, delle innovazioni tecnologiche. Si preferisce rifugiarsi in discorsi complottistici di una qualche non ben definita entità (i cosiddetti poteri forti, Soros, Gates etc.).

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E così per il caldo e i cambiamenti climatici. Non bastano i dati scientifici tutti concordi, purtroppo (e anche quelli soggettivi) che ci dicono che le temperature altissime stanno diventando sempre più comuni, non bastano le alluvioni, la grandine, le trombe d’aria, gli iincendi che si associano al caldo violento, non bastano i dati impietosi di Nature Medicine secondo cui lo scorso anno in Italia sono morte per il calore oltre 18.000 persone, e 61.000 persone In Europa. Non bastano le grandi perdite economiche (nell’agricoltura, nell’industria, nel turismo) per la siccità o per le alluvioni per farli riflettere. E allora cosa pensare? Ci dev’essere qualcosa di molto profondo perché adesso qualcuno ignori tutti questi problemi. E se non capiamo quali sono le ragioni profonde, non possiamo neanche affrontarle.

Ipotesi intorno alla psicopatologia del negazionista climatico

Non so se il negazionismo a oltranza sia classificabile come una malattia mentale in sé, anche se si possono osservare modelli di pensiero e comportamento in qualche modo problematici dal punto di vista della salute mentale e che comunque hanno un impatto sull’azione collettiva per affrontare il cambiamento climatico. Quindi, un negazionista climatico è una persona che nega o mette in dubbio il cambiamento climatico causato dall’attività umana, nonostante le prove scientifiche schiaccianti che dimostrano il contrario. E, di conseguenza, respinge la necessità di adottare misure urgenti per affrontare i cambiamenti climatici. La negazione del cambiamento climatico può essere influenzata da una serie di fattori, vediamone alcuni che, a mio parere, ne fanno parte.

Negazione cognitiva

Il fatto che i negazionisti del clima rifiutino o minimizzino le schiaccianti prove scientifiche sul cambiamento climatico potrebbe essere correlato a meccanismi di difesa psicologica, come la negazione e la minimizzazione, che consentono loro di evitare di affrontare la scomoda realtà di un problema globale (diciamo, la “politica dello struzzo”, anche se non è mai stato detto cosa succede allo struzzo quando tira la testa fuori della sabbia ed è costretto a guardare il mondo che ha intorno). Se una persona è cosciente della situazione dell’ambiente, è difficile non cedere a sentimenti di disperazione, e quindi è meglio negare o ignorare.

Distorsioni/dissonanze cognitive

I negazionisti possono mostrare pregiudizi cognitivi, come una “polarizzazione” di conferma, che li porta a cercare e accettare informazioni che supportano le loro convinzioni preesistenti rifiutando o sminuendo le informazioni contrarie. Oppure possono sperimentare una dissonanza cognitiva di fronte a informazioni che contraddicono le loro convinzioni, con conseguenti ansia o disagio, che possono portare a un rifiuto ancora più forte delle informazioni scomode.

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Motivazioni politiche e ideologiche

Spesso la negazione del cambiamento climatico è motivata da convinzioni politiche o ideologiche, che quindi portano a una resistenza ostinata ad accettare la realtà del cambiamento climatico, poiché riconoscerlo potrebbe entrare in conflitto con i propri valori o affiliazioni politiche. Per questo motivo, si rigettano anche tutti gli avvertimenti che arrivano dagli ambientalisti, dai giovani che sanno che la loro vita è in gioco, anzi ogni sforzo viene applicato a combatterli, anche penalmente, e non affrontare il problema climatico (la sindrome del dito e della luna). Credo che questo sia uno degli ostacoli più rilevanti, perché per un’ideologia si è disposti a morire.

Individualismo estremo

Alcuni negazionisti del clima hanno una visione che si concentra sui propri interessi a breve termine piuttosto che considerare il benessere a lungo termine delle generazioni future (e anche il proprio). Questo atteggiamento è una variante della “politica dello struzzo”, perché significa che non si riesce ad alzare lo sguardo e credere che il cambiamento climatico possa condizionare pesantemente non solo la vita in genere sul pianeta, ma anche la propria vita, negli anni che ad ognuno restano da vivere, così come quella dei propri figli e nipoti (sindrome de “è meglio un uovo oggi e la fame domani”).

Comportamento di evitamento

I negazionisti del clima possono evitare di adottare misure per ridurre i propri consumi o partecipare agli sforzi di mitigazione del cambiamento climatico (sindrome del “non mi riguarda, ci pensi qualcun altro”).

Il negazionista distratto, la maggioranza di tutti noi

Ovviamente, non tutti i negazionisti del cambiamento climatico mostrano tutti questi tratti, in quanto esiste uno spettro di caratteristiche. Proprio per questo, mi sembra anche giusto citare una figura estremamente diffusa: il negazionista distratto, o il cripto negazionista, la maggioranza di tutti noi. Anche senza essere negazionisti espliciti, ognuno di noi lo è di fatto quando usiamo troppo l’auto, teniamo l’aria condizionata troppo fredda, non abbiamo comportamenti sobri rispetto all’alimentazione, ai consumi, in generale all’utilizzo delle risorse del pianeta.

E allora, la domanda classica: “Che fare?”

Cambiare il comportamento e le convinzioni di un negazionista del clima è molto impegnativo, poiché è radicato in fattori emotivi, cognitivi e sociali. Non è affatto facile, e richiede una elevata dose di fatica che sarebbe forse bene dedicare ad affrontare i problemi climatici, tramite azioni concrete. Ma se vogliamo tentare, allora proviamo a farlo bene.

Come contrastare il negazionismo

Innanzitutto, è difficile far cambiare idea ad un negazionista sulla base di un confronto diretto, che spesso ne rafforza la resistenza. Può essere invece utile cercare un terreno comune e impostare una comunicazione basata sull’empatia, in cui invece di affrontare direttamente il negatore, si cerca di comprendere le sue preoccupazioni e paure. Comunicare con empatia può aiutare a stabilire le basi per un dialogo costruttivo. È sicuramente una fatica bestia, e si può fare finché abbiamo le forze per farlo, altrimenti meglio lasciarli stare, e andare avanti. In ogni caso, secondo me altre strategie utili per favorire un cambiamento di atteggiamento potrebbero essere:

Basarsi sull’evidenza scientifica

Possiamo offrire informazioni supportate dalla comunità scientifica sul cambiamento climatico e sui suoi impatti, e utilizzando fonti affidabili e una comunicazione chiara per presentare i fatti in modo accessibile. Si può incoraggiare l’autoriflessione, ponendo domande aperte che incoraggino il negazionista a riflettere sulle proprie convinzioni e sul motivo per cui le sostiene. Questo può valere verso chi è poco informato, ma se ci troviamo davanti uno struzzo o un ideologista, è fatica sprecata.

Mostrare che cambiamenti, magari piccoli e locali, sono possibili

Invece di concentrarsi esclusivamente sui problemi, è utile presentare soluzioni e azioni concrete che le persone possono intraprendere per contribuire al cambiamento. Avere esempi locali positivi può aiutare ad agire e a ridurre i sentimenti di disperazione, che vengono quando si guarda al mondo che ci circonda. È questo il motto di Legambiente “Pensare globalmente, Agire localmente”: accanto alla riflessione teorica, vanno portate avanti azioni locali concrete.

Evidenziare i valori condivisi

Puntare sui valori in comune correlati alla protezione ambientale, alla conservazione e alla responsabilità intergenerazionale. Si possono coinvolgere leader e modelli di ruolo, personaggi pubblici o modelli di comportamento (avere un influencer che ci supporta non guasterebbe!!!) che sostengono l’azione contro il cambiamento climatico poiché le persone sono spesso influenzate da figure di cui si fidano.

Riflessione di metodo

È bene comunicare in piccoli gruppi: il cambiamento di atteggiamento è più probabile nelle conversazioni individuali o in piccoli gruppi in cui le persone possono sentirsi più a proprio agio nell’esprimere le proprie opinioni e nel porre domande. Certamente il cambiamento di atteggiamento non avviene dall’oggi al domani (Paolo sulla via di Damasco) e normalmente è un processo graduale, per cui manteniamo la pazienza concentrandoci sulla costruzione di una relazione di fiducia. In conclusione, però, va bene sforzarsi ma è inutile insistere a buttare le perle ai porci.

Lavorare sulle nostre personali incoerenze

E alla fine, cosa molto importante, occorrerà modificare i nostri comportamenti e le nostre incurie da negazionisti inconsapevoli. Visto che probabilmente siamo la maggioranza, se riusciamo a cominciare a modificare anche in poco i nostri comportamenti, possiamo complessivamente ottenere risultati rilevanti. Ad esempio, per quale motivo in molte città italiane le strade sono pulite perché i rifiuti non sono buttati per strada e a Roma no? Sono i piccoli comportamenti individuali, sia nostri o che cerchiamo di indurre anche negli altri, che producono grossi risultati. Lascio in sospeso la domanda e le possibili risposte.

Tommaso D’Alessio

15/9/2023 https://www.sapereambiente.it/

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