La “Buona Scuola” a chi parla?

Il lungo percorso della LIP scuola, dalla riforma Moratti alla “Buona scuola” di   Renzi Don Lorenzo Milani attaccò duramente la scuola pubblica italiana nel libro Lettera a una Professoressa a seguito ad una bocciatura di due suoi ragazzi.  Dal 27 dicembre 2012 (il Ministro era Profumo) sarebbero stati considerati studenti con BES bisogni educativi speciali direttiva ministeriale sui bisogni educativi dovuti a svantaggio “socio-economico, linguistico, culturale”; si sarebbe fatto per loro un piano educativo personalizzato, e con ogni probabilità sarebbero stati promossi. Nel libro Lettera a una Professoressa viene riportata una forte denuncia alla scuola che esclude determinando una grande ingiustizia sociale, una scuola della cultura scolastica borghese. La scuola dovrebbe essere lo spazio in cui il bambino e l’ adolescente giocano, apprendono  e socializzano la loro cultura. Nel “bosco scuola” giocano borghesi e proletari, ma le regole sono quelle decise dai borghesi e i proletari, inevitabilmente, perdono non perché siano meno capaci o meno intelligenti, semplicemente perché la cultura scolastica non è la loro cultura. Don Milani, voleva che la scuola si aprisse ad accogliere tutte le culture: il mondo dei contadini, degli operai non meno del mondo borghese. Voleva una scuola in cui si studiasse “la vita reale” della società che si affaccia ogni giorno con i “Doveri e i Diritti negati, e non solo i classici della letteratura. Da due anni nella scuola italiana lo svantaggio socio-culturale è il nome che si dà a qualsiasi modo di essere che non rientri nei canoni borghesi, così come comportarsi in modo non conforme alle aspettative della scuola borghese significa essere non scolarizzati. Anche il filosofo Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere  prevedeva la situazione che si sarebbe creata con la nascita della scuola di massa: il figlio dell’operaio, non abituato al lavoro intellettuale, va a scuola e trova molte più difficoltà del figlio di una famiglia con tradizione intellettuale. Scriveva Gramsci, molti del popolo pensano che nella difficoltà dello studio ci sia un “trucco” a loro danno, vale a dire che i figli del proletariato sociale possono studiare, ma lo studio deve essere collegato alla loro vita e alla loro cultura. I figli dei meno abbienti, degli operai, dei contadini provano disaffezione per una scuola in cui si impara a vergognarsi di non essere in linea con i canoni della società borghese; l’alternativa è che amino la scuola e si vergognino delle loro origini. La scuola attuale si pretende essere multiculturale dove i sempre più numerosi studenti stranieri sono portatori di una diversa cultura e valorizzati nel modo migliore con rapporti di scambio reciproco con la nostra cultura.  Quella che abbiamo è, invece, una scuola monoculturale. Si insegna l’ IRC (insegnamento della religione cattolica) e tutte le materie di studio sono quelle occidentali. La cultura manuale ed il lavoro, di cui i più grandi pedagogisti hanno affermato l’insostituibile valore educativo, sono banditi dalla scuola. L’ideale umano che la scuola impone oscilla tra l’intellettuale borghese, l’impiegato statale e l’uomo d’affari. Buona parte del compito sociale della scuola consiste nel giustificare le attribuzioni di status e la distribuzione dello stigma sociale. Grazie alla scuola, la mano che tiene la penna è più socialmente apprezzata e riconosciuta della mano che tiene la zappa o guida un muletto. Lo vediamo ogni anno; gli “studenti meno studiosi” ammessi a sostenere l’ esame di stato di Stato (che conclude il primo ciclo di istruzione)  durante il colloquio con i commissari esterni dimostrano conoscenza verso il mondo e sanno pensare disciplinarmente con grande stupore dei commissari interni.  Beh..!!!! La dignità magistrale di chi non occupa ma detiene una cattedra è di confrontarsi e mettersi in relazione con il sapere e con gli studenti, cercando di capire se, avendo mantenuto la capacità di ascolto, si è ancora integri nella capacità di insegnamento e se ciò che richiediamo agli studenti faccia ancora parte del nostro corredo. E’ un prezioso sigillo per un insegnante! Marilena Pallareti Attac- Forlì 11/2/2015

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