I determinanti commerciali del suicidio

In che misura l’andamento dei suicidi dipende dai comportamenti delle industrie e dalla loro capacità di condizionare le decisioni delle istituzioni? Un quesito e possibili soluzioni.

Ogni anno oltre 700 mila persone nel mondo perdono la vita per un atto della loro stessa volontà, molti di più sono i casi di autolesionismo. Comportamenti in larga parte prevenibili, specie se al suicidio si arriva attraverso un uso di sostanze senza l’intento di togliersi la vita. Sono casi che coinvolgono ad esempio il ricorso ad armi da fuoco, farmaci come antidolorifici oppiacei o pesticidi. Strumenti la cui letalità potrebbe essere drasticamente ridotta, anzitutto, limitandone la disponibilità e la facilità di procurarseli. Quando si parla di suicidio, però, a mancare è una strategia di più ampio respiro in grado di individuare quali sono gli interessi in gioco capaci di limitare le scelte di public health.

Un paper di recente pubblicazione di alcuni ricercatori dell’università di Bristol si interroga di conseguenza sul ruolo dei determinanti commerciali, ovvero sul riflesso che gli interessi di industrie farmaceutiche, delle armi, dei pesticidi hanno nel dibattito pubblico, talvolta anche in quello scientifico, e infine sulle decisioni delle autorità sanitarie e dei governi… con possibili contraccolpi negativi proprio sull’incolumità delle persone, specie di quelle più fragili. Va riconosciuto, come fa puntualmente il gruppo di ricercatori guidati da May Ci van Schalwyk (1), che i cosiddetti commercial drivers stanno raccogliendo un’attenzione sempre più crescente nel mondo scientifico e in quello istituzionale quando si parla di public health.

L’esempio più palese è il trattamento riservato all’industria del tabacco, riconosciuta sia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che dai suoi Stati membri come attore principale in quanto produttrice di sostanze che arrecano nocumento alla salute, ma anche come principale ostacolo all’adozione di politiche virtuose di riduzione del consumo di questi prodotti nocivi. D’altra parte, fa notare il paper, l’impronta dei determinanti commerciali sulla salute e sull’andamento dei suicidi si intravede sia nella produzione e commercializzazione di prodotti dannosi quanto nelle politiche che le industrie riescono a dispiegare per sviare e distorcere i regolatori. In sostanza, le grandi corporation cercano di incunearsi seminando dubbi, spostando colpe e frenando l’approvazione di norme. L’approdo di questa strategia è presto spiegato: colossi commerciali e multinazionali riuscirebbero, in sostanza, a ritardare il momento in cui le istituzioni passano all’azione con restrizioni e divieti con “effetti devastanti” sulla salute delle persone, dell’ambiente e del pianeta.

Chiara Lorini, Claudia Cosma

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17/7/2023

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