Inchiesta su Tav e inquinamento: quegli allarmi inascoltati su uranio e amianto. > Quando ne parlavamo e alcuni importanti epidemiologici ci rispondevano che eravamo degli sconsiderati allarmisti…

Fatta un po’ di chiarezza sul contesto pregresso in cui il progetto Tav Torino-Lione è andato a inserirsi, passiamo ad analizzare più nel dettaglio gli effetti che la costruzione dell’opera sta avendo (e avrebbe per molti anni se venisse ultimata) sul territorio valsusino.
Scriviamo, peraltro, a pochi giorni dall’approvazione da parte della giunta regionale piemontese della delibera che conferma la compatibilità ambientale per la tratta italiana della sezione transfrontaliera della linea.
A leggere le recenti dichiarazioni del consiglio guidato da Sergio Chiamparino, sembra così di risentire le parole del governo italiano nel marzo del 2012: l’esecutivo, allora presieduto dal “tecnico” Mario Monti (insediatosi a pochi mesi dalla battaglie No Tav dell’estate 2011 contro l’esproprio dell’area della Maddalena in cui oggi sorge il cantiere per il tunnel geognostico), prese da subito una posizione netta sull’opera, dichiarandola prioritaria e irrinunciabile. E per convincere il resto del paese della stessa cosa, pubblicò sul sito di Palazzo Chigi un dossier in cui si elencavano in 14 punti le ragioni a favore della costruzione della Torino-Lione e in cui si affermava, tra le altre cose, che l’opera non avrebbe generato «danni ambientali diretti e indiretti». Anzi, la nuova tratta ad alta velocità veniva definita «assolutamente sostenibile».
Eppure, lo stesso studio di Valutazione di Impatto Ambientale dell’opera presentato dalla ditta LTF ha calcolato un incremento del 10% nell’incidenza di malattie respiratorie e cardiovascolari a causa dei livelli di polveri sottili che vengono e verranno prodotte dai cantieri.
E per anni ambientalisti, docenti, tecnici, medici e semplici valsusini hanno sostenuto un’altra versione rispetto a quella rassicurante del governo Monti (e dei suoi predecessori e successori).
Vediamo quali sono i principali rischi per il territorio e i suoi abitanti paventati dagli oppositori del Tav: in primo luogo vi è un problema d’impatto sull’ambiente, in una zona che ha già subìto pesanti interventi di infrastrutturazione negli ultimi decenni. La questione è ovviamente legata, tra le altre cose, alle previsioni di lunga durata dei lavori dell’opera. Basti pensare che dal luglio del 2011, quando l’area della Maddalena è stata espropriata, è stato scavato meno del 20% del tunnel che dovrebbe essere ultimato entro la fine del 2015. Anzi, inizialmente la scadenza era stata fissata per dicembre 2013, e solo di fronte all’enorme ritardo del versante italiano l’Unione Europea ha concesso una proroga fino al termine del prossimo anno. E, si badi bene, si tratta ancora del tunnel geognostico, cui dovrebbe poi seguire la costruzione, ben più impegnativa, della galleria vera e propria in cui far transitare il treno. Insomma, lo scenario che viene prospettato ai valsusini è quella di cantieri destinati a prolungarsi per anni e anni.
Per quanto riguarda gli aspetti più prettamente legati all’inquinamento, invece, sono in particolare tre le preoccupazioni legate alla Torino-Lione. I loro nomi sono amianto, uranio e radon.
Uno studio realizzato dal Politecnico di Torino ha analizzato in particolare i rischi legati alle ultime due sostanze. Andiamo con ordine: il radon è un gas radioattivo che può essere generato da diversi tipi di rocce, alcune delle quali usate anche come materiale da costruzione. Una delle sue caratteristiche è l’elevata capacità di propagazione per via aerea una volta liberatosi tramite fessure nel terreno o nelle rocce. Un’elevata concentrazione di gas radon può causare tumori per chi si espone in maniera continuativa a tali propagazioni, cosa che ha spinto il governo italiano ha introdurre nel 2000 una normativa di riferimento apposita che fissa la soglia massima consentita di radon.
Questo gas viene prodotto dal decadimento radioattivo dell’uranio. Sempre nel rapporto del governo Monti si legge che, in seguito ad alcuni sondaggi, «in nessuna formazione indagata è stata individuata una presenza significativa di uranio e tutte le misure risultano al di sotto della soglia di legge». Si legge poi ancora che «allo stesso modo le emissioni in radon non presentano potenziale significativo».
Anche in questo caso, però, le versioni sono discordanti. Lo stesso rapporto redatto dal Politecnico di Torino mette in guardia sul fatto che il Tav Torino-Lione dovrebbe transitare vicino a giacimenti uraniferi noti da decenni, ben prima che il progetto dell’alta velocità fosse presentato.
Il cambio di tracciato approvato nel 2006 avrebbe dovuto ovviare, tra le altre cose, anche a questo tipo di problemi, ma secondo il parere di molti non l’ha risolto. In particolare, la presenza di uranio è stata ampiamente documentata per quanto riguarda le rocce del massiccio D’Ambin, proprio quello dove si sta scavando il tunnel geognostico.
E per quanto riguarda l’amianto? Anche in questo caso le rassicurazioni del governo sembrano essere state poco convincenti. Tanto che un gruppo di 80 medici della Valle di Susa ha sottoscritto un documento in cui si concludeva che «la situazione che si prospetta per il nostro territorio è, a nostro avviso, estremamente preoccupante, tale da configurare la possibilità di severi danni alla salute pubblica».
Insomma, i 14 punti di Mario Monti che avrebbero dovuto convincere definitivamente gli scettici e i contrari sulla bontà dell’opera sembra sia stato redatto alla luce di sondaggi e accertamenti poco accurati, quando non addirittura realizzati in zone in cui si sapeva in anticipo che amianto e uranio non sarebbero stati trovati.
Poco dopo la pubblicazione del dossier dell’esecutivo, infatti, un gruppo di tecnici e studiosi si mise al lavoro per stilare un contro-documento che smontava pezzo dopo pezzo le argomentazioni del governo. Da tale dossier emerge un quadro decisamente più accurato e, soprattutto, preoccupante, che avrebbe dovuto mettere in guardia dal procedere coi lavori prima di aver compiuto ulteriori accertamenti.
La storia degli ultimi tre anni ci insegna che così non è stato. Nella prossima parte dell’inchiesta prenderemo in esame la situazione dell’inquinamento in riferimento ai tempi più recenti, ovvero da quando i lavori di scavo sono stati avviati.

Vedi anche:
– Prima parte dell’inchiesta (introduzione)
– Seconda parte dell’inchiesta: “Un passo indietro: le acciaierie Beltrame”

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