Genocidio a Gaza, Israele alla sbarra

Il fattore politico risulterà tuttavia ancora una volta decisivo, visto soprattutto il sostegno incondizionato degli Stati Uniti a Israele. Il governo di Netanyahu si è a sua volta già attivato per esercitare pressioni su molti paesi, così da ottenere dichiarazioni di condanna nei confronti della causa avanzata dal Sudafrica. La testata on-line americana Axios ha citato in esclusiva un “cablo” diramato dal ministero degli Esteri di Tel Aviv che invita i propri diplomatici a lavorare per orchestrare una campagna internazionale che convinca la Corte di Giustizia a “non emanare un’ingiunzione che imponga a Israele di sospendere la campagna militare nella striscia di Gaza”.

Il documento minaccia ripercussioni sul fronte dei rapporti bilaterali e multilaterali tra i vari paesi che intrattengono relazioni con lo stato ebraico, traducendosi in una vera e propria campagna intimidatoria anche contro i giudici del tribunale. Secondo l’ex direttore di Human Rights Watch, Kenneth Roth, Netanyahu spera di convincere i giudici a basare la loro decisione su elementi di natura politica piuttosto che sui fatti. Così facendo, Israele ammette indirettamente sia le crescenti preoccupazioni per le conseguenze di una sentenza sfavorevole sia la sostanziale indifendibilità dalle accuse di genocidio, per cui si rende appunto necessaria una campagna fatta di pressioni e minacce, volta a raccogliere consensi tra quanti più governi possibili.

La denuncia delle azioni israeliane è legata agli obblighi di Israele in quanto paese firmatario della Convenzione sul Genocidio del 1948, definito come un atto commesso con l’intenzione di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Per il governo del Sudafrica, le operazioni israeliane sono di natura “genocida”, poiché hanno appunto l’obiettivo di distruggere una parte sostanziale della popolazione palestinese a Gaza. Essendo il genocidio tuttora in corso, Pretoria chiede provvedimenti urgenti, tra cui l’ordine – comunque difficile da implementare – di interrompere immediatamente l’aggressione contro la striscia, in attesa del completamento della causa legale in Olanda.

Un’iniziativa come quella presa dal Sudafrica a fine dicembre era stata chiesta a gran voce da attivisti e commentatori indipendenti. Svariati leader di governo avevano definito “genocidio” quello in corso a Gaza, ma nessun paese aveva osato finora presentare una denuncia formale presso la Corte Internazionale di Giustizia, con ogni probabilità per via dei timori legati alle conseguenze politiche ed economiche che ne sarebbero potute derivare.

Il Sudafrica ha alla fine deciso di muoversi in risposta alle pressioni internazionali, valutando forse che la situazione umanitaria a Gaza è a tal punto deteriorata da rendere più vantaggiosa una presa di posizione contro Israele, nonché gli USA e l’Occidente in genere, alla luce del sostegno globale per la causa palestinese. La storia recente sudafricana ha inoltre senza dubbio contribuito a convincere il governo di Pretoria a rompere gli indugi.

Dal punto di vista legale, molti autorevoli commentatori hanno giudicato estremamente solida l’istanza presentata dal Sudafrica. Il politologo americano John Mearsheimer ha rilevato ad esempio come il documento di 84 pagine consegnato nelle mani dei 15 giudici del tribunale si muova sostanzialmente lungo tre direttive per costruire un quadro accusatorio più che convincente. In primo luogo, l’istanza descrive nel dettaglio gli orrori causati dalle forze armate sioniste, mentre in parallelo vengono riportati commenti, interviste e dichiarazioni di molte personalità israeliane che chiariscono senza mezzi termini gli intenti genocidi nei confronti dei palestinesi di Gaza.

Infine, il governo sudafricano colloca la vicenda odierna in un quadro storico più ampio che conferma come la strage in corso sia il culmine di una strategia basata sulla pulizia etnica dei palestinesi iniziata dopo il secondo conflitto mondiale. In breve, spiega Mearsheimer, le atrocità commesse da “Israele a Gaza a partire dal 7 ottobre [2023] sono solo una forma più estrema di quanto fatto per lungo tempo prima” di questa data.

Nel dettaglio, il governo del Sudafrica suddivide in sette categorie i crimini israeliani che delineano uno scenario identificabile in un atto di genocidio premeditato. La prima è il numero enorme di vittime, che, sia pure quasi certamente parziale, supera ad oggi le 22 mila unita, di cui almeno il 70% sono donne e bambini. Vi è poi il trattamento disumano dei civili, inclusi i minori, arrestati, sottoposti a torture e rinchiusi arbitrariamente spesso in località sconosciute.

Seguono inoltre le false promesse di sicurezza, con bombardamenti sulle aree della striscia verso cui ai palestinesi era stato consigliato di recarsi in seguito alle operazioni militari; la privazione dell’accesso a cibo e acqua, spingendo la popolazione di Gaza sull’orlo della carestia; la distruzione deliberata di strutture sanitarie, idriche ed energetiche; la demolizione di infrastrutture civili (abitazioni, università, centri culturali), così da rendere la striscia virtualmente invivibile per i suoi abitanti, e la già ricordata raccolta delle espressioni di intenti dei leader israeliani che confermano come lo stato ebraico persegua in maniera deliberata il genocidio della popolazione palestinese.

Per avere un’idea dell’inferno creato da Israele a Gaza è sufficiente citare alcuni dati. Secondo la stima di un’organizzazione umanitaria, a partire dal 7 ottobre scorso, circa il 4% della popolazione della striscia è stata uccisa, ferita oppure figura tra i dispersi. Il 90% dei 2,3 milioni di residenti a Gaza è stato invece costretto ad abbandonare la propria abitazione a causa dell’aggressione israeliana.

Alcuni paesi musulmani hanno espresso appoggio alla causa intentata dal Sudafrica, come Turchia, Malaysia e Giordania. Gli Stati Uniti si sono al contrario affrettati a manifestare la loro contrarietà. Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha definito l’istanza di Pretoria “senza merito, controproducente e priva di fondamento”. La fermissima difesa di Israele da parte di Washington è arrivata nonostante il governo americano abbia affermato di non avere ancora stabilito formalmente la conformità della condotta militare sionista al diritto internazionale.

La posizione americana non dipende solo dall’alleanza di ferro degli Stati Uniti con Israele, ma anche dal fatto che l’amministrazione Biden è a tutti gli effetti complice del genocidio in corso. Anzi, il massacro dei palestinesi è reso possibile interamente dal sostegno politico e dalle forniture di armi ed equipaggiamenti militari garantiti dagli USA a Israele. La Casa Bianca ha anche inviato in due occasioni materiale bellico a Tel Aviv senza ottenere l’approvazione del Congresso. La complicità in atti di genocidio, va ricordato, è ugualmente punibile secondo la Convenzione del 1948.

La strategia difensiva di Israele dovrebbe fondarsi sulla negazione delle intenzioni genocide attribuite ai leader politici e militari di questo paese. Soprattutto, il governo di Netanyahu spera che a prevalere siano le implicazioni di carattere politico e, infatti, proprio questi fattori potrebbero essere decisivi in base alla provenienza dei giudici chiamati a esprimersi e al livello delle pressioni esercitate su di essi e sui loro paesi di origine da parte di USA e Israele. Per la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica internazionale, in ogni caso, l’orrore quotidiano imposto ai palestinesi di Gaza dal regime sionista da tre mesi a questa parte ha già superato da tempo la soglia per essere considerato un genocidio a tutti gli effetti.

Mario Lombardo

8/1/2024 https://www.altrenotizie.org/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *