L’anticomunismo e i danni del capitalismo
Parte I
Il Ministro all’Istruzione e al Merito (sic) Valditara, in occasione della ricorrenza della caduta del Muro di Berlino, ha inviato una lettera agli studenti piena di invettive contro il comunismo. Per il Ministro Valditara un vero e proprio “incubo” che ha significato “annientamento delle libertà, persecuzioni, povertà e morte”. Di contro il Ministro parla delle democrazie liberali come “unico ordine politico e sociale” in grado di dare “garanzie” di “umanità, giustizia, libertà, verità”.
Una menzogna detta da chi sa di mentire perché fortunatamente il mondo è vario e diverso ed ha creato ed ideato molti sistemi politici molto più interessanti di quelli occidentali come le democrazie socialiste di base di Cuba e delle esperienza zapatiste in Chiapas che negli anni, nonostante le contraddizioni, sono riusciti a coniugare le conquiste sociali con quelle civili: nelle liberaldemocrazie occidentali le contraddizioni stanno proprio nel non riuscire ad avanzare in entrambi, sacrificandoli sull’altare degli interessi elettorali, dei rapporti di forza, del mercato capitalista.
Tralasciando il tema della verità, che l’Occidente ha sempre voluto avere soprattutto nei confronti delle altre culture a livello filosofico, religioso e culturale, oggi in Occidente la post-verità è il paradigma d’informazione e disinformazione, di confusione dell’opinione pubblica, fino a diventare un ottimo strumento di destabilizzazione.
Per quanto riguarda l’umanità, non è stato sicuramente il crollo del Muro di Berlino a farla trionfare. Dal 1989, per ogni chilometro del Muro di Berlino sono sorti più di 130 km di barriere per separare noi dagli altri. Muri forzati, fuori dal tempo, militarizzati e quindi da difendere che si dividono in muri fisici, come il Muro Cisgiordano tra israeliani e palestinesi, il Muro del Sinai tra Israele ed Egitto, il muro di Tijuana tra Messico e Stati Uniti, il Peace Lines in Irlanda tra la Belfast cattolica e la Belfast protestante, il Muro di Riga che separa Russia e Lettonia e il Muro tra Ungheria e Serbia; muri giuridici, di cui un esempio è il dramma della Rotta Balcanica; e infine i muri culturali che possono essere spiegati solo guardando ai barconi nel Mediterraneo. Questi ultimi sono la sintesi di tutti gli altri, dal momento che nascono dall’idea di sentirsi troppo lontani per interessarsi a quello che succede. Più che un muro sembra essere definibile come terra nullius, un luogo su cui non abbiamo responsabilità, un luogo in cui la lontananza incrementa la nostra indifferenza verso l’altro, mentre la vicinanza la assopisce.
Questa sarebbe la conquista del civile mondo liberale occidentale? Come ha dichiarato Ezio Locatelli, della segreteria nazionale di PRC: “i cosiddetti liberaldemocratici si sono dati subito da fare per costruirne molti altri. Finita una guerra fredda ne hanno inaugurate o provocate molte altre, cento volte più disastrose. Lo hanno fatto tra mille inganni. Per quanto riguarda i valori decantati di giustizia e umanità bisognerebbe sentire le decine di milioni di poveri, di nuovi schiavi salariati che sono in Italia e in Europa, bisognerebbe protendere l’orecchio alle grida di migliaia di persone lasciare morire nel mar Mediterraneo o rinchiuse nei lager finanziati dall’Italia e dall’Europa.”
Veniamo dunque alle presunte garanzie di “libertà e giustizia” che sarebbe trionfate con il blocco occidentale capitalista. La libertà non è mai stata intesa come libertà dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di un popolo dall’oppressore, ma bensi’ come “libertà concessa”, la “libertà di consumare” e sentirci liberi nel proprio consumo, salvo poi guardare il portafoglio, la disponibilità economica e l’impatto di quel consumo per pochi. La “libertà di fare” ininterrottamente senza limiti a discapito anche di altre popolazioni del mondo perché l’uomo occidentale può tutto: brevettabilità del cibo, OGM, pesticidi, devastazione ambientale, sviluppo ipertecnologico e produzione di conseguenti nuovi bisogni che legittimano da un lato l’opulenza consumista e dall’altro l’esistenza dei nuovi schiavi della “green economy” nelle miniere di cobalto in Congo, oltre alla disgregazioni delle relazioni umane nell’Internet delle cose. Interessante, a riguardo, è prendere spunto dalle riflessioni della suora indipendentista catalana Teresa Forcades sulla “critica etica al capitalismo”1.
Ma anche le “libertà vigilate” che abbiamo vissuto con la strategia della tensione, con il mito della sicurezza e del controllo dopo l’11 settembre 2001, con la Difesa della patria, le spese militari sempre in aumento che oggi vediamo sempre più inasprirsi con la sorveglianza digitale, i rintracciamenti della smart-city, i dispositivi biometrici, l’elaborazione dei Big Data, i dati predittivi dei comportamenti futuri sulle nostre vite da parte di dispositivi d’intelligenza artificiale domestici (smartphone ed elettrodomestici smart). Molto ci sarebbe da dire su che cosa voglia dire “libertà” in Occidente, soprattutto quando è arbitrariamente limitata da Dpcm che hanno forza di legge fluttuante e che superano le Costituzioni stesse, i diritti fondamentali, l’ordinamento giuridico vigente e instaurano quello che in scienze politiche viene definito Stato duale2.
Questi i tanti interrogativi che meglio rendono la comprensione dei fallimenti della globalizzazione neoliberista e del capitalismo, eppure ancora oggi il nemico rimane ancora il comunismo.
1 Teresa Forcades Crítica Ética al Capitalismo https://youtu.be/8P7xNxFfyHc
2 Stato duale è l’espressione del politologo Ernst Fraenkel nel 1941 per indicare uno stato in cui allo stato normativo (Normenstaat) si affianca uno stato discrezionale (Massnahmestaat, uno stato delle misure) e il governo degli uomini e delle cose è opera della loro ambigua collaborazione. Fraenkel affermava: “Per la sua salvezza il capitalismo tedesco necessitava non di uno stato unitario ma di un doppio Stato, arbitrario nella dimensione politica e razionale in quella economica”.
Lorenzo Poli
9/11/2022 https://www.pressenza.com
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