I VOUCHER: UN ALTRO “RITORNO AL PASSATO”

Nel vasto mondo dell’informazione ce n’è per tutti. C’è sempre stato il buono e il cattivo, così come il vero e il falso. E, da quando c’è Internet, , non esistono quasi più argini al dilagare della possibilità di creare, condividere e scambiare contenuti attraverso i c.d. .
Fino al punto da indurre Umberto Eco – nel giugno 2015, nel ricevere la laurea honoris causa in – a sostenere che:”I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Di lì l’invito, ai giovani, a selezionare e, ai giornali, a “filtrare con équipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno”. E aggiungeva:”I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti”.
In questo senso, però, di fronte alla legittima preoccupazione di tale invasione, un pensiero ci consola!

La possibilità di escludere che, in materia di informazioni, si realizzi ciò che, antiche reminiscenze universitarie, riportano alla mente quale l’ineludibile , secondo la quale “la moneta cattiva scaccia quella buona (1)”.
Ciò perché – in ossequio alla coerenza, all’onestà intellettuale e, soprattutto, al rispetto dell’altrui intelligenza – ci sarà sempre qualcuno in grado di contestare le degli pseudo “esperti di turno” e smentire quelle che, ricorrendo a un simpatico francesismo, Marco Travaglio suole definire:”puttanate”; tendenti a sostituire la moneta buona.
L’occasione nasce dal vero e proprio del governo Meloni – tanto per restare in tema di nostalgici ricordi – per uno strumento che ha già rappresentato, per milioni di lavoratori italiani, motivo di precarietà e sotto/salario: i buoni lavoro (voucher).
La legge di Bilancio 2023, infatti, oltre che prevedere nella perequazione delle pensioni superiori a 4/5 volte la minima, aumentare la c.d. tra percettori di redditi uguali (a vantaggio dei liberi professionisti rispetto a lavoratori dipendenti e pensionati) e strizzare l’occhio ai piccoli (ma non solo) evasori fiscali – attraverso l’aumento del limite ai pagamenti in contanti e la probabile non obbligatorietà del Pos per i pagamenti fino a 60 euro – ha reintrodotto il ricorso ai già famigerati voucher.
Ciò ha immediatamente prodotto i di chi, come Claudio Negro (2) – pur di condividere e supportare l’incomprensibile furia iconoclasta del suo mentore, Pietro Ichino, nei confronti della Cgil – non ha esitato a prodursi in una vera e propria elegia degli stessi.

L’incipit delle news è un classico: l’individuazione della Cgil quale nemica di sempre.
Si fa quindi riferimento ai vecchi voucher, aboliti nel 2017 dall’allora governo Gentiloni, sull’onda – scrive Negro – “di una feroce campagna della Cgil”.
Quello che non dice o, peggio, fa finta di non sapere (e mente, sapendo di mentire), è che la Cgil non era la sola a criticare gli effetti perversi prodotti da quei – introdotti dal decreto legislativo 276/2003 per retribuire prestazioni di natura meramente occasionale (3) svolte al di fuori di un normale rapporto di lavoro subordinato o autonomo, da parte di persone (disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti, disabili in comunità di recupero, eccetera) – inizialmente previsti per pagare pulizie e altri piccoli lavori domestici, ripetizioni, baby/sitter, giardinieri, eccetera, con un compenso dal valore nominale di 10 euro, di cui 7,50 netti al lavoratore per ogni ora di lavoro.

Questo strumento, in effetti, era rimasto sostanzialmente inutilizzato per quasi 5 anni e divenne operativo solo dopo un decreto del governo Prodi (marzo 2008) con la sperimentazione nel settore delle vendemmie. Quello stesso anno (governo Berlusconi) il decreto legge nr. 112, convertito poi nella legge 33/2009, ampliò sia la platea dei soggetti coinvolti che dei settori di utilizzo; avviandone, in sostanza, la e, come tenterò di documentare, la completa deriva.
A quel punto, anche i successivi governi concorsero a rendere sempre più ai datori di lavoro quei voucher tanto snobbati agli esordi.

Con la riforma Fornero vennero estesi, di fatto, a tutti i settori produttivi e, successivamente, grazie all’attuale Segretario Pd, all’epoca Premier di turno, fu eliminata – con la legge 99/2013 – la non trascurabile eccezione “di natura meramente occasionale”.
Pertanto, un’informazione più seria (e, aggiungo, onesta) avrebbe dovuto accomunare a quella che, brutalmente, Negro definisce “feroce campagna della Cgil” – per il sostegno al referendum abrogativo della legge sui voucher – anche le considerazioni espresse da autorevoli in ruoli istituzionali e tutt’altro che anti/governativi.
Risale, ad esempio, al 2013, ciò che riportava (4) Giuseppe Baldino, Direttore generale dell’Inps Liguria, durante la presentazione del bilancio sociale 2013 dell’Istituto: “Quella della crescita del lavoro accessorio, e in particolare dei voucher, è una delle caratteristiche più evidenti del bilancio. E’ nata come forma di regolarizzazione del lavoro nero in agricoltura, ma poi è stata estesa a tanti ambiti, dal commercio al turismo: ora ci chiediamo se non sia il caso di ripensare il sistema, visto l’entità che il fenomeno ha raggiunto, e il rischio che i voucher si utilizzino anche in maniera impropria, al posto di forme di lavoro più strutturate”. Anche lui ?

Molto meno diplomatico l’allora Assessore al lavoro della Regione Puglia: “Non ne sono entusiasta, anzi, penso che siano uno degli aspetti più deleteri della svalorizzazione del lavoro. Io collego l’idea del voucher a quella di un grattino per il parcheggio”. E concludeva:”Ma se il fenomeno è così diffuso vuol dire che è in corso un abuso”. Un altro bolscevico?
Appena qualche anno dopo, un noto rivoluzionario e anti/governativo, Tito Boeri, in qualità di Presidente dell’Inps, avrebbe avvertito “il rischio che i voucher diventino la nuova frontiera del precariato. L’incremento può segnalare problemi futuri, bisogna guardarlo con estrema attenzione. Rischiano di essere per molti l’unica forma di lavoro”. Lo stesso Boeri, nel 2017 in occasione di un’iniziativa al Senato per ricordare la figura di Marco Biagi (alla vigilia della cancellazione dei voucher), così si esprimeva: ”Circoscrivere l’uso dei voucher alle sole famiglie significa cancellarli del tutto perché è opportuno essere consapevoli che oggi solo il 3 % dei voucher viene utilizzato direttamente dalle famiglie”.

Un contesto, quindi, dal quale si evinceva che i voucher erano sbalorditivamente lievitati e, soprattutto, destinati a tutt’altri scopi: dai circa 25 mila lavoratori coinvolti nel 2008 a quasi 1,4 milioni di unità nel 2015!
Tra l’altro, i dati informavano – tutti meno Claudio Negro, evidentemente – che maggiore era il numero di voucher percepiti (e dunque meno causale/episodica era l’attività svolta) maggiore era la probabilità per un lavoratore di essere re-impegnato con la medesima tipologia nell’anno successivo.
Inoltre, giusto per non dimenticare, è opportuno anche rilevare che, all’epoca, ben l’84,4 per cento dei lavoratori pagati con i voucher non risultava essere nella condizione di raggiungere la cifra di 168,44 euro di contribuzione utile per aprire una posizione pensionistica. Nessun rilievo, dunque, ai fini della maturazione del diritto alla pensione. Ieri come, di nuovo, oggi!
Le conclusioni di Negro replicano l’incipit.
Accusa il Sindacato (la Cgil, naturalmente) di mascherare la realtà con slogan e invettive contro i nuovi voucher – potenzialmente e sostanzialmente uguali ai precedenti – rispetto ai quali, però, lo stesso Gabriele Buia, in un’intervista rilasciata al corriere della Sera, nel settembre 2017, in qualità di Presidente dell’Ance, l’Associazione dei costruttori edili, così si esprimeva: ”nel nostro settore i voucher non servono, anzi rischiano di essere controproducenti. Sono d’accordo, vanno eliminati”!

Per concludere, resta da segnalare un ulteriore tentativo, da parte di Claudio Negro, di ricorrere al e prendere in giro l’inesperto lettore.
Nel merito: al fine di contestare l’obiezione della Cgil – secondo la quale i voucher rappresenterebbero un’ulteriore forma di lavoro povero – il degno erede di Pietro Ichino (alias, Il licenziatore), si esercita nel manipolare i valori dei minimi contrattuali del Ccnl della Confcommercio e gli altri elementi aggiuntivi della busta paga per arrivare alla falsa conclusione che, in sostanza, il compenso orario previsto da un voucher sarebbe corrispondente a quello previsto per un lavoratore regolarmente inquadrato al settimo livello; con un differenziale di paga “veramente esiguo”!
Dunque”, sentenzia Claudio Negro:”Il lavoro occasionale dal punto di vista retributivo non è più povero di quanto non lo sia il corrispondente trattamento di un normale contratto a termine”!

Si tratta, in definitiva, di un tipico esempio di disinformazione assoluta e, direi, offesa all’intelligenza del lettore; pur se sprovveduto in materia.
Tacere dell’enorme differenza che intercorre tra una prestazione di lavoro pagata con i voucher – senza contribuzione previdenziale, senza ferie, senza indennità di malattia e senza alcuna altra garanzia minima – e qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato, anche se , ma comunque pur sempre vincolato ai contenuti di un Ccnl, con tutto quanto ne consegue in termini di: retribuzione, tutele, garanzie e diritti, è disdicevole e, francamente, lo considero un atto indegno.

NOTE

  • Fino a qualche secolo fa, gli stati emettevano monete, alle quali veniva assegnato un valore pari a quello dei metalli che le componevano. A maggiore quantità di metalli preziosi corrispondeva un più alto valore. Però, passando di mano in mano, le monete venivano sottoposte alla pratica illegale della , vale a dire che i bordi venivano raschiati per ottenere metallo prezioso. Queste monete avevano, quindi, minore valore e si tendeva a scambiarle con quelle integre.
  • Fonte: “Voucher lavoro: ancora una battaglia di retroguardia del Sindacato”, su “Fondazione Anna Kuliscioff”; Mercato del lavoro news-nr.139.
  • Si intendevano come occasionali ed accessorie quelle attività di durata complessiva inferiore a 30 giorni per anno solare e con compensi inferiori a 3.000,00 euro annui.
  • Fonte: “Abolire o no i voucher? La storia, i dati e il dibattito”, di Angelo Romano e Andrea Zitelli; pubblicato dal sito “Valigia blu” in data 6 gennaio 2017.

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

17/12/2022

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