Il dramma di Maysoon Majidi, l’attivista curda sbattuta in cella a Castrovillari

L’interprete allo sbarco ha tradotto male. I due che accusano Maysoon Majidi sono scappati in Germania, l’è dovuti andare a cercare il difensore perché la procura di Crotone ha preso per buona la traduzione e l’ha sbattuta in carcere. 10 maggio (ore 9.00) presidio davanti al tribunale di Crotone dove si terrà la seconda udienza del processo che la vede incredibilmente imputata

S’è dovuta occupare dell’Italia l’altro giorno la Hana Human Rights organization, di solito impegnata a denunciare le violazioni dei diritti delle persone compite dal regime degli ayatollah di Teheran. Increduli di fronte all’incubo giudiziario in cui è rinchiusa una nota regista e attivista curda per i diritti umani, Maysoon Majidi, 27 anni, arrestata a Capodanno a Crotone con l’accusa di essere una scafista e da allora in cella a Castrovillari senza possibilità di spiegare il (chiamiamolo) equivoco, hanno dovuto metter da parte per qualche ora gli ayatollah e occuparsi della repubblica italiana, la nostra.

“Dopo l’uccisione di Zhina Mahsa Amini da parte della polizia morale iraniana e l’ondata di proteste antigovernative in tutto l’Iran – spiega un appello della Hana Human Rights OrganizationMaysoon Majidi ha intensificato le sue attività contro il governo iraniano, il che ha reso il Kurdistan iracheno non sicuro per lei ed è stata costretta ad andarsene con suo fratello. Si sono imbarcati per l’Europa, ma quando è arrivata in Italia, è stata arrestata con l’accusa di aver aiutato il capitano della nave”. Hana Human Rights Organization conferma che “Maysoon Majidi ha lavorato per il rispetto dei diritti umani in Iran e ha pagato insieme a suo fratello migliaia di euro per viaggiare in Italia, e questo è stato confermato dai suoi avvocati. Chiediamo, come organismo umanitario, alla magistratura italiana di tenere conto delle attività dei diritti umani di Maysoon Majidi e di ricordarsi che i traffi canti non pagano soldi. Chiediamo inoltre a tutte le organizzazioni italiane ed europee per i diritti umani e alla comunità internazionale di sostenere un attivista vittima dell’ingiusto sistema giudiziario e del governo della Repubblica islamica. Nel frattempo la magistratura italiana è responsabile del futuro di Maysoon Majidi”.

Dopo aver chiesto invano da febbraio che la ragazza sa interrogata, il suo difensore, Giancarlo Liberati, il 23 aprile è andato di persona in procura a Crotone a cercare la pm, Rosaria Multari. Le ha chiesto di nuovo di interrogare l’accusata, le ha detto che la ragazza sta molto male, è dimagrita 13 kg, di rendersi conto della gravità del caso. Racconta che la pm Rosaria Multari gli ha risposto: “Eh in carcere si sta male, lo so”. Discorso chiuso, interrogatorio negato. A Maysoon è successo che l’interprete che avrebbe dovuto tradurre lei e due testimoni appena fermata in Calabria ha travisato quasi tutto quel che ha sentito.

L’aveva anche rassicurata: “Tranquilla, ti liberano subito”. Non ci voleva molto a capire chi fosse quella donna. Basta digitare il suo nome in rete e piovono documentari suoi di denuncia della violazione dei diritti in Iran. Parla di lei il sito della Bbc, ci sono in rete molte sue fotografie. Ha manifestato a suo rischio e pericolo contro l’omicidio di Masha Amini ed è persona nota agli uffici Onu. In realtà sarebbe stato sufficiente chiederle, appena fermata a Crotone dalla Guardia di finanza, se parlasse inglese, lingua che lei conosce. Ma nessuno gliel’ha chiesto. Quindi è finita in cella con l’accusa di essere una trafficante di esseri umani anche se era una delle 59 persone stipate sottocoperta nella barca a vela incagliatasi senza affondare a Capodanno nella costa calabrese. Usando il tender di bordo lei ed altre quattro persone – incluso suo fratello e un cittadino turco, Ufu Aktur, che ha poi confessato di essere il capitano della barca a vela – sono arrivate a terra.

La Procura di Crotone sostiene che due migranti a bordo l’accusano. I due, nel frattempo andati in Germania, rintracciati dall’avvocato Liberati, hanno raccontato di non aver mai detto che la ragazza era una scafista, ma di aver detto – interrogati appena fermati quindi che lei li aveva aiutati. Il 10 maggio ci sarà finalmente un incidente probatorio in video conferenza da Berlino. L’avvocato difensore Giancarlo Liberati dice: “Li ho rintracciati io in Germania e mi hanno mandato due video in cui spiegano che lei era una passeggera, stava sotto coperta come loro e che loro non hanno mai detto alla Guardia di finanza quel che viene loro attribuito”. Sarebbe stato sufficiente mettere a confronto l’accusata con i testimoni, invece ai due dichiaranti dalle cui parole travisate è stata estrapolata l’accusa, è stato permesso di lasciare l’Italia. Agli inquirenti di Crotone non è bastata nemmeno la confessione del cittadino turco, Ufu Aktur, che ha ammesso di essere lui il capitano della barca e ha spiegato che Maysoon Majidi era una dei migranti a bordo.

Lei ha con sé la ricevuta del pagamento di 8500 dollari fatto per imbarcarsi. Hanno pagato 8500 dollari a testa lei e suo fratello in Turchia. Dopo averne pagati altri 15mila a dei truffatori per un viaggio mai fatto. Maysoon ha con sé anche un certificato dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, che dimostra che lei è una richiedente asilo. Laura Boldrini, presidente del Comitato della camera sui diritti umani: “Sono molto preoccupata per Maysoon che era già molto provata e dimagrita quando l’ho incontrata a febbraio in carcere. Un ragazza che si batte per i diritti delle donne in Iran, scappata in cerca di sicurezza e libertà che non si spiega come in Italia sia finita in cella con un’accusa così grave. C’è anche un’altra ragazza iraniana in carcere in Calabria con la stessa accusa, Marjan Jamali. Trovo davvero crudele che le venga negata la possibilità di ottenere i domiciliari nella struttura in cui vive il figlio di appena 8 anni. Temo che queste due giovani siano usate come capri espiatori di una guerra ai migranti che si accanisce su persone fragili e vulnerabili invece di colpire i trafficanti veri che rimangono al sicuro e indisturbati nei Paesi di partenza”.

************

comunicato del Comitato Free Maysoon

Già il 26 marzo scorso c’era stata un’iniziativa di protesta al carcere di Castrovillari, sostenuta da persone indignate per la surreale reclusione subita dalla regista e attivista curdo-iraniana, in cella dal 31 dicembre del 2023, con l’accusa di essere una scafista.

Il caso di Maysoon non è l’unico. In Calabria c’è un’altra donna, Marjan Jamali, reclusa dal 27 ottobre 2023 in un altro carcere, quello di Reggio, con la stessa accusa e ci sono anche due minorenni, ‘scafisti’, nel carcere minorile di Catanzaro, il kazako Mukamadi Mukammad e l’egiziano Hamdi Ebebawi.

È noto che chi intasca i soldi, decine di migliaia di euro per questi viaggi, non parte, non corre il rischio di morire in mare, resta in Libia, o da qualche altra parte, ad organizzare comodamente i suoi traffici; mentre è chi si trova a corto di soldi che, pur di intraprendere quel viaggio per approdare ad una vita migliore, potrebbe accettare di mettersi al timone. Non si tratta di spietati traghettatori che lucrano sulla pelle di persone in fuga, al contrario di vittime di un sistema che produce profughi, viaggi a rischio, morti.

L’ingiusta reclusione di Maysoon è un caso paradigmatico per comprendere meglio anche l’insensatezza e la pericolosità del Decreto Cutro, nato dopo la tragica morte, in Calabria, di 94 migranti, lasciati in balia delle onde, senza rispondere alle richieste di soccorso, tanto che la Procura di Crotone, nei mesi scorsi, ha iscritto nel registro degli indagati tre ufficiali della guardia di finanza per mancato soccorso.

Dopo questa tragedia, il governo Meloni riunisce proprio a Cutro il Consiglio dei Ministri e da lì fa passare il famoso decreto Cutro, che sancisce l’ennesima riduzione dei diritti umani e spiana la strada alla carcerazione facile ed ingiusta. Nel frattempo, durante il processo per la strage di Cutro, alcuni sopravvissuti hanno dichiarato che sono stati indotti dalle forze dell’ordine a indicare come scafisti delle persone che non lo erano.

Questo rappresenta un caso che aiuta a capire come vengono forzati i vincoli della verità pur di ‘’produrre colpevoli scafisti’’. Per fortuna, ci sono alcuni spiragli in questa feroce produzione di trappole per migranti-finti scafisti. Il 4 aprile, al tribunale di Ragusa, il Collegio giudicante ha assolto tre migranti dall’accusa di essere degli scafisti: uno dei tre migranti per non aver commesso il fatto e gli altri due perché le loro azioni erano dettate dallo ‘’stato di necessità’’.

La sentenza ha così messo fine ad una lunga ed ingiusta reclusione risalente agli sbarchi del maggio 2017 a Pozzallo. Lunghi anni di carcerazione che si sarebbero potuti evitare. La speranza è che questa sentenza, così come le altre che ci sono state, aiutino a ristabilire un minimo di giustizia là dove sembra proprio mancare.

freemaysoonmajidi@gmail.com

Angela Nocioni da l’Unità

8/5/2024 https://www.osservatoriorepressione.inf

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *