karoshi: morte da troppo lavoro. karojisatsu: suicidio per il troppo lavoro

Nel mondo c’è chi si toglie la vita perché non riesce a trovare lavoro e chi, invece, muore per lo stress che comporta lavorare troppo. In Giappone a quest’ultimo problema hanno dedicato non una ma ben due  parole: “karoshi” che significa appunto “morte da troppo lavoro” e “karojisatsu”, con il quale si indica il suicidio per il troppo lavoro. Le cause e gli “effetti” sono gli stessi. L’unica vera differenza è che nel primo caso la morte involontaria nel secondo caso no.

Di karoshi si è parlato per la prima volta ufficialmente nel 1987, in Giappone, nei dati statistici del Ministero della salute, del lavoro e del welfare (Mhlw). Dal 2002, il termine è stato inserito anche nell’Oxford English Dictionary. Secondo la definizione ufficiale (quella del Ministero della salute, del lavoro e del welfare) vengono classificate come karoshi le morti improvvise di dipendenti che hanno lavorato una media di 65 o più ore a settimana per oltre quattro settimane consecutive (senza giorni di riposo) o una media di 60 ore settimanali per più di 8 settimane consecutive.

In Giappone le aziende in difficoltà sono sempre di più e cresce il rischio di licenziamento del personale. Quelli che resistono vengono gravati di carichi di lavoro spaventosi: secondo una ricerca di alcuni anni fa, un quarto dei dipendenti di sesso maschile (7,8 milioni) lavorava più di 60 ore alla settimana, quasi 2,4 volte in più rispetto all’analisi precedente. Ma la realtà è forse ancora peggiore: secondo l’organizzazione sindacale Labor Force Survey la settimana tipica di un lavoratore giapponese, sia esso operaio o quadro dirigente, va normalmente da 70 a 90 ore. A questi turni sfiancanti, si aggiungono altre ore di straordinario. E, come se non bastasse, spesso gratuito: un lavoro, detto furoshiki (che letteralmente vuol dire “nascosto nel fagottino della spesa”), che i dipendenti fanno a casa, con il tacito consenso dei manager, e senza che nessuno osi pretendere alcun compenso (si tratta di un modo per dimostrare la propria “fedeltà all’azienda”). E chi si oppone viene licenziato “con disonore”.

In un paese orgoglioso fino all’inverosimile come il Giappone, non è concepibile ammettere che un proprio dipendente è morto per il troppo lavoro, è quasi una vergogna. Eppure i casi accertati di karoshi sono un numero spaventoso: circa 9.000 all’anno. E aumentano anno dopo anno.

Per questo se ne parla poco anche lì: non sono pochi i casi in cui i giudici hanno rifiutato la richiesta di un’organizzazione sindacale di rendere pubblici i nomi delle ditte in cui si sono verificati casi di karoshi, per non “danneggiare la reputazione dell’azienda”. Rarissimi sono anche i casi in cui un tribunale osa riconoscere ad un lavoratore di essere stato sfruttato eccessivamente dal datore di lavoro.

Secondo uno studio condotto dal prof. Katsuo Nishiyama, docente di medicina preventiva dell’università giapponese di Otsu e dal prof. Jeffrey Johnson, docente di scienze comportamentali dell’università americana Johns Hopkins, esistono chiare responsabilità da parte delle grandi industrie che “hanno organizzato molte attività formali e informali per inculcare nei lavoratori il concetto che dipendenti e padroni condividono lo stesso destino” e hanno privato di ogni potere effettivo i sindacati. Lo prova anche il dato emerso da un’inchiesta governativa: l’80 per cento dei lavoratori si è detto pronto a cancellare qualsiasi impegno della propria vita privata se il capo chiede loro di rimanere a lavorare in straordinario.

Koji Morioka, professore di economia e autore di The Age of Overwork, (L’era del lavoro eccessivo) ha detto: “Negli ultimi anni, sempre più lavoratori temporanei sono stati costretti a lavorare tanto quanto i dipendenti a tempo pieno ed è molto comune che le società appaltatrici forniscano illegalmente ai propri clienti dipendenti di fatto come se fossero interinali o temporanei”.

Si tratta di un problema molto grave. I casi sono in continuo aumento e ormai pare siano diventati quasi una cosa normale. Al punto che, in Giappone, comincia circolare anche un videogioco, Super Karoshi, in cui il protagonista non ha come obiettivo vincere contro un nemico o fare un percorso: il suo scopo è trovare il modo di suicidarsi!

Il Giappone non ha ratificato la convenzione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro sull’orario lavorativo (e in modo particolare la Convenzione 132 relativa alle ferie retribuite e la Convenzione 1 sulle ore di lavoro). La legge nazionale non mette un tetto al lavoro straordinario per certe professioni e in certe condizioni. “Quando si tratta di ore lavorative – ha scritto Marioka nel suo libro – in Giappone non c’è alcun riferimento agli standard internazionali”.

Secondo le ultime stime dell’ILO, il Giappone detiene il primato di dipendenti che superano le 50 ore a settimana (28,1 per cento), mentre nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea, la cifra non va oltre il 10 percento. Ma, in un sistema in grave crisi economica come quello europeo (e, ancor di più, in Italia), si tratta di numeri in costante crescita. E il rischio è che, tra un po’, “karoshi” e  “karojisatsu” diventino un problema anche per altri paesi. a meno che anche in questi paesi non si decida di non parlarne…

C. Alessandro Mauceri

12/5/2016 www.dazebaonews.it

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