In Italia «La razza è purtroppo ancora una categoria sociale fondamentale»

Nel suo nuovo libro (L’Italia è un paese razzista) dedicato al razzismo in Italia, la sociologa Anna Curcio fa il punto su un fenomeno onnipresente e quotidiano, ma allo stesso tempo non compreso fino in fondo
Per la generazione cresciuta negli anni del boom economico, il termine razza è diventato un tabù. Un residuato degli anni più oscuri del colonialismo e dell’imperialismo occidentali prima e del Nazifascismo poi. L’esperienza della Seconda guerra mondiale e, in particolare, dell’Olocausto e tutta la rielaborazione successiva hanno spazzato via una categoria legata a uno dei momenti più bassi della storia del genere umano. Il termine razza in questione intendeva descrivere e gerarchizzare, facendo ricorso a teorie pseudoscientifiche, diverse tipologie umane. Oggi la scienza ha definitivamente confutato l’esistenza di diverse razze umane, ma la categoria di razza si è di nuovo riaffacciata nel dibattito scientifico italiano. Questa volta a sinistra però. Anna Curcio, ricercatrice in sociologia con un trascorso negli Stati Uniti, ha pubblicato un libro lo scorso anno in cui spiega perché la categoria di razza è un dispositivo tuttora valido per spiegare le dinamiche della nostra società contemporanea: «Le razze dal punto di vista biologico e genetico non esistono, questo è stato ormai dimostrato. Ma la razza è purtroppo ancora una categoria sociale fondamentale per spiegare il funzionamento delle nostre società. Le persone sono costantemente razzializzate e questo influenza profondamente le loro vite». Nel suo libro intitolato L’Italia è un paese razzista, edito da DeriveApprodi, l’autrice ha cercato di spiegare questo assunto a partire dal contesto sociale italiano.
Il razzismo oltre Salvini
In Italia il razzismo più becero è diventato quotidiano. Le uscite a dir poco infelici di chi ci governa sono all’ordine del giorno. I migranti o i rifugiati dipinti come “brutti e cattivi” sono sempre pronti per essere utilizzati come arma di distrazione di massa per rendere la popolazione dimentica dei drammi di un Paese in declino, in cui la classe lavoratrice è sempre più povera ed esposta al ricatto della precarietà. Una situazione che non ha fatto che aggravare il razzismo diffuso ampiamente nella società. Si tratta di un razzismo eclatante, che ci indigna e non può che essere così, che ferisce chi ne è colpito, ma che rischia di non farci vedere il razzismo strutturale più subdolo che caratterizza tutti gli ambiti del sociale: «Potrei fare molti esempi. Come insegnante di un istituto professionale mi viene facile parlare di scuola: dove insegno sono molti i giovani con origini migratorie, provenienti da famiglie della classe lavoratrice, mentre nel Liceo classico di mia figlia sono praticamente assenti. Ecco qui un esempio di linea del colore, per citare un termine preso in prestito da Du Bois, sociologo afroamericano, per descrivere i confini sociali a cui determinati gruppi sono destinati». Una linea del colore che, sempre secondo Curcio, muta nel tempo: «In Italia storicamente il razzismo ha caratterizzato le dinamiche interne. In epoca positivista, i meridionali erano considerati dalla scienza più in voga come appartenenti a un’altra razza, ovviamente inferiore. Oggi questo è cambiato». La divisione tra nord e sud in senso razziale è riemersa sul finire del secolo scorso grazie anche alla Lega Nord di Umberto Bossi, che ha poi svoltato in senso nazionale con Salvini e, appunto, spostato la linea del colore a sfavore delle persone immigrate da Paesi extraeuropei.
Il razzismo al lavoro
In Italia la destra non detiene il monopolio del razzismo. In una delle parti più illuminanti del suo libro, Curcio ha ricostruito una breve storia delle leggi italiane legate al fenomeno migratorio a partire dalla Legge Martelli del 1990. La sua analisi, molto lucida, fa emergere come a inaugurare dispositivi di legge a tutti gli effetti razzisti sia stato proprio il centro-sinistra con la Legge Turco-Napolitano del 1998: «Con questa legge, l’istituzione dei Centri di permanenza temporanea ha autorizzato la detenzione amministrativa dei migranti senza documenti, introducendo di fatto un provvedimento fortemente discriminatorio nei confronti di alcune categorie sociali». A partire da questa legge, aggravata fortemente dalla Bossi-Fini del 2002, che ha sancito la possibilità per i migranti di risiedere sul territorio nazionale soltanto in presenza di un contratto di lavoro, si è venuta a creare una situazione di potenziale ricatto per la popolazione extracomunitaria residente in Italia. Tutto questo ha creato ulteriore insicurezza in una parte consistente della classe lavoratrice. Anna Curcio però ha mostrato come la ricattabilità non si sia trasformata in passività. Nel suo libro analizza, infatti, la grande stagione di lotte della logistica che hanno caratterizzato il Settentrione d’Italia, in particolare l’Emilia-Romagna, negli anni scorsi. Curcio ha ricordato: «Nei magazzini della logistica, nello scorso decennio, lavoratori e lavoratrici hanno sfidato le gerarchie razziali imposte dal sistema capitalistico e sono diventati protagonisti di una lotta che ha restituito loro dignità e potere contrattuale». Le lotte della logistica in Italia sono una delle tante dimostrazioni di lotta antirazzista, in Occidente ma non solo, che si lega indissolubilmente alla lotta per migliorare le condizioni materiali d’esistenza. Un antirazzismo che, quindi, si fa lotta sindacale e di classe e non si lascia sedurre da mere questioni legate al riconoscimento identitario.
Mattia Lento
26/9/2025










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