Il delitto di non rubare quando si ha fame

La notizia risale al 16 maggio scorso ed a dargli rilievo è stato il New York Times, non certo un bollettino al soldo di Putin e dei suoi oligarchi. Il Dipartimento di Stato degli Usa aveva da poco chiesto a 14 Paesi africani di non acquistare il grano venduto dai russi, in quanto proveniente dai territori ucraini occupati militarmente e “illegalmente esportati”. Nell’articolo si fa riferimento a 500 mila tonnellate di cereali per un valore complessivo di circa 100 mln di dollari che, per giungere nel continente africano, hanno compiuto un tragitto tortuoso, lungo i confini dei Paesi che non partecipano alle sanzioni contro la Russia. Ora si può avere il giudizio che si preferisce in merito all’invasione dell’Ucraina ma si può chiedere a milioni di persone di morire di fame in nome di tali valutazioni? La Federazione Russa sta provvedendo ad esportare cereali in Africa in piena osservanza alle dichiarazioni reiterate da Putin sull’importanza che viene data al continente per il futuro del proprio Paese.

Non si tratta di beneficenza dunque ma di un piano ben congegnato per sopperire alla fuga occidentale da numerosi Paesi africani – è rimasto chi depreda – e allo stop, causato dal conflitto in Ucraina, per i progetti cinesi. Un vuoto che la Russia cerca di riempire raccogliendo anche consenso. L’occidente non gode di buona fama in molti paesi africani – e se ne comprendono le ragioni – la Russia, si badi bene non l’Urss, si ripropone come Paese portatore di benessere, di contrasto al colonialismo occidentale, alle guerre spesso finanziate dalle multinazionali per il controllo delle terre rare, di soggetto interessato alla fame e alla difesa dei dimenticati del pianeta. Una propaganda che raccoglie facilmente consenso.

Da una parte il blocco delle esportazioni dei cereali, molti Paesi africani dipendono totalmente da quanto prodotto in Russia ed Ucraina, ha portato al raddoppio del prezzo della farina e ad aumenti dell’ordine del 40% di quello di fertilizzanti e benzina. In zone oppresse contemporaneamente da guerre e siccità, il Corno d’Africa è l’esempio più lampante, già dal 2021 si calcolavano in almeno 13 milioni il numero delle persone in condizioni di forte denutrizione. Il colpo derivante dal blocco delle importazioni potrebbe portare soltanto nella martoriata Somalia, come afferma il Coordinatore della missione umanitaria dell’ Onu Adan Abdelmoula- molte persone, 370,000 di cui bambini alla morte per fame entro fine giugno. Ma quella che è ormai chiamata “inflazione alimentare” raggiunge Paesi fino a poco tempo fa ritenuti al sicuro come la Tunisia e l’Egitto, in guerra permanente anche se a bassa intensità come la Libia, in guerre dimenticate come la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centrafricana e il Mozambico. L’impoverimento si spinge anche verso Est e si abbatte in Pakistan, Sri Lanka, Yemen, Turchia. E di fronte ad una ennesima tragedia umanitaria, l’impero che riafferma i propri “universali valori di libertà e di democrazia”, chiede di rinunciare ad un grano rubato. Se non fosse tragico sarebbe grottesco perché questo avviene mentre si chiede agli stessi Paesi di aumentare la propria importazione di armi per combattere conflitti che hanno radice nelle cleptocrazie di alcuni governi sostenuti e foraggiati dalle stesse potenze che chiedono di rinunciare a mangiare.

In una scelta imperialista, la Russia contemporaneamente esporta grano e fa sperare nella sopravvivenza poi contemporaneamente, certo su richiesta di alcuni governi, lascia si che reparti di contractors russi entrino in alcuni Paesi in chiave anti jihadista. Il battaglione o gruppo Wagner, così nominato perché il suo fondatore, Dmitry Utkin, uomo importante dei servizi segreti di Mosca, ama la musica virile del celebre compositore tedesco. Ufficialmente non esistono, ma hanno una divisa, con tanto di rassicurante teschio sulla spalla e non è certo il loro numero, si tratta di mercenari né più né meno come quelli utilizzati dall’occidente, che proteggono le grandi aziende, le miniere, le élite locali, dalle diverse forme di guerriglia, islamista o meno, che attraversano i vari Paesi. Parliamo di Mali, Etiopia, Madagascar, Repubblica Centrafricana, per fare esempi. In quest’ultima circolano le magliette con la scritta “Je suis Wagner” che rendono bene l’idea. Milizie apparse prima in Libia (Cirenaica) nel 2016, a seguire in Siria e che si muovono con prezzi concorrenziali rispetto a quelli statunitensi e, in più sono vissuti, all’inizio, con meno pregiudizi.

Quando poi si rendono, come è accaduto in Mali, responsabili di carneficine innominabili è troppo tardi. Wagner è stabile. L’UE si mostra allarmata perché il combinato disposto fra fragilità economica e guerre costringe all’emigrazione ma, dai primi segnali, per l’ennesima volta non sa rispondere che con le fallimentari ricette di sempre. Nel vertice che si è tenuto recentemente a Venezia del Med 5, ovvero dei ministri dell’Interno di altrettanti Paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro) sono state annunciate le solite misure. Un richiamo alla solidarietà europea, mai attivata, per distribuire i profughi che potrebbero arrivare, l’aumento dei rimpatri, gli accordi con i Paesi terzi per “dissuadere” dalle partenze e, da ultimo, un po’ di frumento che arriverà comunque troppo tardi. Ci ripetiamo ma è grottesco notare come da una parte, per i profughi ucraini, si attuino, almeno come promessa, piani di ingresso ultrafinanziati, si muovano Stati e Regioni per non far mancare la propria solidarietà e si sia giunti, ad inizio marzo addirittura ad applicare la dimenticata direttiva europea 55 del 2001 che facilita il movimento per il continente europeo dei fuggitivi.

Decisione condivisibile e che rende onore ai “valori europei”. Ma ci si spieghi perché questi valori non sussistono se chi fugge ha il colore della pelle diverso, perché per l’Africa la direttiva 55 che giace da 21 anni non ha mai trovato applicazione, come non ne ha trovato per emergenze come quella siriana o afghana. Va ricordato che nel 2016, invece di una direttiva l’UE regalò al dittatore turco 6 mld di euro (ora ne richiede altri 3) per fermare nei propri confini i profughi siriani e che, l’anno dopo, l’ennesimo vertice a Malta per convincere i Paesi di riviera africani ad agire nella stessa maniera, si è concluso con un clamoroso quanto silenziato fallimento perché ai governi africani venivano date solo briciole rispetto a quanto richiesto. C’è una gerarchia valoriale anche nel decidere a chi affidare i lavori sporchi. L’Ue, nel suo complesso, si è rivolta a Erdogan, l’Italia nel suo piccolo, si è affidata alle milizie libiche con cui nel febbraio 2017 ha sottoscritto un Memorandum già rinnovato una volta e che entro il prossimo novembre, salvo sconvolgimenti,  sarà prorogato per altri tre anni, con l’accompagnamento di ingenti risorse ad uso militare definite ad ogni luglio. Il diritto internazionale è da anni stracciato e si permette di respingere imbarcazioni nelle mani dei sedicenti agenti della Guardia costiera e di frontiera libica, senza neanche accertarsi della vulnerabilità dei fuggitivi. Parliamo di decine di migliaia di persone.

In un quadro del genere ci si lamenta del rischio di probabili nuovi arrivi – e di ulteriori naufragi – non si mettono in atto politiche di accoglienza degne di questo nome che l’Europa potrebbe senza colpo ferire, sostenere, in nome di quali ragioni? Il timore dei governi di perdere consensi? Lo strepitare delle forze xenofobe? Un allarme che ovviamente non ha ragion d’essere, per ora, se chi arriva è bianco, cristiano, biondo e con gli occhi azzurri. Solo razzismo? No, anche qui il razzismo è un ottimo collante ideologico per giustificare scelte altrimenti riprovevoli. La verità è che l’Ucraina per molti è un affare mentre l’Africa è solo una sommatoria di problemi. Ci si può permettere di dire tranquillamente “non comprate il grano rubato”, come se si parlasse di ricettazione. Vale ancora il buon Fabrizio De Andrè quando cantava “Ci hanno insegnato la meraviglia / verso la gente che ruba il pane / ora sappiamo che è un delitto / il non rubare quando si ha fame.

Stefano Galieni

8/6/2022 https://transform-italia.it

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