Fascette allo Stato di diritto e profilazione criminale
di Fulvio Vassallo Paleologo
con ultimo aggiornamento a domenica 13 aprile 2025
1. Secondo la normativa europea (Decisione Ce 573/2004), come ribadisce il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, ed anche come rilevato in più occasioni dal Garante nazionale per i detenuti, nei trasferimenti di persone private della libertà personale in vista del rimpatrio, la coercizione può essere esercitata nei confronti dei rimpatriandi, che rifiutano o si oppongono all’allontanamento, entro limiti precisi. Secondo le linee guida di Frontex il rischio di fuga non puo essere meramente “ipotetico”, ma “serio ed immediato”. In diverse occasioni e’ stato criticato il ricorso all’uso generalizzato e prolungato delle fascette ai polsi, modalità di contenzione che attentano alla dignità della persona e possono tradursi in trattamenti inumani o degradanti. L’imposizione di fascette ai polsi accresce e non diminuisce il rischio di atti di autolesionismo.
Tutte le misure coercitive devono essere proporzionate e non eccedere un uso ragionevole della forza. Le stesse misure devono essere applicate sulla base di una valtazione individuale e solo quando necessario, non per tutto il tempo del trasferimento. Queste regole, tuttavia, sono violate in modo eclatante con i trasferimenti forzati in Albania, “in maniera sistematica, senza valutazione della necessità e proporzionalità della misura”, come verificato anche in passato, dalla ricerca “Rimpatri forzati e pratiche di monitoraggio“, pubblicata dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari assieme all’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale della Puglia.
Il vero motivo delle fascette ai polsi dei migranti “espellendi” trasferiti ieri dai CPR italiani, e quindi dal CPR di Brindisi (Restinco) in Albania lo ha fornito il ministro dell’interno Piantedosi, rispondendo alla domanda di un giornalista nella conferenza stampa a margine del Vertice dei ministri dell’interno MED 5, di Italia, Malta, Spagna, Grecia e Cipro, concluso oggi a Napoli. Il titolare del Viminale ha affermato che si tratta di individui considerati pericolosi. “Delle 40 persone trasportate in Albania, ci sono ben cinque casi di condanne per violenza sessuale, un caso di tentato omicidio, avevano precedenti condanne per armi, reati contro la proprietà, furto, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali”, ha detto Piantedosi, aggiungendo che “C’è un ampio campionario di precedenti, che ci permette di identificare la caratterizzazione delle persone giudicate pericolose e, come tali, soggette a detenzione, come previsto dalla nostra legge”. Se le persone trasferite in Albania fossero davvero responsabili di reati tanto gravi, o presentassero profili di pericolosità tanto elevati, avrebbero dovuto essere ristretti in un istituto di pena, perchè il trattenimento amministrativo è finalizzato all’allontanamento forzato dal territorio, non alla sanzione o all’isolamento di soggetti pregiudicati o particolarmente pericolosi. Per non parlare della funzione rieducativa della pena, principio costituzionale (art.27) che ormai, non solo per gli stranieri, è stato ridotto a carta straccia. Dopo l’accesso di una parlamentare europea è emerso che numerose persone trattenute nel centro di Gjader sono incensurate, con vincoli familiari in Italia, e che sono rimaste legate con le fascette ai polsi per diverse ore, in qualche caso dal momento della partenza dal CPR italiano fino all’arrivo in Albania.
2. L’accertamento della pericolosità sociale dello straniero e l’eventuale espulsione sono regolamentati dall’art. 13 del Testo unico sull’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286). Il prefetto può disporre l’espulsione dello straniero soltanto se appartiene a taluna delle categorie indicate negli articoli 1, 4 e 16, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia, e dunque soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi, che vivono con i proventi di attività delittuose, o dediti alla commissione di reati, o che mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni). Se l’autorità amministrativa (prefetto) ha il potere di dichiarare la pericolosità sociale dello straniero, questi può fare ricorso al giudice di pace, fino alla Corte di Cassazione, per dimostrare che non sussistevano motivi di pericolosità sociale idonei a consentire la sua espulsione. La pericolosità della persona dunque può essere un presupposto per l’adozione di una misura espulsiva e del conseguente trattenimento amministrativo, ma non può costituire il presupposto per il trasferimento da un centro di detenzione ad un altro CPR, soprattutto se ubicato nel territorio di uno Stato terzo, quasi come se si trattasse di un CPR “di massima sicurezza”. Per la giurisprudenza, la valutazione della pericolosità sociale non può essere direttamente collegata alla condizione di straniero irregolare, e soprattutto nel caso di reati in materia di stupefacenti di più lieve entità va accertata caso per caso, senza automatismi.
Secondo l’art.14 comma 1 del Testo Unico sull’immigrazione 286/98, “Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”. A tal fine effettua richiesta di assegnazione del posto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, di cui all’articolo 35 della legge 30 luglio 2002, n. 189, che può disporre anche il trasferimento dello straniero in altro centro”.
In base all’ art.14.comma 1.1 del citato Testo unico sull’immigrazione, “Il trattenimento dello straniero di cui non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione o il respingimento alla frontiera è disposto con priorità per coloro che siano considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica o che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui all’articolo 4, comma 3, terzo periodo, e all’articolo 5, comma 5-bis, nonché per coloro che siano cittadini di Paesi terzi con i quali sono vigenti accordi di cooperazione o altre intese in materia di rimpatrio, o che provengano da essi”.
L’art.15 del Testo unico sull’immigrazione n.286/98 prevede l’espulsione a titolo di misura di sicurezza fornendo disposizioni per l’esecuzione dell’espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, sempre che risulti socialmente pericoloso. L’art.16 dello stesso Testo unico prevede l‘espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione in casi tassativamente indicati dalla legge, in generale, nel caso di pene detentive inferiori a due anni. In questi casi però, “quando non è possibile effettuare il rimpatrio dello straniero per cause di forza maggiore, l’autorità giudiziaria dispone il ripristino dello stato di detenzione per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento di espulsione”.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 78/2007 ha affermato che“in realtà è proprio la condizione di persona soggetta all’esecuzione della pena che abilita ex lege – ed anzi costringe – lo straniero a permanere nel territorio dello Stato; e ciò, tanto se l’esecuzione abbia luogo nella forma intramuraria, quanto se abbia luogo, invece – a seguito della eventuale concessione di misure alternative – in forma extramuraria. In altre parole, nel momento stesso in cui prevede che l’esecuzione della pena “prevalga”, sospendendone l’attuazione, sulla espulsione cui il condannato extracomunitario sarebbe soggetto, il legislatore adotta una soluzione che implica l’accettazione della perdurante presenza dello straniero nel territorio nazionale durante il tempo di espiazione della pena stessa”.
La pericolosità sociale degli immigrati sottoposti alla procedura di allontanamento forzato dal territorio dello Stato non può essere rimessa ad una mera valutazione discrezionale dell’autorità di polizia, o dei vertici del Viminale, che dispongono in base a questo criterio il trasferimento da un centro di detenzione amministrativa ad un’altro, addirittura in un paese terzo, ma deve essere oggetto di un provvedimento individuale e motivato che consenta all’interessato l’esercizio dei diritti di difesa e di ricorso giurisdizionale. La valutazione di pericolosità sociale non può essere desunta esclusivamente da una sentenza di condanna, ad esempio se nei confronti di quello stesso detenuto il magistrato di sorveglianza, in prossimità del fine pena, abbia dichiarato cessata la pericolosità sociale. Per quanto risulta alla delegazione parlamentare che ha avuto accesso al centro di Gjader senza ottenere dalle autorità di polizia neppure una lista delle persone trattenute, sembra che, oltre agli incensurati, fossero presenti persone che avevano finito di scontare una pena, che non si era comunque riusciti a rimpatriare prima. Dunque l’ulteriore trattenimento amministrativo, prima in un CPR italiano, e poi nel CPR di Gjader, si configura come una sorta di “doppia pena”, di durata indeterminata, soprattutto qualora risultasse già accertata la impossibilità del rimpatrio per la mancata collaborazione delle autorità del paese di origine.
3. Le dichiarazioni del ministro Piantedosi sulla “pericolosità” degli immigrati trasferiti nel CPR di Gjader in Albania sono di una gravità senza precedenti, perchè l’accertamento della pericolosità e di eventuali condanne penali, non si conosce quali e se già definitive, non costituisce automaticamente presupposto legale per il trattenimento in un centro di detenzione per i rimpatri, e tantomeno giustificano trasferimenti che dovrebbero essere adottati in vista dell’effettivo rimpatrio, e non in base ad una presunta pericolosità delle persone detinatarie di provvedimenti di allontanamento forzato. In base all’art.19 del T.U 286/98., uno straniero irregolarmente soggiornante è inespellibile nel caso in cui corra il rischio di subire persecuzioni, trattamenti disumani o degradanti, nel proprio paese di origine, o nel paese in cui dovrebbe essere inviato a seguito del provvedimento di espulsione. Inoltre anche una persona che abbia ricevuto una condanna penale non perde il diritto a chiedere asilo, e comunque non può essere soggetto a prassi di contenzione sproporzionate, come il ricorso prolungato alle fascette ai polsi, a condizioni di trattenimento amministrativo discriminatorie, o a misure di sicurezza che non siano ricorribili davanti all’autorità giudiziaria. Secondo l’art.2 del Testo Unico in materia di immigrazione n.286/98, “Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.” Norma che vale anche nel caso di persone con precedenti penali o ritenute “socialmente pericolose”.
4. Il Decreto .Legge 37/2025 introduce importanti modifiche alla Legge 21 febbraio 2024, n. 14, relativa al Protocollo d’Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania, e al Decreto Legislativo. 286/1998 (c.d. Testo Unico sull’Immigrazione) in materia di esecuzione dell’espulsione. Si prevede adesso espressamente che nel centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Gjader possano essere trasferiti, non soltanto naufraghi soccorsi in acque internazionali da navi militari italiane, che non versino in una condizione di vulnerabilità, uomini e maggiorenni, e che provengano da un paese di origine sicuro, ma anche immigrati presenti in Italia, destinatari di un provvedimento di allontanamento forzato, e già trattenuti in un CPR dopo una convalida giurisdizionale. E’ però evidente la soggezione di queste persone alla concorrente giurisdizione dello Stato albanese, giurisdizone, espressamente riconosciuta dalla Corte costituzionale albanese che ha escluso qualsiasi cessione di sovranità sul territorio.
Secondo l’art.14 comma 5 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, come modificato dal Decreto Legge. 145/2024, convertito con modificazioni dalla L.egge 9 dicembre 2024, n. 187, e quindi dal Decreto legge 37/2025, ” È fatta salva la facoltà di disporre, in ogni momento, il trasferimento dello straniero in altro centro, ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il citato trasferimento non fa venire meno il titolo del trattenimento adottato e non è richiesta una nuova convalida”. Almeno fino a quando non siano trascorsi i termini previsti per legge per la convalida della proroga del trattenimento. In questo caso, “la motivazione del provvedimento giudiziale di convalida della proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza dei motivi addotti a sostegno della richiesta, nonché la loro congruenza rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio” (Cass. Ord. 13611/2021, Cass. 26177/2016). Il trasferimento forzato verso il centro “per i rimpatri” di Gjader non è evidentemente finalizzato allo scopo di rendere possibile il rimpatrio, perchè, come ammesso anche dal ministero dell’interno, tutte le persone trattenute nel centro ubicato in territorio albanese, nell’ipotesi in cui si renda possibile il rimpatrio nel paese di origine, dovranno esere ricondotte in territorio italiano, dal quale dovrebbero essere successivamente riaccompagnate nel proprio paese. Si può dunque escludere che il trattenimento amministrativo nel centro per i rimpatri ubicato in Albania sia orientato “alla finalità di rendere possibile il rimpatrio”.
Resta da accertare se la modifica unilaterale del Protocollo Italia-Albania per effetto di decreti legge adottati in Italia, possa risultare compatibile con la normativa internazionale sui Trattati (in particolare con l’art.53 della Convenzione di Vienna) e con la Costituzione albanese. Di certo la normativa dell’Unione europea, e in particolare la vigente Direttiva rimpatri 2008/115CE non consentono “rimpatri” con accompagnamento forzato da paesi terzi. E stabiliscono pure che le misure di trattenimento amministrativo andrebbero applicate all’interno del territorio degli Stati membri. I trasferimenti che si sono effettuati in Albania verso il centro di detenzione di Gjader, sotto scorta anche di autorità albanesi, sono per questo equiparabili a vere e proprie deportazioni.
Come ammette adesso il Viminale, i migranti deportati in Albania “Andranno tutti riportati in Italia, da lì niente rimpatri”. “Succede questa trafila di spostamento anche nei passaggi dai Cpr ai luoghi d’imbarco per il rimpatrio per le persone trattenute nei centri italiani, che vanno dal confine con la Slovenia fino a Palermo: non vedo perché appassionino questi trasferimenti dall’Albania che in termini chilometrici è persino più vicina ad alcuni luoghi d’imbarco di tanti altri posti di Cpr in Italia”, ha dichiarato Piantedosi. In un altra dichiarazione il ministro dell’interno ha cercato di motivare diversamente il ricorso alle fascette che tutti hanno visto ai polsi degli immigrati sbarcati in Albania dalla nave Libra, subito dopo ceduta agli albanesi. Per il titolare del Viminale, “Fa parte delle procedure operative che adottano in loro piena autonomia gli operatori, non è da parte mia prendere le distanze, rivendico e condivido. Si tratta di persone che venivano trasferite in una condizione di limitazione della libertà personale anche per effetto di un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Non limitarne la libertà di movimento significava esporre il personale di polizia alla possibilità di dover surrogare con l’azione diretta alle possibili azioni che queste persone potevano mettere in campo. Avremmo dovuto quadruplicare le persone in accompagnamento, ci sarebbe stato bisogno di un’altra nave e di un trasferimento costoso e ci avreste accusato che spendevamo troppi soldi per questo tipo di esercizio”. Non si trattava di una limitazione della liberttà di movimento, o di circolazione, però, ma della libertà personale, in territorio albanese, come le banchine e l’area portuale di Schengjin, realizzata con il concorso, e quindi anche sotto la giurisdizione delle autorità albanesi, che infatti hanno proceduto ad un autonomo fotosegnalamento.
5. Non si tratta soltanto di una questione economica, ma di un evidente abuso della discrezionalità di polizia in assenza di basi legali, se si considera, al di là dell’uso prolungato delle fascette ai polsi, il trasferimento forzato della persona al di fuori del territorio nazionale, in un centro di detenzione che insiste su un territorio ubicato al di fuori dell’Unione europea e dunque sotto la giurisdizione concorrente di uno Stato terzo. In assenza di un provvedimento giurisdizionale si è così realizzata una operazione di allontanamento forzato dal territorio, non verso il paese di origine, ma nel paese terzo, in assenza della convalida giurisdizionale di questa ulteriore misura di accompagnamento forzato, in violazione dell’art.13 della Costituzione, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte Costuzionale, riguardo le misure limitative della libertà personale di stranieri sottoposti a misure di espulsione, con la sentenza n.105 del 2001, secondo cui “il trattenimento dello straniero presso i Centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione”. In base all’art.13 della Costituzione italiana, “ Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Lo straniero trattenuto nei CPR può rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale. Come sarà assicurata questa modalità di reclamo alle persone trasferite nel CPR di Gjader in Albania che, per quanto risulta allo stato attuale, sono state anche private del diritto di corrispondenza telefonica con l’esterno, garantita dalla legge ? E come saranno mantenuti i contatti con i difensori in Italia, anche alla luce dei ridotti margini dei diritti di difesa nelle procedure di convalida per via telematica ?
6. Il difensore di una persona trattenuta in un CPR, dunque anche nel CPR di Gjader in Albania, pure se il rimedio previsto contro l’ordinanza di convalida del trattenimento è il ricorso per cassazione, ha comunque diritto di ricorrere in giudizio in qualsiasi momento, qualora ricorrano motivi di urgenza, ex art. 700 (e 737) codice procedura civile, al fine di ottenere la liberazione del proprio assistito con il riesame della misura di trattenimento amministrativo. Il pregiudizio derivante dal trasferimento in un paese terzo all’esterno dell’Unione europea appare ancora più imminente, trattandosi di persone trattenute in attesa di una espulsione con accompagnamento forzato, che si può verificare anche nel giro di qualche giorno, se non di poche ore, con modalità di totale isolamento che non consentono un effettivo esercizio dei diritti di difesa. L’ eventuale ricorrenza di precedenti penali non esclude che i provvedimenti di allontanamento forzato e di trattenimento amministrativo possano risultare illegittimi.
Appare indubbio che il trasferimento forzato in Albania della persona trattenuta in un CPR in territorio italiano può costituire una “circostanza nuova” rispetto al tratenimento già convalidato, o al trasferimento in un altro CPR ubicato in Italia, in quanto l’accesso ai diritti di difesa, la possibilità di fruire dell’assistenza medica garantita dal Servizio sanitario nazionale, la possibilità di comunicare con l’esterno, e di ricevere visite da faniliari o conviventi eventualmente presenti nel nostro paese, nel centro per i rimpatri di Gjader appaiono fortemente ridimensionate. Anche se apparentemente le “modalità del trattenimento” sono le stesse di quelle riscontrabili nei CPR italiani, comunque non coperte dalla riserva di legge (cioè non espressamente previste da una legge) che sarebbe imposta dall’art. 5 della Convenzione EDU e dall’art.13 della Costituzione italiana.
Secondo la Corte di Cassazione, sui provvedimenti di trattenimento “non può mai formarsi il giudicato, tanto che la ricorribilità per cassazione dei provvedimenti di convalida e di proroga, prevista dall’art. 14, comma 6, T.U.I., si giustifica non già con il carattere decisorio (e dunque di sentenza sostanziale) dei relativi decreti, bensì con la loro natura di “provvedimenti sulla libertà personale”, ricorribili per cassazione in forza della seconda ipotesi di cui all’art. 111, comma 7, Cost.. […] il provvedimento di convalida o proroga del trattenimento, non essendo soggetto al giudicato, è modificabile o revocabile, anche tramite una domanda di riesame del provvedimento di trattenimento presso un centro CIE introdotta con lo strumento del procedimento camerale ex art. 737 cod. proc. civ. (il quale prevede, all’art. 742 cod. proc. civ., la modifica o revoca “in ogni tempo” dei decreti pronunciati in camera di consiglio).” (Corte di cassazione sez. VI civile, 6 ottobre 2022, n. 29152).
Rimane la peculiarità del procedimento di convalida del trattenimento per via telematica rispetto a persone che si trovano in stato di detenzione in un CPR, che si afferma sotto la giurisdizione italiana, ma che risulta ubicato in un paese terzo al di fuori dei confini dell’Unione europea. Desta infine dubbi ancora più consistenti il filtro previsto dalla figura del Direttore del centro di Gjader, che attiva i contatti tra le persone in stato di trattenimento amministrativo ed i difensori d’ufficio o di fiducia. Contatti che senza la sua inziativa, che si può ritenere doverosa, e che deve essere assolutamente tempestiva, a fronte dei termini brevissimi di decadenza, non potrebbero altrimenti essere garantiti. Questioni che potrebbero essere affrontate dalla Corte Costituzionale e dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, sempre che la Commissione europea continui ad avallare questa ulteriore involuzione del Protocollo Italia-Albania, che mette in dubbio l’esercizio effettivo dei diritti di difesa (artt.24 Cost,, 47 Carta Diritti fondamentali UE, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo) con provvedimenti che incidono sulla libertà personale, senza essere sottoposti a una immediata convalida giurisdizionale, che peraltro sarebbe imposta dall’art.13 della Costituzione.
7. In ogni caso la Corte di Giustizia dell’Unione europea potrebbe essere chiamata a pronunciarsi sulla mancata applicazione, nell’ordinamento italiano, di una importante previsione (art.15) contenuta nella Direttiva rimpatri (2008/115/CE) tuttora vigente, secondo cui dovrebbe essere garantito il riesame della misura di trattenimento amministrativo ad istanza di parte, disposizione che, anche in assenza di una specifica previsione nell’ordinamento nazionale, potrebbe peraltro risultare direttamente applicabile perché è sufficientemente chiara e precisa. La stessa Direttiva (art.15.4) precisa tra l’altro che “Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”. Altra norma del diritto dell’Unione europea che non è stata trasposta nell’ordinamento italiano, ma che risulta tanto chiara e precisa che può anche essere oggetto di applicazione diretta.
Secondo la Corte di Cassazione (Sez. 1, Ordinanza n. 24721 del 14/09/2021), ” In tema di immigrazione, è sempre consentita la domanda di riesame del provvedimento di convalida o di proroga del trattenimento dello straniero presso un Centro di permanenza per i rimpatri (CPR), in conformità all’art. 15, par. 4, direttiva 2008/115/CE (direttamente applicabile nel nostro ordinamento, quale disposizione “self-executing”), senza che abbia rilievo il precedente rigetto di analoga istanza o la mancata impugnazione del provvedimento di convalida o di proroga, non sussistendo in materia il limite del “ne bis in idem”, poiché le misure in questione hanno natura cautelare e il sindacato giurisdizionale su di esse non è idoneo alla formazione del giudicato, tant’è che le relative statuizioni sono ricorribili per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., non per la natura decisoria delle stesse ma perché si tratta di atti che incidono sulla libertà personale”.
L’intero impianto della Direttiva 2008/115/Ce contiene norme che possono essere applicate soltanto a persone che si trovano in territorio di uno dei paesi membri o che vengono accompagnati da questi paesi negli Stati di origine. Ma non fornisce alcuna base legale al trasferimento forzato dei migranti dai CPR italiani in Albania, atteso che si tratta di misure coercitive destinate all’attuazione di provvedimenti di rimpatrio, che possono essere effettivamente eseguiti soltanto dal territorio italiano. Si può dunque concludere che la detenzione amministrativa nel centro per i rimpatri di Gjader non è finalizzata all’esecuzione dell’ accompagnamento forzato nel paese di origine, che comunque dovrà avvenire con partenza dal territorio italiano, ma ad una mera esigenza punitiva di dissuasione dell’ingresso e del soggiorno irregolare, e forse al decongestionamento dei centri di detenzione italiani. Che comunque, nel momento attuale, non sono certo “congestionati”, pur tenendo conto della parziale indisponibilità di alcune strutture per lavori di manutenzione straordinaria e dei continui rinvii dei piani governativi per l’apertura di nuovi CPR in territorio italiano.
12/4/2025 https://www.a-dif.org
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