Golpisti: uno in cella, l’altro alla Casa Bianca
Trump e Bolsonaro, Photo by Brasil de Fato is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.
In Brasile un ex presidente viene condannato per cospirazione contro la democrazia. Negli Stati Uniti un ex presidente torna alla Casa Bianca dopo aver provato a ribaltare un’elezione. Basta questo per capire la distanza.
I giudici brasiliani hanno scelto l’opzione più semplice da dire e la più difficile da praticare: applicare la legge. Hanno letto prove, firmato atti, assunto responsabilità. Hanno dato un segnale chiaro alle forze armate, alla politica, agli apparati: qui il gioco finisce quando finisce. La sconfitta alle urne non è un pretesto per il golpe.
Dall’altra parte, i “checks and balances” americani — che ci raccontiamo come un tempio — hanno esitato. Impeachment a metà, giustizia lenta, ricorsi infiniti, una Suprema Corte che riscrive l’immunità e rimanda tutto a data da destinarsi. Risultato: chi ha provato a sovvertire il voto non solo non paga, ma si riprende il potere. Un manuale di impunità istituzionale.
Non è questione di culture politiche “latine” o “anglosassoni”. È questione di scelta. Il Brasile ha memoria della dittatura e sa che l’ambiguità costa cara. Per questo ha agito prima che il veleno diventasse sistema. Gli Stati Uniti hanno scelto il rinvio, la prudenza che diventa complicità, il formalismo che copre il vuoto di coraggio. E ora pagano il conto.
C’è un altro punto, poco elegante ma necessario: la reazione di Washington alla giustizia brasiliana. Dazi, sanzioni, pressioni su giudici e funzionari. Punire chi fa ciò che tu non riesci a fare a casa tua: tenere a distanza il potere quando infrange le regole. È geopolitica travestita da principio. E il vestito cade male.
La linea di faglia è questa: le democrazie non si difendono da sole. Servono istituzioni che reggono l’urto e persone che firmano gli atti giusti al momento giusto. Il Brasile, con tutti i suoi difetti, ha mostrato che si può. Gli Stati Uniti hanno dimostrato che si può anche non farlo, e chiamarlo “prudenza”.
Noi, dall’Italia, smettiamola di importare slogan e mitologie. Guardiamo i fatti. Un Paese con un passato autoritario ha trattato l’assalto alla democrazia come un crimine. Un Paese che si professa faro liberale ha trattato lo stesso assalto come un inciampo procedurale. Il primo ha chiuso il cerchio. Il secondo lo ha riaperto.
La domanda è pratica, non teorica. Quando un leader tenta di rovesciare il risultato elettorale, lo fermi o lo accompagni alla prossima campagna? Il Brasile ha scelto la prima strada. Gli Stati Uniti la seconda. E da quella scelta discende tutto: la qualità del dibattito pubblico, la sicurezza dei funzionari, la tenuta delle regole, persino la credibilità internazionale.
Non c’è da tifare per le manette. C’è da pretendere responsabilità. Processi rapidi, garanzie piene, sentenze motivate. Se arrivano, la politica torna politica. Se non arrivano, la politica diventa ricatto permanente. Il Brasile ha tagliato il ricatto. Gli Stati Uniti lo hanno normalizzato.
O l’Occidente impara la lezione brasiliana — separare il consenso dal reato, l’urna dal tribunale — o il prossimo assalto non sarà un episodio. Sarà un metodo. E quando diventa metodo, la democrazia non cade all’improvviso: evapora. Frase per frase, rinvio dopo rinvio.

Gianluca Cicinelli
12/9/2025 https://diogenenotizie.com/










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