Ex Ilva: mentre discutono di come tenerla in vita, nel quartiere è record di inquinanti

In queste ore praticamente tutti i quotidiani nazionali sono tornati a parlare dell’ex ILVA, l’acciaieria di Taranto tristemente nota per il suo devastante impatto sulla salute pubblica della città pugliese. Al centro dell’attenzione mediatica, tuttavia, vi sono esclusivamente le sorti dell’azienda, la quale rischia nuovamente di chiudere i battenti. Di recente è infatti saltato l’accordo tra i soci finalizzato ad aumentare il capitale e ripianare i debiti di Acciaierie d’Italia, la società che ha preso le redini dell’allora ILVA. Allo stato attuale, la multinazionale franco-indiana ArcelorMittal ne possiede il 68%, ma ha deciso che non vuole più investirci, mentre la parte restante è dello Stato, che si era invece detto disponibile a metterci altri soldi alla condizione di diventarne socio di maggioranza. Che l’ex ILVA sia in crisi da tempo non è però cosa nuova. Basti pensare che gran parte dei suoi impianti ha dovuto progressivamente interrompere le proprie attività a causa di gravi problemi di liquidità.

Secondo delle stime, per riportare la produzione a regime e “salvare” i posti di lavoro servirebbe oltre un miliardo di euro. Ma la domanda che nessuno sembra porsi è: ne vale veramente la pena? Un interrogativo che dovrebbe sorgere spontaneo specie a chi è ai vertici e considerando i danni sanitari e, quindi, economici, derivanti dal solo impianto tarantino. Tra l’altro, nonostante il significativo calo produttivo dell’acciaieria, l’inquinamento nelle zone circostanti non sembra subire battute d’arresto. Anzi. I dati dell’ARPA Puglia, riferiti all’intero 2023, evidenziano persino un aumento delle concentrazioni inquinanti rispetto sia al 2022 che al 2021. Ad allarmare, in particolare, vi sono i livelli di contaminanti atmosferici nel quartiere Tamburi, nella centralina di Via Orsini, quella più vicina all’ex ILVA. Nel 2023, rispetto al 2022, il benzene è aumentato del 14,93%, mentre le polveri sottili PM10, superando il limite di legge di 40 mcg/m3, sono invece cresciute del 22,09%. Entrambi gli inquinanti, dal 2021 al 2022, erano già aumentati del 15,35% e del 16,69%, rispettivamente. «Neanche una parola sulla tutela dell’ambiente e della salute a Taranto nelle parole dei ministri del governo Meloni – hanno commentato il co-portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli, e la rappresentante pugliese della Direzione Nazionale di Europa Verde, Fulvia Gravame – eppure, i dati mostrano inequivocabilmente come l’inquinamento atmosferico da PM10 e benzene, sostanze cancerogene secondo lo IARC, sia in preoccupante aumento negli ultimi anni, ed è inquietante che tali incrementi avvengano mentre gli impianti producono al minimo. Il governo – hanno aggiunto – si concentra solo su ulteriori investimenti negli impianti, senza specificare per fare cosa e trascurando l’attuazione dei principi costituzionali relativi all’ambiente e alla salute».

L’impianto, quindi, sta continuando ad inquinare e nessuno sembra preoccuparsene, quantomeno in Italia. La Corte europea dei Diritti dell’uomo, nel 2022, ha invece pronunciato quattro condanne nei confronti dello Stato italiano proprio per le emissioni dell’ex ILVA, sottolineando la loro pericolosità per la salute dei cittadini e la mancata tutela da parte delle istituzioni. Le sentenze riguardano i ricorsi presentati tra il 2016 e il 2019 da diversi dipendenti dell’impianto siderurgico e da centinaia di abitanti di Taranto (e dintorni) che, di fatto, confermano la condanna del 2019, quando la stessa Corte dichiarò lo stato italiano colpevole di aver violato gli articoli 8 e 13 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e di non aver protetto i cittadini dall’inquinamento proveniente dell’impianto. Ormai è un dato di fatto che a Taranto vi sia una mortalità in eccesso rispetto alla media nazionale soprattutto a causa dell’insorgenza di varie forme di cancro. Lo ha confermato anche il quinto rapporto dello Studio Epidemiologico Sentieri, il quale ha sottolineato un aumento dei casi di tumore al polmone, del mesotelioma della pleura e di diverse malattie dell’apparato respiratorio: tutte patologie legate all’inquinamento atmosferico prodotto dall’insediamento siderurgico. Nel 2021 la magistratura ha poi per la prima volta stabilito il nesso diretto tra l’inquinamento ambientale prodotto dalla fabbrica e la morte di un cittadino di Taranto, ovvero il piccolo Lorenzo Zanatta, avvenuta nel 2014. Insomma, le evidenze che la produzione di acciaio produca danni evidenti sulla salute, non solo dei lavoratori, ma della popolazione tarantina in generale, sono provate. Ciononostante, il Governo è determinato a voler salvare la produzione ad ogni costo.

Simone Valeri

9/1/2024 https://www.lindipendente.online/

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